25. Presente

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Era saggio mettersi ad ascoltare Marco Mengoni la stessa sera in cui tutti i suoi più cari amici erano riuniti per festeggiare il suo ex e lui era stato apertamente non invitato? Certamente no, ma Levi non sapeva come tenersi occupato e sua madre era uscita, lasciandolo da solo con le sue pessime scelte. Di recente Livia usciva sempre più spesso e Levi stava ancora cercando di capire se non tollerasse lui, quella casa o il fatto che l'avesse vista a pezzi. Aveva solo capito che in qualche modo lo evitava, se la cosa fosse conscia o meno era difficile a dirsi. In ogni caso cercava di evitare la questione, come la persona matura emotivamente che stava diventando, e per fortuna aveva Marco che era una splendida distrazione.

Lo squillo del campanello lo strappò dal limbo di aggrovigliate elucubrazioni nel quale era rimasto incastrato.

Si alzò in fretta dal divano, lasciando inavvertitamente cadere il cellulare che si era dimenticato di aver appoggiato sulla coscia. Imprecò velocemente, alzando gli occhi al cielo contro se stesso. Inciampò nell'angolo del tappeto mentre spegneva frettolosamente la musica e si dirigeva verso la porta. Non voleva che nessuno sapesse cosa stava ascoltando per mille motivi diversi. Il primo era perché ne era geloso, in modo intimo e un po' infantile. Era il suo modo per sfogare la tristezza senza cadere nella sua personale spirale di rimorsi, lasciandosi cullare da errori simili ma che non erano i suoi, da parole che parlavano di lui ma a distanza di sicurezza. Era geloso di come si sentiva in quei momenti, della vulnerabilità che poteva concedersi e che non voleva condividere con il mondo.

Aprì la porta,senza nemmeno preoccuparsi di controllare prima chi ci fosse dall'altro lato, e si ritrovò di fronte Marco, che in un secondo gli aveva già rivolto un'occhiata delle sue, con tanto di sopracciglio innarcato verso l'alto, come se lo stesse interrogando senza nemmeno aver aperto bocca.

"Ti stai grattando il braccio" gli fece notare, asciutto, senza nemmeno salutarlo.

"Ciao anche a te."

"Mi hai appena aperto la porta e mi stai già mentendo. Cosa stavi facendo, Levi?"

Non lo avrebbe mai ammesso, ma il modo in cui il suo nome gli scivolava fra le labbra gli faceva correre i brividi lungo la spina dorsale.

"Scusa? In che senso?" si appoggiò contro lo stipite della porta con una spalla, le braccia incrociate in una posizione difensiva. Non gli voleva dire che fino a pochi istanti prima si stava crogiolando in pensieri contorti sulla sua relazione passata, certamente, ma questo lui come poteva saperlo? A volte odiava quella sua mente veloce e perspicace.

"Ti conosco meglio di quanto tu non conosca te stesso. Non che sia difficile" gli passò accanto con un sorrisetto, strusciandosi contro di lui come un gatto mentre si faceva spazio per attraversare la porta. Levi avrebbe voluto opporsi, ma non aveva potuto fare altro che assecondare il suo movimento e ricordare a se stesso, ancora una volta, quanto fosse fottuto quando c'era quel ragazzo in mezzo.

"Oppure ti piace crederlo" si strinse nelle spalle mentre lo seguiva lungo il corridoio, verso il salotto. Era strano vederlo avanzare con quel passo deciso e sicuro di sé, ma inebriante al tempo stesso. Gli piaceva quel senso di familiarità che emanava, le implicazioni che comportava.

"Oh, ragazzino, tuo malgrado ti conosco proprio bene..." lanciò un'occhiata veloce nella stanza, esplorandola a grandi passi. Si fermò di fronte alle casse, piegandosi appena mentre cercava il pulsante per far ripartire la playlist selezionata. Dio, Levi doveva proprio iniziare a sceglierseli stupidi, era sfiancante dovergli tenere testa continuamente.

Rimase impotente con la testa ciondoloni mentre le casse lo tradivano, sparando a tutti volume Pronto a correre. Notò l'ironia di quanto fosse appropriato il titolo di quella canzone in quel preciso istante.

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