Capitolo 2

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TULIPANI

Intrappolata durante il grigio inverno,
baciata dal calore del primo sole.

La casa è gremita di ragazzi, molti dei quali sono già ubriachi. Strisciano i piedi barcollando e biascicano parole incomprensibili. È riluttante come si appollaiano sulle spalle a peso morto.
A me piacciono i drink con i superalcolici dolci, mi permettono di sentirmi disconnessa dalla realtà solo dopo qualche sorso.
"A dopo, divertiti!" Savannah mi stampa un bacio sulla guancia quando adocchia un ragazzo carino in fondo al corridoio, per fortuna il suo rossetto è una tinta matte. Si allontana lasciandomi sola. Stringo il mio bicchiere fra le mani sperando che nessuno spintone ingenuo mi faccia barcollare, macchiandomi il vestito. Mi addentro fra le mura della casa.
L'odore di sudore e testosterone mi fa annaspare. Le ragazze si strusciano senza pudore sul corpo dei ragazzi, arriccio il naso e mi sposto in veranda; l'aria fresca mi riempie i polmoni.
Mi appoggio alla ringhiera bianca del porticato. Prendo un lungo sorso di Caipiroska alla fragola. L'alcool accarezza le pareti della mia gola, una carezza che brucia piacevolmente.
Guardo le onde del mare infrangersi sulle scogliere e la musica diventa un sottofondo meno irritante quando i pensieri si accendono nella mia testa.
Mi mordicchio un po' la guancia sinistra. Riuscirò a scrivere qualcosa domani?
L'ansia mi distrugge in quest'ultimo periodo. Si sta mangiucchiando ogni mia sfaccettatura, lasciandomi in un fascio di paura e nervoso.
Mi sento grigia, ma in realtà sono un'esplosione di colori nell'anima.
Gli occhi si fanno lucidi, sbatto le palpebre per cacciare indietro le lacrime. Il cuore accelera di qualche battito. Non ora, mi ripeto nella testa, bevo un altro sorso dalla cannuccia nel bicchiere. Non ora, Alice.
"Ehi".
Sussulto e mi giro di scatto, chi vorrebbe mai parlare con me?
Sono venuta a questa festa per conoscere gente, ma in realtà in quella baraonda di corpi accaldati non se ne salva nessuno. D'altronde sono sempre stata selettiva sulle persone che voglio nel mio cuore.
Cerco di identificare la figura in lontananza, diventa sempre più nitida a ogni passo. Ha i capelli biondi raccolti in uno chignon disordinato, le guance paonazze e gli occhi fissi nei miei da dietro gli occhiali. Indossa una camicia blu elettrico e un semplice paio di jeans. Quando siamo a mezzo metro di distanza noto che non è truccata. Ha gli occhi azzurri come il cielo baciato dal sole.
Indossa una collana in argento, il ciondolo al centro del decolleté mostra un albero della vita elaborato.
"Ciao," cerco di non mostrarle la mia esitazione. Il cuore rallenta per quanto gli è possibile.
"Piacere, Azzurra". Si appoggia con i gomiti sulla ringhiera, le mani intrecciate di fronte a lei.
Non so cosa dirle, mi limito a guardare l'orizzonte mascherando la sensazione di disagio che inizia a crescere nel petto. Mi focalizzo sull'increspatura delle onde, ruggenti nella notte. Chissà cosa nasconde l'oceano nel suo corpo freddo. Ogni giorno sembra darci degli indizi, ma le risposte che cerchiamo non le avremo mai, lui contiene più segreti che acqua. Si mantiene in vita con le meraviglie che ospita il suo fondale, meraviglie che possiamo solo sperare di vedere.
L'oceano è dove nasce l'immaginazione e dove abita la speranza. Ecco perché sono voluta trasferirmi accanto a lui.
"Fumi?" Prende una sigaretta dal pacchetto che teneva in tasca. La accende.
"No, grazie". In realtà sì, fumo, ma in alcuni momenti non mi piace vantarmi della cosa. La guardo di sottecchi.
Il filtro della sigaretta sfiora le sue labbra e poco dopo espira lentamente la sostanza tossica. Ingenuamente rilascia una nuvoletta di fumo che viene allontanata frettolosamente dal vento di questa serata primaverile.
"Quanti anni hai?" la domanda mi coglie alla sprovvista. È così semplice, ma qualcosa dentro di me è attratto dalla sua semplicità.
"Venti, tu?"
"Ventisette", accenna un sorriso e spegne la sigaretta sotto la ringhiera scrostata "non mi hai ancora detto il tuo nome".
"Alice", lo pronuncio nella mia lingua madre. Azzurra, infatti, mi guarda sorpresa.
"Non sei americana", mormora incredula, sembra voglia convincere sé stessa con quest'osservazione.
"Italiana". Faccio spallucce. Per me è normale una reazione accigliata di fronte alle mie origini.
Mi aspetto le solite domande: perché hai scelto Los Angeles? Come hai fatto a stabilizzarti qua? Non ti manca casa tua?
Azzurra, invece, deve aver percepito il mio disinteresse verso questo discorso. Mi stupisce che non voglia saperne nulla.
"Interessante", mi guarda "non ti piace vero?" Fa cenno alla baraonda che pullula all'interno della casa.
Ha ragione, non sono i miei posti né tanto meno le mie serate. Non sono una ragazza che ama agghindarsi per andare alle feste in cerca di un'effusione d'amore con un ragazzo. Non mi piacciono nemmeno i ragazzi, ma questo nessuno lo sa. O meglio, nessuno lo sa in questa nuova vita che mi sto realizzando da sola.
Azzurra ha un che di rassicurante.
In un barlume di lucidità controllo i miei parametri di sopravvivenza: non mi sto mangiucchiando le pellicine delle guance e il cuore batte regolare, nessun attacco d'ansia in prossimità dei successivi secondi.
"Chi tace acconsente". Mi guarda.
Ricambio lo sguardo e noto che mi sta fissando; i suoi occhi azzurri come il ghiaccio mi infiammano le guance. Cosa sta succedendo?
"Nemmeno a me piacciono," sposta lo sguardo sulla sabbia oltre la ringhiera.
"Ho solo accompagnato un'amica," guardo le stelle nel cielo limpido "tu?"
È come se sentissi il bisogno di giustificarmi, ma in realtà a lei non dovrebbe importare perché sono qui e, soprattutto, con chi.
Osservo i ciuffi biondi svolazzare contro vento, ogni tanto li scosta con la mano. È robusta, ma i suoi gesti sono delicati come ali di farfalla.
"Preferivo guardarmi un film in pigiama," sorride.
"Concordo".
Il silenzio cala fra di noi. Finisco il drink e butto il bicchiere nel cestino all'angolo della veranda.
Sento di voler conoscere questa ragazza misteriosa, parlare ancora con lei e in un futuro raccontarle di me. Potrò fidarmi di lei?
Credo sarà il tempo a deciderlo, come tutte le persone della mia vita.
Le persone sono come gli scarabocchi, delle semplici tracce abbandonate su pagine bianche.
Segni che possono essere indelebili, che possono ferirti.
Tracce che possono segnare il corpo, la mente o il cuore.
A volte mi sento uno scarabocchio incomprensibile rivestito da piccoli segni indelebili.
Ho conosciuto tante persone. Le ho conosciute e mi sono affezionata, forse troppo, ma hanno significato molto per me. Nessuno si è mai affezionato a me.
Siamo scarabocchi che percorrono ogni giorno un pezzettino di strada della vita.

Unexpected ~ lesbianDove le storie prendono vita. Scoprilo ora