Levi era disteso sul divano di Marco -lo pensava ancora in quei termini perché, anche se tecnicamente viveva in quella casa, sua non lo era di sicuro- con lo sguardo fisso al soffitto, le braccia incrociate al petto e le sopracciglia aggrottate a regola d'arte. Stava vivendo uno dei momenti migliori della sua vita, la grande rinascita dopo il periodo buio, eppure non la stava vivendo bene come avrebbe voluto. Era felice, sul serio, adorava Marco con tutte le sue piccole fissazioni, le sue barriere emotive e gli occhi come grandi libri aperti, ma a parte lui il resto era rimasto il solito disastro. Riusciva ad ignorare la cosa, per la maggior parte del tempo. Finché aveva qualcuno attorno andava tutto bene, riusciva a concentrare la sua mente sul qui ed ora e stava bene, senza un pensiero al mondo. Poi si era trasferito e aveva iniziato a sperimentare le ore da solo. Non aveva un lavoro, sua madre gli rivolgeva a stento la parola (doveva aspettarsi che non l'avrebbe presa bene, non era affatto quella la sua idea di una vita felice per lui) e i suoi amici era adulti, completamente presi dalle loro vite. O presi dal viverle senza di lui, cosa che a quanto pare aveva reso necessaria a due delle sue persone preferite. Era un fiasco totale, e aveva scoperto di non saper stare da solo, cosa che prima non aveva mai davvero sperimentato. Emily gli era sempre gironzolata attorno, ma adesso sembrava aver preso sul serio l'idea di dargli spazio, o quanto meno il nuovo impegno al centro la assorbiva troppo. Levi ci aveva provato ad aiutarla, ma alla fine lei lo aveva scacciato spazientita perché le aveva incasinato un barattolo di vernice con il diluente sbagliato. Da quella volta si era arreso, lui e la vernice era meglio se rimanevano ben distanti. Forse le persone non erano molto diverse: ci versavi le emozioni sbagliate e le rovinavi per sempre.
Arricciò il naso con stizza, cercando di scacciare quei pensieri aggrovigliati e dolorosi come un cespuglio di rovi che gli cresceva a dismisura dietro le palpebre. Era un disastro, ok, nulla di nuovo su quel fronte, ma poteva rimediare, giusto? La psicologa gli aveva detto di cercare un lavoro e lui si era intestardito evitando la questione, irremovibile nella sua idea di voler passare più tempo possibile con Marco. Ci aveva messo un po' a rendersi conto di quanto pesassero quelle ore in solitaria. E quanto fosse difficile convivere con un gatto che ti odia con la stessa folle passione con cui ripudia qualsiasi forma d'acqua al di fuori della sua ciotola.
Aprì gli occhi per lanciare un'occhiata al gatto, che lo fissava accucciato accanto allo stipite della porta, la coda che si muoveva lenta e ipnotizzante vicino alle zampe anteriori. Aveva gli occhi brillanti, come se qualcuno avesse esagerato con la saturazione e si fosse detto "ma sì, guarda che figata" e c'era qualcosa di profondamente sbagliato nel modo in cui le pupille fossero fisse all'altezza del suo petto, come se si sincerasse che il maledetto bastardo che gli aveva fregato il posto sul divano e nel letto respirasse ancora. E magari meditava anche sul come risolvere il problema.
"Sciò, gattaccio" gli soffiò in un sussurro, cercando più di esorcizzare quella sua irrazionale paura che di scacciare la bestiola.
Cesare spostò lentamente lo sguardo nel suo, aumentando leggermente il ritmo a cui muoveva la coda. Levi non lo avrebbe mai ammesso a Marco, ma quello sguardo gli mise i brividi.
Si alzò a sedere di scatto, frugandosi nelle tasche dei pantaloncini alla ricerca del telefono. Basta, gli serviva un lavoro. A ventisei anni non poteva più farsi spaventare da un gatto. O fare il mantenuto. E poi gli avrebbe fatto bene, a prescindere dal passare meno tempo con quel gatto guardone.
"Fottiti, Joe Goldber" gli sibilò, scivolando in piedi e nascondendosi nella camera da letto con il telefono stretto in una mano.
Si chiuse la porta alle spalle e ci si appoggiò contro, sospirando fuori un po' di frustrazione repressa. Fece una veloce ricerca nella rubrica e fece partire la chiamata, avvicinando il telefono al viso e pregando qualsiasi entità governasse l'universo che almeno quella gli andasse bene. Non gli piaceva l'idea di puntare tutto sul nepotismo, ma era abbastanza disperato da mettere nuovamente da parte la sua dignità con l'idea di ricostruirsene una in seguito, più solida e stabile. Levi amava giustificarsi e sperare in un futuro migliore.
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Dove cade l'arcobaleno || LGBT+
Roman pour Adolescents[COMPLETA] ->Young adult + found family theme ->Sequel di "Rainbow club" Gli anni sono passati, Damon e i suoi amici non sono più ragazzi alle prime armi con l'amore e con la vita, sono diventati adulti e gli è stato richiesto il prezzo. I weekend p...