6.Tra bene e male

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Spesso si vive d’illusioni, sogni e speranze fasulle, senza sapere la verità. Ma si può davvero vivere senza sapere chi siamo?”
 
Ormai Raf sapeva parecchie cose sul suo conto. Innanzitutto sapeva di essere nata Terrena. Poi sapeva che adesso era una Angel. Sapeva di avere tre amiche speciali e... e sapeva di avere qualcuno che la amava e che avrebbe fatto qualunque cosa per lei. Ma ancora non poteva neppure immaginare a che punto sarebbe arrivato, prima o poi, per lei. Del resto, nessuno poteva prevedere come si sarebbero svolti i fatti, né Angel, né Devil.
In ogni caso, erano ancora di più le cose che Raf non sapeva. Come poteva essere diventata una Angel? Come poteva vivere in quel tempo, se i suoi genitori erano vissuti nell’Ottocento? Dov’era Malachia, adesso? E sua madre? Come faceva a parlarle? E lei, chi era veramente? Cosa significava  essere la Minaccia e la Salvezza? Erano concetti troppo distaccati per significare una cosa sola...
Dubbi, dubbi e ancora dubbi. Interrogativi sospesi come le nuvole nel cielo. Nuvole... persa nei suoi pensieri, Raf le osservava, candide, riempire il cielo. Non poteva sapere che, nello stesso momento, qualcun altro pieno di dubbi osservava le stesse nuvole, seduto su un vecchio muretto, lo sguardo perso nel vuoto dell’indecisione. Era  Matteo, il terreno custodito da Ang-li.
Sapeva che partecipando alla gara avrebbe vinto, perché era davvero bravissimo, e con una squadra di ragazzi come quelli non avrebbe sbagliato. Ma se voleva i diecimila doveva rubare uno skate. E non voleva. Ma voleva i soldi. Però, dopotutto... ne valeva davvero la pena? Che cosa doveva fare?
-Avrei proprio bisogno di un consiglio...- gemette ad alta voce.
-...Sincero.- Aggiunse Ang-li.
-Non lo ha detto! – Obiettò Sulfus. –Ha detto che vuole un consiglio, ed un consiglio avrà. Ma non ha mai detto di volerlo sincero!
-Non contarci troppo. Scegli tu la sfida, tanto so che perderai in ogni caso!- Gli disse Ang-li, a testa alta. Sulfus non aveva mai subito un affronto del genere. Come si permetteva quel piumoso angioletto di rivolgersi così ad uno come lui? Dopo quello che gli aveva detto l’altra volta?
Sbuffò e cercò di contenersi. Fece una smorfia e gli disse, con noncuranza:-Come vuoi, angelo. Ma è tutto da vedere. Pensi davvero di vincere contro di me? – e concluse la frase con una lunga e sincera risata, mentre volavano verso la scuola per raggiungere l’aula sfida.
 
Era buio, tutto buio.
-Allora, di che si tratta? Uffa, sto aspettando...- disse Ang-li, che iniziava a diventare ansioso, e a sfregarsi le mani con una certa foga dall’agitazione. Lui era così: impetuoso all’inizio, e poi più il tempo passava più si faceva prendere dall’ansia, come in quel momento.
-Aspetta e vedrai... – disse Sulfus, e così dicendo schioccò le dita, e comparve una splendida ed enorme città notturna dal nulla, con luci e rumori. Ang-li e Sulfus erano già vestiti da motociclisti e su due motociclette. Quella di Sulfus era nera con fiamme rosse ai lati, lucida e dai colori luminosi. Quella di Ang-li era celeste e lucida come il cielo e  rifletteva la luce.
-Una gara di motocross! Wow! – esclamò Ang-li, alquanto a disagio nello stretto vestito da motociclista. –Spero solamente di sapere come si guida questo coso... E’ come una Angel Speedy 3000 Cabrio Multi 400 ali?
Sulfus lo guardò di sbieco, sollevando un sopracciglio. -Non so di che cosa tu stia parlando... ma ti assicuro che questa è il meglio del meglio. Vince chi fa il giro della città in meno tempo.
-E come faccio a sapere dove andare? Me lo immagino?- Chiese ironico Ang-li.
-Non sai dove andare? Segui me, allora! Ti saluto, angelo! –Esclamò, schizzando via a tutta velocità, abbandonando Ang-li in una nuvola di polvere.
-Grr, che razza d’imbroglio! Come accidenti parte questo coso? Scommetto che l’ha manomesso...- ed iniziò ad armeggiare con tutti i pulsanti che trovava. Decisamente, era da un bel po’ di tempo che non usava la sua motocicletta, e quella lì era piuttosto diversa dalla sua, ma  i comandi base più o meno dovevano essere gli stessi, no? Già... ma quali erano i comandi base? Ad un certo punto tirò una leva e, non si sa come, la moto schizzò più veloce di un fulmine, e se il ragazzo non ne venne sobbalzato fuori fu solamente perché si aggrappò alla motocicletta con tutte le sue forze.
 
Sulfus correva abile con la sua motocicletta, evitando auto, tir e motorini con abili sterzate. Doveva vincere, ma ad un certo penso pensò ad una cosa: se avesse davvero vinto e fatto rubare Matteo, a Raf sarebbe dispiaciuto?
 
Ang-li schivò per poco un tir in corsa, virando miracolosamente senza neppure sapere come. Non riuscì invece ad evitare una limousine, prendendola di striscio e scivolando di lato, fuori dalla strada. La motocicletta schizzò su per una rampa da skate, e volò verso l’alto.
-Aiuuuutoooo!!! - Urlò a squarciagola. -Signore, fammi restare vivo! Sulfus, io appena scendo, se scenderò mai, ti... Aaaaargh!
 
Sulfus continuava a porsi delle difficili domande che lo distruggevano. Raf lo avrebbe mai perdonato? L’avrebbe accettato? No, ma certo che no... eppure lui era un devil... doveva irretire il suo terreno... ma perché? Perché era un suo dovere?
 
Ang-li stringeva la moto a sé, che continuava a volare, e l’angelo iniziava ad avere il sospetto di aver attivato il raggio antigravitazionale, e non sapeva assolutamente come usarlo o disattivarlo!
 
Sulfus era un devil, dunque doveva fare la scelta sbagliata. Dunque. Suonava come una conseguenza. Era un devil, dunque doveva irretire il suo terreno. Ma perché? Chi l’aveva deciso? Perché non poteva fare la scelta giusta, se voleva? Questo pensiero lo sconvolse ancora di più di quando pensava a Raf. Perché Matteo poteva decidere e lui no? Non poteva fare le scelte giuste, non poteva essere libero, ma chi l’aveva deciso?
Afflitto da questi strambi pensieri, si fermò ad un passo dal traguardo, con una violenta sterzata.
Perché decise di essere libero. E decise che non avrebbe lasciato che niente condizionasse più le sue scelte, fatta eccezione di se stesso... e una ragazza dai capelli biondi ed un ciuffetto rosso nella frangia, ovviamente. Ovviamente... ma che cos’era ovvio? Cosa poteva decidere lui? E cosa non poteva? E, se decideva davvero di non tentare Matteo, se decideva lui... chi sarebbe diventato? Cosa sarebbe diventato? Sarebbe ancora stato un devil? Di lui sarebbe rimasto qualche cosa di quel che era stato? Sarebbe ancora stato qualcosa? Una creatura a metà, sospeso tra l’esistenza e la non esistenza?
 
Ang-li rovinò a terra, finalmente, e rotolò lontano dalla sua motocicletta. Si rimise in piedi, barcollando, cercando di togliersi il casco che gli si era incastrato in testa. Sulfus si tolse il suo e, siccome era terreno, aiutò l’angelo a liberarsi del suo.
Quando finalmente il povero ragazzo dal volto paonazzo tornò a respirare, gli chiese, brusco:-Come diavolo hai fatto?
-Attento a come parli! Come ho fatto a fare cosa?
-A... a guidare questo coso! E’ una missione impossibile!
-No, ti sbagli, è piuttosto facile guidare questa motocicletta... e poi non eri tu quello che sapeva guidare la Angel Speedy 3000 o come si chiamava? -  Ridacchiò Sulfus.
-Lasciamo perdere! – Esclamò Ang-li, dandosi una veloce rassettata. –Comunque credo che spetti a te la prima mossa su Matteo. Accidenti, questi lividi mi faranno male per un bel po’ di tempo! – Gemette, massaggiandosi le ginocchia.
-Ma cosa dici? Guarda che hai vinto! Spetta a te la prima mossa.
-Dici sul serio?  
-Dico, ti sembro per caso uno a cui piace scherzare?
Ang-li, sinceramente, pensava che a Sulfus piacesse moltissimo scherzare, ma non disse niente. Si limitò a guardarlo sollevando un sopracciglio.
-Hai vinto, angelo. Spetta e te la prima mossa.- Disse con tono piatto Sulfus, mentre l’aula sfida tornava nuda e cruda. Si allontanò, le mani nelle tasche, chiedendosi se avesse fatto bene o no. 
Ang-li rimase solo, ancora una volta. Era certo che Sulfus gli stesse mentendo, glielo diceva il suo settimo  senso... ma perché avrebbe dovuto mentire? Perché gli aveva dato la vittoria? E, soprattutto, era davvero il caso di pensarci? Decise di no, e che se Sulfus voleva dargli la vittoria per chissà quale motivo non erano certamente problemi suoi. Così si trasformò in terreno, pronto ad andare da Matteo.
 
Matteo a quell’ora si stava ancora allenando, lo aiutava a sfumare le preoccupazioni. Ogni dubbio o  indecisione spariva, quando era sulla tavola da Skate. Si sentiva diverso, invincibile, non sentiva di appartenere al mondo. Sentiva che il mondo stesso gli apparteneva. Si sentiva bene, si sentiva forte, in quei momenti di vita spericolata, in bilico tra la vita e il pericolo. In quei momenti sentiva, o gli pareva di sentire, la fragilità della vita umana, in bilico tra scelte strane e diverse.
Pensava a tutto e a niente, in quei momenti... il vento gli soffiava in faccia la sua rabbia, e il sentirsi sospeso in aria soddisfava  la sua voglia di libertà... 
Un piccolo ma vivido applauso lo interruppe, e il ragazzo per poco non cadde.
-Complimenti, sei davvero bravissimo, amico! Un doppio giro sull’asse sospesa! Wow! Davvero... inimitabile!  
Matteo si fermò e si girò, per scrutare l’inaspettato interlocutore. -Grazie... comunque non è così che si chiama questo Trick. Come ti chiami?
-Chi, io? An... Angelo. Tu?
- Matteo, piacere.
-Sei veramente strabiliante! Hai sentito parlare della gara di sabato? Quella è una gara per skater davvero in gamba, come te.
-Si, ne ho sentito parlare- Rispose lui, con voce amara. Forse sarebbe stato meglio non saperlo, di quella stupida gara.
-E allora? Pensi di partecipare?-
-Non lo so. E’ una scelta… difficile. Ma non capiresti mai perché.
-Ti seguo perfettamente, invece.
-Come? Davvero? E come fai a saperlo? – Chiese Matteo, sorpreso, credendo che il ragazzo volesse parlargli della scelta se rubare o meno. Ma Ang-li non aveva quell’intenzione.
-So esattamente a cosa stai pensando, pensi di partecipare, vero? Non devi assolutamente farlo!  
-Rubare, dici?
-Cosa? No, no, ma che cosa c’entra? Cos’hai capito? – Disse Ang-li, fingendo di non sapere nulla della faccenda. -Io voglio dire che secondo me è meglio che tu non ci vada. Capisco la tua titubanza, ma.. è terribile. Non devi partecipare.
-Perché?-
- E’ una gara pericolosa. Le rampe non sono sicure,quello Skate Park ha già avuto parecchie multe in passato.
Matteo lo guardò perplesso. -E questo cosa c’entra?
-Niente, niente. Dobbiamo andare contro eventi di questo tipo! Non dobbiamo favorire la criminalità, che guadagna da dietro le quinte senza farsi vedere! Loro rubano soldi alla gente!  
- Ru-rubano?-  Chiese Matteo, sgranando gli occhi.
-Da dove credi che vengano, i soldi del premio? 
-Rubano… -  balbettò, tra sé e sé.
-Rubare è sbagliato.- disse Ang-li, con un tono che non ammetteva repliche.- E’ sbagliato rubare ciò che qualcun altro ha ottenuto con sudore, fatica...- Matteo era sconvolto e confuso.
-Ehm! Grazie del consiglio... ci penserò, ok? Ciao, torno agli allenamenti...- e così dicendo si allontanò, triste e dubbioso.
-Devo ammettere che è stato convincente - commentò Cabiria.
Kabalé scosse la testa, con un’ironica risatina. – Si, come no... convincente come se un devil si spacciasse per un angel!-  Disse, iniziando a ridere a crepapelle per la sua stessa battuta, che strappò un sorriso fugace anche a Cabiria. Poi, con un tono strano, la diavoletta si rivolse a Sulfus. –Tu cos’hai intenzione di fare? – Sbatteva le palpebre, sorridendo con quel volto da cattiva ragazza, nessuno poteva resisterle. Nessuno tranne Sulfus, che ovviamente non aveva occhi che per una sola, che non stiamo qui a nominare di nuovo, tanto si è capito di chi stiamo parlando.
Il ragazzo non rispose. Se ne stava mollemente sdraiato ai piedi di un muretto, e probabilmente non aveva neppure guardato come aveva agito il suo rivale. Lanciava sassolini in una pozzanghera, immerso in chissà quali strani pensieri. Sembrava non avesse neppure sentito le parole di Kabalé.   –Sulfus! Ma mi hai sentito?- strepitò la diavoletta, brusca e visibilmente irritata. Essere ignorata era la cosa che più detestava, e Sulfus non avrebbe potuto farle torto peggiore.
-Eh? Sì, sì, certo che ti ho sentito...- rispose lui infine, con un tono dal quale emergeva il suo totale disinteresse. A Cabiria scappò un risolino: scene del genere la facevano ridere molto più delle stupide battutine di Kabalé. La ragazza, furiosa, di girò e la fulminò con un’occhiata infuocata, della quale il significato era senza dubbio indiscusso, e Cabiria tornò seria, o almeno ci provò.
-Lascialo stare, Kabalé - disse in tono provocatorio- Si vede lontano un miglio che ha altro a cui pensare, anzi... – e qui soffocò un leggero risolino, lisciandosi una ciocca dei lunghi capelli attraverso i quali filtrava il vento. - ...si vede che ha qualcun’altra a cui pensare!
 Kabalé divenne livida dalla rabbia, per quanto la sua pelle già pallida potesse diventare ancora più livida. Gli si avvicinò ancheggiando e si piegò verso di lui, le mani sulle ginocchia. Sbatté le palpebre, sfoderando il suo miglior... volevo dire peggior sorriso da devil e gli mormorò, in un orecchio: -Andiamo! Non ha mica ragione Cabiria, non starai davvero pensando a...
- Basta!- Sulfus si alzò e la spinse via, prendendola per le spalle. La diavoletta cadde, sorpresa.
- Sulfus, ma che cosa ti succede?- Disse, guardandolo dal basso verso l’alto. Non che il ragazzo fosse molto alto,  ma visto dal basso, Kabalé pensò che fosse imponente. Sembrava una specie di principe delle tenebre, contro la luce del sole di settembre infatti sembrava un’ombra nera, e poi con quei capelli scuri mossi dal vento, e i suoi occhi luminosi... Il mantello era l’unica cosa che gli mancava.
- Sulfus! Ma noi siamo tuoi amici! Perché ce l’hai con noi?- Chiese Cabiria, aiutando Kabalé a rialzarsi.
-Ah, certo! Amici, amici, amici! Begli amici, davvero! Soprattutto tu, Kabalé.
-Perché, che cosa ho fatto?
Lui si prese la testa fra le mani, poi prese un sasso e lo lanciò ancora più lontano, e si sentì un lontano insulto irripetibile, segno che aveva anche colto qualcuno. Cabiria decise di farsi avanti. Proprio mentre lui stava volando via, gli si parò davanti, in volo, le braccia  sui fianchi, le ali che sbattevano furiosamente, gli occhi corrucciati e semichiusi in un’espressione misteriosa.
-Ma che razza di devil sei, Sulfus? Ang-li è andato via, nel caso tu non te ne sia accorto. Ora sta a te fare la prima mossa, sta a te entrare in azione!  Dov’è finito il Sulfus che conosco, il peggiore dei devil?
Già, dov’era finito? Se lo chiedeva anche Sulfus stesso. Che cosa significava essere devil? Era davvero un devil? Si ritrovò persino a fare una cosa che non avrebbe mai e poi mai fatto, prima di allora, perché non voleva che Cabiria leggesse la paura del dubbio, nei suoi profondi occhi dorati.
Abbassò lo sguardo. Cabiria rimase senza parole. Con la mano gli sollevò il mento, per costringerlo a guardarla dritto negli occhi, rossi come il fuoco.
- Il grande Sulfus - sibilò, tra i denti, tenendogli ancora il mento - non avrebbe mai abbassato lo sguardo! Un codardo? E’ questo che vuoi essere, un codardo? Vuoi lasciare che un angioletto insignificante ti batta, che lui batta una leggenda? Se non vai a fare la tua mossa ne avremo tutti la conferma: sarai  ufficialmente un codardo, Sulfus!
 I suoi occhi si accesero improvvisamente di un’ira profonda.
 
-Mai! – Gridò, come rinsavito, con un lampo di luce che gli brillava nelle pupille. Si girò e volò da Matteo. Chi se ne importava di tutte quelle sciocchezze su chi era e cosa doveva o non doveva fare! Lui non era un perdente, e lo avrebbe dimostrato! Anche se allora non sapeva ancora come si sarebbe pentito di quella scelta.
 
-Non ci credo, non posso crederci!- Esclamò Kabalé, avvicinandosi a Cabiria, la quale stava ancora sospesa nel cielo, con le braccia incrociate sul petto e un sorriso soddisfatto dipinto sulle labbra.
-Hai visto? Devi usare il cervello, devi fare leva sul gusto della sfida, per convincere uno come lui. Non basta il fascino... soprattutto quando sai bene che esiste già chi lo ha affascinato!
- Quell’angioletta dagli occhi blu!- sibilò Kabalé.- Proprio non la sopporto!-
 
 
-Non lo sopporto! Non lo sopporto proprio!- Urlò per l’ennesima volta Ang-li.- Avevo addirittura vinto la sfida! Non so come, a dire il vero, ma avevo vinto! Ce l’avevo fatta! E invece...
-Calmati, fratello - Disse Miki. –Fai un respiro profondo, parla piano e rispiegaci tutto dall’inizio. Ang-li annuì e riprese a raccontare mentre Miki, Dolce ed Urié lo ascoltavano.
-Lui, quel devil, è riuscito a convincere Matteo a fare la scelta sbagliata! Matteo ha... lui ha… rubato! Matteo ha rubato uno skate!  Come farà a riscattarsi? E’ gravissimo! Adesso marinerà anche la scuola, sabato, ne sono sicuro! E a quel punto sarà impossibile tornare indietro. E per me la bocciatura sarà assicurata! - Gemette Ang-li. Miki gli girò un braccio attorno alle spalle.
-Vedrai che Matteo capirà e si riscatterà, ti aiuteremo.
-E come, come? E’ tutta colpa sua! Lo detesto! Avreste dovuto vederlo!
-Vedere chi?
Tutti si girarono verso la porta, e tutti volevano sprofondare. Era entrata Raf.
Tutti si guardarono, perplessi. E adesso chi gliel’avrebbe detto?
-Dobbiamo dirglielo...- disse Miki.
-Si, deve saperlo.- concordò Dolce.
-Sapere che cosa? – chiese Raf, sempre più  dubbiosa.
-Parlavamo di Sulfus, Raf. – disse Urié, d’un fiato. La angel si sentì arrossire da capo a piedi, ma sperò che non si notasse. Si notava eccome, invece!
-Ah. E perché?
- Matteo. Sulfus lo ha convinto a rubare.
-Non può essere... - mormorò a sé stessa, coprendosi la mano con la bocca. Ma dentro sé sapeva che prima o poi avrebbe dovuto farlo, e cercò di nascondere quello che sentiva. Un dolore bruciante, pungente,gelido. Perché angel e devil erano così diversi, ma così uniti? Perché erano irrimediabilmente le due facce di una stessa medaglia, destinati a non incontrarsi mai?

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