20. Emily

192 39 14
                                    

Il sole era ormai tramontato, come era tramontata la mia speranza di ricevere una risposta da parte di Alan. Passai la giornata a fare avanti e indietro per la mia stanza, a digitare messaggi sullo schermo e a lasciare messaggi in segreteria, ma ero stufa. Commisi lo sbaglio di aver cercare di renderlo felice, fallendo miseramente e ottenendo il risultato opposto facendo finire frantumato al suolo ciò che avevamo costruito durante i giorni precedenti. Mi ritrovai in un limbo di pensieri in cui l'unica domanda che spiccava tra tutte le altre era: "Perché aveva reagito così?" Avevo bisogno di una risposta, ma soprattutto avevo bisogno di vederlo. Nel mio cervello riaffiorarono i ricordi di quei suoi occhi azzurri che mi perlustravano il corpo come una scanner a raggi X, le sue mani che con delicatezza scivolavano sui miei fianchi disegnandone le forme, aderendomi addosso quasi a diventare una seconda pelle. E poi le sue nocche sanguinare, la vena sul collo pulsare e lui che spariva dietro la porta che con tanta frustrazione avevo sbattuto alle mie spalle. Ma avrei rimediato.
Entrai in doccia con l'intento di schiarirmi le idee e di lasciare che l'acqua portasse con se ogni mia insicurezza. Sfregai la mia pelle con la spugna e lavai i miei capelli che fino a qualche instante prima erano raccolti in una crocchia disordinata. Una volta uscita indossai la prima cosa che mi capitò davanti agli occhi: dei pantaloni della tuta color grigi e un top a canotta nero. Non asciugai neanche le lunghe ciocche nere che mi ricadevano gocciolanti sulla schiena, mi precipitai a cercare le chiavi della macchina di Mary che in quel momento era fuori con Kyle. Quando finalmente le trovai, uscì dalla nostra stanza imboccando uno dei lunghi corridoi che mi portavano verso l'uscita del campus, fino ad arrivare al parcheggio. Salì in macchina e percorsi la strada buia e deserta verso la confraternita che distava circa cinque minuti dalla mia abitazione. Parcheggia dinanzi all'Audi di Alan e andai a bussare freneticamente alla porta d'ingresso, che poco dopo venne aperta da Cohen, uno dei suoi compagni di squadra nonché coinquilino. "Ciao...ho bisogno di parlare con Alan." Il ragazzo biondo dinanzi a me mi guardò con un'espressione accigliata. "Non ti ho mai vista, saresti?" Sospirai. Era ovvio che non mi conosceva, il tempo passato con lui non era mai alla luce del sole, eravamo sempre nascosti nell'oscurità. Nella sua oscurità.
"Sono Emily, ora puoi farmi entrare?" "Credo sia occupato." Mi sporsi in avanti per guardare all'interno della grande villa, ma di Alan Keller neanche l'ombra. "É in camera sua?" Annuì. "É occupato, te l'ho detto." "Smetterà di fare ciò che sta facendo per cinque minuti, ho bisogno di parlargli ora." Lo feci scansare dall'ingresso e percorsi le scale quasi correndo, raggiungendo in fine la sua stanza con il fiato mozzato e il cuore in gola. Smisi di respirare definitivamente quando un gemito soffocato arrivò alle mie orecchie al di là della porta in legno e in quel momento mi scordai persino di bussare. Entrai nella camera e mi ritrovai davanti l'ultima cosa che avrei voluto vedere. La vista di Taylor completamente nuda e seduta a cavalcioni su Alan mi colpì lo stomaco come una pugnalata. Erano talmente presi l'uno dall'altra che non si accorsero neanche della mia presenza. I loro corpi continuarono ad unirsi come un incastro perfetto, l'aria era invasa dei loro odori mischiati e dal rumore dei loro gemiti. Quella situazione era talmente intima da estraniarli dal mondo intero, come se Alan in lei trovasse un rifugio, ciò che avevo cercato di essere io sin dal primo istante, ma a quanto pare non ero abbastanza. Mi sentì afferrare dai fianchi per farmi uscire da quella camera e impedirmi di vedere oltre. "Andiamo Emy." La voce delicata della mia coinquilina mi fece portare l'attenzione su di lei alle mie spalle, ma il dolore che sentivo all'altezza del petto mi confermò che quello che avevo appena visto non era stato frutto della mia immaginazione, ma era reale. Ero stata talmente tanto stupida da credere che uno come Alan Keller avrebbe dato l'esclusiva a me, che sarebbe venuto da me se avesse avuto bisogno di sfogarsi. Mi ero illusa che quelle poche attenzioni che mi aveva riservato nei giorni precedenti avessero significare qualcosa, invece non valevano niente. Come non valeva niente il mio essermi concessa totalmente a lui, a partire dal mio corpo, fino ad arrivare al cuore. "Io...Io è meglio che vada." Mi liberai dalla presa di Mary e corsi giù per le scale ignorando la voce ovattata di Kyle che mi chiamava dal piano di sopra. Mi fermai davanti all'ingresso e mi misi a cercare le chiavi dell'auto all'interno della mia borsa, ma gli occhi offuscati dalle lacrime mi impedivano di trovarle in mezzo a tutto quel caos. "Emy aspetta, non mi sembra il caso che tu te ne vada in macchina in questo stato." Un singhiozzo scosse il mio corpo e abbandonai la mia ricerca. Diedi retta al fidanzato della mia amica e salì in macchina con loro, appoggiando la testa al finestrino e cercando di calmare quelle mille emozioni che mi avevano investita tutte in una volta. "Non te la prendere, non sta passando un bel periodo e questo è il suo modo di sfogarsi." Aggiunse il ragazzo seduto al lato guidatore spezzando il silenzio nell'abitacolo. "Avrebbe potuto parlarmene..." "Certo, avrebbe potuto ma era arrabbiato con te per la festa." Annuì anche se per lui era impossibile vedermi.

Lost in youDove le storie prendono vita. Scoprilo ora