14. Buio senza fine

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E’ terribile avere paura. Paura di essere presi, paura di essere scoperti dai nostri nemici peggiori... nemici che a volte nemmeno conosciamo. Ma la cosa peggiore è quando ci rendiamo conto che avremmo dovuto avere paura per qualcun altro, non per noi stessi.
E a volte è troppo tardi per rendersene conto.
Troppo tardi!”


Ormai Ginevra ed Andrea si erano riappacificati, nonostante i numerosi litigi tutto si era messo a posto. Miki sorrideva soddisfatta, guardando il suo terreno che si comportava bene.
Quel giorno, siccome non aveva nulla da fare, stava girovagando per i corridoi, quando notò qualcuno che andava in giro con aria furtiva.
Raphitya.
“Che voglia giocarmi un brutto scherzo con Andrea, proprio adesso che le cose vanno a posto?” Temette Miki, indispettita. Così decise di seguirla.
La devil camminava, in silenzio. Ogni passo era pesante e le ricordava tutto quel dolore... tutta quella sofferenza...
Miki continuava a chiedersi dove stesse andando quella strana ragazza.
Raphitya avanzava, e calde lacrime si facevano strada sulle sue guance mentre pensava a quello che aveva passato, e che non voleva succedesse a loro...
Miki seguì la devil nel più totale silenzio, a distanza. Rimase in attesa quando, arrivata all’ultimo piano, gradino dopo gradino, tirò fuori una piccola chiave lucente. La infilò nella toppa e quella si aprì con uno scatto. Spinse la vecchia e logora porta con una spallata...
... e venne accolta da simpatici uggiolii.
Uggiolii?
Si sedette a terra, le ginocchia piegate, e strinse a sé un cagnolino che era sgattaiolato fuori da una cesta. La diavoletta lo accarezzò, e gli dette un bacino sul musetto. Se lo strinse contro il petto, come una mamma affettuosa. Miki dallo stupore avanzò da dietro la colonna dove si era nascosta e si fece vedere.
Raphitya si voltò di scatto, lo sguardo di fuoco.
I loro occhi s’incrociarono, e il tempo parve dilatarsi all’infinito.
-Cosa ci fai qui?- chiese la devil, fredda.
-Scusami.
-Un corno!- Bofonchiò lei. Miki si avvicinò, cauta, e si sedette accanto a lei.
Entrambe stettero in silenzio. Un silenzio fatto di dolore, di indecisioni e cose non dette. Un silenzio teso.
-Questo come si chiama?
-Panna. E’il più coccoloso... – sorrise. -Lo vuoi prendere in braccio?
Miki annuì.- Magari!
-Ecco, fai attenzione...- e le passò il cucciolo.
-Ciao!- mormorò la angel, rivolta al piccolo. – Sei molto dolce tu, eh? – il piccolo uggiolò, strofinando la testolina contro il suo petto. La ragazza si commosse. Raphitya la guardava sorridendo. -Hai ragione, è così tenero!- disse la angel.
Ci fu ancora silenzio, interrotto da teneri uggiolii.
-Perché li nascondi?
-Perché con loro sono tenera.
-E non puoi?
- No. Sono una devil, gli animali li dovrei maltrattare e disprezzare... ma io non ci riesco.
-Perché?- chiese cauta Miki.
-Perché loro sono come me. Sono stati abbandonati. Proprio come me. – Confessò. Miki rimase in silenzio, aspettando che continuasse. E infatti lei continuò. -Ma io non sono stata aiutata da nessuno! Sono cresciuta portandomi dentro tutto questo dolore, tutta questa umiliazione... essere stata rifiutata come uno scarto...- Si coprì il volto con le mani, e le sue spalle furono scosse dai singhiozzi. -Dicono che il dolore tempra, rende forti. Non è vero! Rende freddi e fa stare male, ecco cosa fa il dolore! Ti fa piangere, ti fa tremare, ti fa sentire debole! Gli altri possono vivere una vita normale, e ti fanno pesare il tuo destino come se fosse una tua colpa, essere abbandonata! Come se fosse colpa tua! – Pianse, abbassando la testa. - Sai, è strano. Non ho mai detto queste cose a nessuno. Perché ne sto parlando a te, adesso? Perché sto parlando ad una angel?
-Perché sono l’unica persona che è qui, adesso. E sono l’unica che può capirti senza compatirti, cosa che immagino tu non voglia.
-Immagini bene. Sono stata umiliata abbastanza, ormai ho imparato a non amare nessuno. E a non fidarmi di nessuno. Perché gli altri mi ripagano solo prendendosi gioco di me. Di quello che provo. Perciò li odio. Odio tutti! 
-Non dire così, non tutti vogliono il tuo male.
-Conosci qualcuno a cui importi di me? Seriamente, conosci qualcuno?- Chiese, il volto rosso dall’ira.
Miki si portò una mano al petto. - Io.
A queste parole, Raphitya la fissò con gli occhi lucidi, il ciuffo rosso che oscillava davanti agli occhi. Se li scostò, e la fissò con i grandi e magici occhi neri. -Come?
-Ho detto che a me importa di te. 
-Ma è... è...
-Assurdo?
- Beh, sì.
-Hai ragione, forse lo è. E’ folle, pazzo, strano, assurdo ed incredibile. Ma tu sai che sto dicendo la verità. O capiresti che sto mentendo grazie al settimo senso!
Era vero, Miki non mentiva. Ma come? Una angel affezionata ad una devil?
-Posso capire le tue perplessità ma, vedi, fra noi, c’è qualcosa. E’... feeling elettivo. E’ una cosa speciale. E l’ho capito sin dall’inizio.
-Un... un f- cosa?- fece lei, perplessa.
-Un feeling elettivo. Una cosa speciale, che si crea tra due persone appena si incontrano... una cosa unica, che tra le persone non si forma quasi  mai... ma ad un certo punto basta uno sguardo e c’è... intesa.- Concluse Miki.
-Penso di aver capito. Allora noi siamo destinate ad essere amiche?
-Penso di sì. Sì!- affermò. Ci fu un lungo silenzio. Un silenzio fatto di dubbi, domande ed incomprensioni.
Alla fine Raphitya le porse un cucciolo. -Questo è Birillo. Mi raccomando, quando non ci sono... solo croccantini al pollo, è abituato solo a quelli!
Miki sorrise, prendendo Birillo in braccio, un piccolo labrador bianco con le zampette nere.
Da quel giorno, Miki e Raphitya divennero amiche. E lo furono per sempre, segretamente.
E Miki fu anche l’unica amica che avesse mai avuto Raphitya.
Ma vi assicuro che non avrebbe potuto desiderare di meglio.


Raf quella notte corse nell’incubatorio. Doveva assolutamente vedere Sulfus, doveva parlargli. Lo strano sogno di Urié l’aveva messa in agitazione. E l’avrebbe ulteriormente agitata, se avesse saputo che era lo stesso sogno che aveva fatto Cabiria!
Infatti quel sogno era importante, ed il destino si era servito delle due sempiterne per informare il devil che stava arrischiando così tanto. Ma lui non avrebbe dato ascolto a nessuna delle due.
Raf si strinse nelle spalle, rabbrividendo per uno spiraglio d’aria fresca. Si sentiva agitata.
Passi, passi stanchi e lenti dietro di lei.
Cavoli! Erano le tre di notte, c’era ancora qualcuno in giro? Poteva nascondersi? Ma dove? E se l’avessero trovata là cosa avrebbero detto i professori?
Si girò... e non si mosse, perché era l’unica persona che cercava. Sulfus.
Si avvicinò, in silenzio, e lei non si mosse, osservandolo sconcertata. La sua andatura era sbilenca, camminava trascinandosi le gambe, come se fosse stanco, ubriaco... Come se stesse male.
Quando fu abbastanza vicino le chiese, in modo quasi infastidito:-Che ci fai tu qui?
Raf era a disagio. -Perché? Perché Urié ha fatto uno strano sogno. Un sogno…- Qui fece una pausa, e lui la guardò di traverso, ancora avvolto dall’ombra.
-E tu vieni qui solo per un sogno della tua compagna di stanza?- Chiese, sbigottito.
-Era un incubo.
-E questo cambia le cose?
-Sì, perché... ti riguardava.
Lui rise. -Fammi indovinare... un incubo con Tyco e Sai che dicevano “non lo fare, a noi è successo, non lasciare che accada di nuovo! Fermalo!”. Era così, vero?
Lei annuì. -Tu come fai a saperlo?
-Le voci girano.- Disse, sarcastico.
-Seriamente.
-Anche Cabiria ha fatto lo stesso sogno. Contenta?-
Silenzio.
-E tu hai capito, a vedere da quanto sei tranquillo.
Ovvio, ma non rispose. In realtà non aveva capito niente. Ma questo, lo avrebbe scoperto solo molto più tardi.
- Mmm...- si avvicinò alla finestra, seguito da lei, in silenzio. La aprì, e lasciò entrare i raggi di un pallido lembo di luna.
A Raf scappò un gemito.- Sulfus! La tua... la tua... – Sulfus non aveva più la stella rossa sull’occhio. Se l’era lavata via, cancellata, sperando di cancellare il suo passato.
- L’ho lavata via. E allora?- Chiese, infastidito.
-Ma... ma.... non è da te. – Concluse, sbigottita.
- E allora? . ripeté. -La cosa ti riguarda?
-Sì.
- E perché? – Chiese freddo.
-Perché mi riguardi tu.
Fortuna che era buio e la notte li avvolgeva, così Raf non notò che le guance di Sulfus arrossirono. Perché poche parole lo avevano emozionato dal profondo del cuore, che ora gli batteva forte. Era così dolce essere là, con lei, da solo... se solo lei avesse saputo cosa stava facendo... perché era così distante...
Ad un certo punto, come se l’avesse chiamata mentalmente, una fitta di dolore acuto gli trapassò il ventre, e si accasciò a terra, bocconi.
No.
No.
No.
Lei non lo doveva vedere. No!
- Sulfus! Che ti prende?- Chiese lei apprensiva, chinandosi accanto a lui, ponendogli la mano sulla schiena, l’unica sensazione piacevole che superava quel dolore.
  -Niente... sto bene... sto... sto... – Trattenne un conato. Raf lo strinse fra le braccia, ed il suo corpo tremò. Lei lo sollevò con forza e lo spinse nel bagno più vicino.
Lo resse, accostandolo al lavandino dove lui, reggendosi con le mani sui bordi del lavello, si chinò e vomitò. Lei gli teneva indietro i capelli, accarezzandolo.
Era l’unica che capisse quanto stesse male...
Quando lui finì si accasciò a terra contro il muro, senza riuscire a trattenere lacrime di dolore. Si coprì gli occhi. Quella cosa faceva sempre più paura...
Raf aprì il rubinetto per far scorrere l’acqua, e sgranò gli occhi. Quello non era vomito.
Quello era sangue nero.
Sulfus si voltò e fissò i propri occhi nei suoi.
Lui accasciato malamente contro il muro, come se fissasse la morte in persona, lei in piedi diritta davanti al lavandino, che lo fissava, in preda alla paura.
Perché fissò i suoi occhi, e li vide... li vide completamente neri.
- Sulfus. I tuoi occhi... sono…
-... neri. Lo so. – Singhiozzò. – Lo so! Lo so!- Si sollevò, piano, la testa che gli girava. Fece per andarsene, ma respirava a fatica.
- Sulfus, fermati. Questo non  è normale. 
Lui si voltò, gli occhi pieni di paura. - Lo so. Non posso lamentarmi. Sono io la causa del mio male.
-Cosa stai facendo?
- Non te lo posso dire. 
- Lo voglio sapere. So che mi... so che ci riguarda. 
Lui prese la maniglia della porta, ma lei gli prese le mani, e le strinse fra le sue.
- Io non voglio che tu stia male.
-Non lo vorrei nemmeno io, ma durerà ancora per poco. Poi... poi avremo tutto ciò che abbiamo sempre voluto. Poi... poi potrai... potrai stare con me.
Lei lo fissò, il cuore che le batteva forte a sentire quelle parole. -Come? Vuoi dire che...?
-Non chiedermi di farlo ancora. Non chiedermi di rinunciare a te come mi hanno costretto a fare in passato. 
-Ciò che è successo era inevitabile.        
Si guardarono, allibiti.
-Diamine! Come mai abbiamo parlato così? – Chiese lui.
-Non lo so. Giuro che non lo so.–
-Quelle erano le frasi di Tyco e Sai. 
- Accidenti. Non erano parole nostre.
-No- Continuò Sulfus. – Si tratta di qualcosa che è accaduto in passato... senti, un giorno, presto, avrò le risposte. E allora... allora capirai.
Rimase là, fermo, a fissarla negli occhi con tenera dolcezza, come se non volesse lasciarle  più le mani.
- E’ pericoloso, vero?- Mormorò Raf, piano.
-Sì. Non ti voglio mentire, è molto pericoloso. Ma non posso più tornare indietro. Una volta iniziato questo, indietro non si torna.
Raf tacque, per molto tempo. Sapeva che era inutile insistere ancora, lui non avrebbe detto nient’altro. Dopo un’eternità gli sussurrò, piano: -A cosa stai pensando?
Una domanda tanto difficile quanto sembrava semplice.
Oh, lui stava pensando ad un sacco di cose. Pensava a quanto fosse bella Raf, a quanto fosse dolce che lei si preoccupasse per lui. Pensava a quanto faceva male il fatto che lui non potesse amarla, a quanto fosse triste che lui sarebbe potuto morire senza che lei nemmeno sapesse che stava cambiando se stesso per lei.
Pensava che forse non avrebbe mai più visto i suoi occhi, i suoi splendidi occhi azzurriche avevano illuminato la sua  esistenza... pensò che il suo unico desiderio sarebbe stato prenderla per mano e condurla lontano, lontano da tutti, lontano dal mondo, lontano dal V.E.T.O, dal tempo, dal silenzioso respiro della morte che voleva impadronirsi delle sue membra.
Voleva condurla in un luogo ai limiti fra il buio e la luce, dove non c’erano regole meschine che gli impedissero di stare con lei. Pensava che voleva solo essere felice, ed era l’unica cosa che chiedeva al destino. Era troppo?
Sì, a quanto sembrava.
Dopo un’eternità, rispose alla domanda di Raf.
-Ti sorprenderebbe saperlo.- mormorò con voce rotta. Sciolse le proprie mani dalle sue, le sorrise tristemente e si allontanò nel buio, lasciando troppe cose non dette, sospese nell’aria.
Cose che facevano male. Cose che forse non sarebbe più stato possibile dire...
Mai più.


Le sirene della terra sospesa ghignarono di soddisfazione.
Avevano il libro, e lo avevano letto. E ora, disgraziatamente, sapevano quello che non avrebbero dovuto sapere mai. Sapevano chi era la Minaccia e la Salvezza. E non avrebbero esitato neppure un secondo a prendere la sua anima, togliendo a quella persona la vita, per sempre.

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