10. Qualunque cosa

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"Cosa è disposto a fare chi tiene veramente a noi? Chi nutre verso di noi un affetto profondo, e sa che a separarlo da noi non c'è altro che una parola, una sola, un "sì".... Una parola semplice, ma una scorciatoia terribilmente pericolosa, che nasconde pericoli atroci... come una galleria senza vie d'uscita certe..."


-Verrà!- Tuonò una creatura dalle profonde viscere della grotta.
-Verrà... verrà...verrà... - ripeterono a loro volta le voci, lugubri.
-Sì, sorelle, verrà! Ormai non ha altra scelta!- Esclamò di nuovo la prima creatura, stringendo i pugni, con un sorriso sadico.
-Lo vuole lui, del resto... sì, è la sua volontà... sì, lo fa per lei...
-Basta! Verrà! Ormai è certo! Ormai non v'è alcun dubbio!
-Alcun dubbio... alcun dubbio... alcun dubbio... - ripeterono le voci. -E noi... saremo qui ad aspettarlo! - continuò l'eco lugubre e cantilenante delle creature.
-Ma lo aiuteremo?- domandò una creatura, dal fondo della grotta.
- Non ci costa nulla... possiamo fare qualunque cosa, tanto non sa cosa poi noi saremo in grado di fare...
-... grazie al potere!- concluse un'altra.
- Sì! Sì! Grazie al potere! Grazie alla sfera di vetro smerigliato...
- Ma lui non sa a cosa serve! - ribatté un'altra creatura.
-Cosa vuoi che gli importi? Nel suo cuore non c'è posto per i dubbi, non c'è posto che per lei... per nostra fortuna! Lui non si chiede niente, il suo sogno è solo lei... non potrebbe pensare ad altro, perché il suo cuore è offuscato dal dolore, è offuscato dai sentimenti - concluse la sirena, con una voce che esprimeva tutto il suo disprezzo nei confronti della fragilità del ragazzo.
-Ma se... non ci porterà la sfera?
-Non siate dubbiose, sorelle! Deve darci la sfera, se vuole essere aiutato! - Tuonò ancora la prima.
-E se... dovesse decidere di non venire?- mormorarono le creature.
-In tal caso... provvederemo! Ma arriverà, non temete. Fidatevi di me. Adesso dobbiamo sapere un'altra cosa... dobbiamo sapere chi è la Minaccia e la Salvezza, altrimenti il nostro piano fallirà!
-La donna nel vetro... la sua attività celebrale si è riattivata poco fa... avete capito qualcosa?
-Il messaggio era confuso...
Le sirene camminavano insieme, nascoste nell'ombra e nella nebbia, coperte dalle loro tristi mantelle nere come le notti senza luna.
-La Minaccia e la Salvezza... ma certo... è la ragazza! - Tuonò ancora una delle sirene.
-Sì, è probabile...
- No! Non è probabile, è certo! Il messaggio era poco chiaro, ma adesso ho compreso! E' lei, è la ragazza!
- Non possiamo permetterci alcun errore o passo falso...
- No, no...
-Dobbiamo essere sicure...
-Sì, sì...
-Dobbiamo avere il potere... abbiamo bisogno del potere... - Dissero, con tono di voce crescente, ed infine urlarono a squarciagola - ... PER LAYADDA!!!- ed il lamento delle creature tuonò, disperato, facendo tremare le pareti della grotta, ed anche la donna nel vetro.


Un grido di gioia violenta e furibonda si levò al cielo. Matteo aveva vinto la gara di skate. Ed era stato facilissimo, a quella gara partecipavano un mucchio di perdenti, rispetto a lui. Però, pur rifiutandosi di ammetterlo, non era felice, ma terribilmente inquieto e triste. Si sentiva in colpa. Aveva rubato, aveva marinato la scuola. Era cattivo, crudele, non certamente migliore di tanti altri delinquenti. E non era quello che voleva diventare. Ormai non gl'importava più niente neppure dei soldi. Cos'erano, dopotutto? Un mucchio di carta senza alcun valore. Valeva forse la pena, per un mucchio di carta, fare tutti quegli errori che aveva fatto lui? No, decisamente non ne valeva la pena.
-Povero ragazzo, è pentito per quello che ha fatto... però almeno ora potrà redimersi... - Disse Ang-li, l'angel che custodiva Matteo.
Sulfus, che era dietro di lui, inizialmente non parlò. Rimase in silenzio, immobile, a fissare un punto che andava oltre Ang-li, oltre il muro, oltre il cielo, oltre le nuvole, oltre tutte le cose esistenti ed inesistenti, perso nel dolore di pensieri che facevano male.
-Pensi davvero che potrebbe riscattarsi, dopo tutto quello che ha fatto?
Non era una domanda impertinente, fatta con tono dispettoso... era una domanda fatta con preoccupazione sincera.
Ang-li si voltò, e lo fissò, con quegli occhi blu come il mare in tempesta nei suoi, che invece erano ambrati come il colore del sole d'inverno. E nei suoi occhi lesse la paura. Paura? Perché paura? Non avrebbe saputo dirlo... in ogni caso annuì.
- Sì. Il Signore è buono e generoso, perdona tante cose... per un pentimento sincero.
Silenzio. Sulfus iniziò a bofonchiare qualche cosa sottovoce. Dopodiché lo vide rannicchiarsi su se stesso e premersi qualche cosa che non riuscì a vedere contro il petto. Infine si alzò e si allontanò.
- Dove vai? - chiese Ang-li. Sulfus si girò, lanciandogli uno sguardo torvo.
-E a te che importa? Vado dove mi pare. - Borbotto, tra sé e sé.
L'angelo lo osservò mentre si allontanava, pensando che aveva davvero un gran caratteraccio. Ma Sulfus aveva ben altro a cui pensare: un dolore grande che lo stava divorando dentro, un dolore assolutamente immenso. Doveva fare una cosa importantissima, ma non sapeva che sarebbe tornato prima di quanto pensasse... perché avrebbe assistito ad una scena raccapricciante.


Raf vide Urié da lontano, mentre camminava nel corridoio. Aveva l'aria frettolosa, e la angel dagli occhi color del cielo notò con stupore che stringeva fra le mani un secondo mazzo di fiori, ancora più grosso dell'altro che le aveva mostrato prima, quello di Florian.
- Raf! Cercavo proprio te - disse, trafelata.
-Oh, beh... eccomi - disse lei, abbozzando un sorriso e aprendo le braccia in segno di benvenuto.
-Nel giro di poche ore hai già trovato un secondo spasimante? - Chiese, prendendola in giro. Lei scosse la testa. Sembrava a disagio.
-No, veramente... questi sono per te.
Lei la guardò di sbieco. Erano per lei? - Per me? Ma ne sei sicura?- Chiese osservando meglio i fiori. Rose bianche. Rose bianche? Il cuore iniziò a batterle forte.
Si avvicinò anche Dolce, che non era arrivata prima perché si stava districando tra un gruppo di studenti in corridoio.
-Ragazze, mi sono persa qualcosa?
Vide Raf stringere il mazzo di fiori con le mani tremanti, e le guance diventare rosse come il fuoco. Capì che i fiori erano i suoi.
-Da parte di chi sono i fiori? Da chiunque siano, poteva mandarli colorati... il bianco non va di moda, quest'anno. Allora, hai aperto il bigliettino?- Chiese, infine, curiosa. La ragazza scosse la testa, e guardò Urié.
-Dove li hai trovati?- Balbettò Raf, annusando una rosa.
-Nella nostra stanza, sul tavolo. Ma non ho aperto il bigliettino, giuro.
Raf rimase ancora a fissare il vuoto, accarezzando una rosa bianca. Ma chi...?
Dolce e Urié si scambiarono un'occhiata interrogativa. Erano entrambe curiosissime. Perché Raf non si decideva e apriva quel bigliettino?
-Io sarei pronta a scommettere di sapere da parte di chi sono - Disse Dolce. Raf la fissò, con uno sguardo confuso. Non aveva il coraggio di aprire il bigliettino, perché sperava troppo che fossero di...
Scosse la testa, togliendosi dalla testa quello splendido pensiero. Non avrebbe mai fatto una cosa del genere. Anche se intrufolarsi furtivamente in una stanza era effettivamente una cosa che alla persona alla quale stava pensando riusciva sicuramente piuttosto bene. Aprì il bigliettino...
E rimasero tutte senza parole.
-Questa, poi!- Esclamò Dolce, con la voce che non nascondeva la sua delusione. Nè tantomeno si poteva nascondere la sua buffa espressione.
-Non so cosa dire, Raf...- Balbettò Urié. Ed era vero. Non sapeva se essere felice o dispiaciuta. Esattamente come non lo sapeva Raf. Ma era tutto così confuso, così strano... Aveva sperato sin dall'inizio, nel profondo del suo cuore, che i fiori fossero di Sulfus, e invece erano di...
-"Con affetto Ang-li..." non riesco ancora a crederci...- Balbettò Dolce, rileggendo la dedica sul bigliettino. -Certo, però, tre parole, si è proprio sprecato - disse, per sdrammatizzare. Ma Raf continuava a fissare triste quelle rose bianche.
-Credo proprio di doverlo ringraziare - deglutì - per un gesto così carino - e si allontanò, disperata, passandosi una mano fra i capelli sudati.
Sulfus era in ascolto proprio in quel momento, ed improvvisamente si sentì male. Una fitta di dolore lancinante lo colpì in pieno petto. Dolore. Rabbia. Gelosia.
Strinse i pugni, e lo fece in modo talmente forte da conficcarsi le unghie nei palmi delle mani. Quando le riaprì, notò che i palmi gli sanguinavano. Diamine! Che sanguinassero! Non gliene importava niente.
E tornò in fretta e furia sui suoi passi, furioso.


-Fermati! Basta, ti prego!- strillò Ang-li, schermandosi il volto con le braccia, quasi a volerlo fermare. Ma Sulfus non accennava a fermarsi. Con rabbia, lanciava ogni cosa, in quel triste vicolo dietro la pista da skate dove si era appena tenuta la gara di Matteo: cassonetti, cartacce, pietre, ogni cosa era buona da lanciare contro Ang-li. Era veramente, veramente, veramente arrabbiato. L'angelo se ne stava in un angolo, terrorizzato, ad osservare mentre tutta quella furia si scatenava.
-Come! Come hai potuto fare una cosa del genere?!- Urlò Sulfus, con una voce diventata improvvisamente tonante, che non sembrava neppure più appartenergli, e che spaventò Ang-li, il quale tentò mollemente di rialzarsi, tremante.
Lentamente, Sulfus gli girava attorno, guardandolo con astio. Lento, un passo alla volta, silenzioso come una lince che avanza verso la preda, con il Body Fly attivato sembrava molto più grosso di quello che in realtà era. Continuò a girargli attorno, con quello sguardo astioso e penetrante.
-Come hai potuto farlo? Ti rendi vagamente conto di che cosa hai fatto?! - Gli urlò contro, carico di rabbia. C'era un tale impeto in quella voce da spaventare una ragazza che passava di là proprio in quel momento, una giovane sempiterna dai lunghi capelli biondi, simili ad una cascata d'oro, innamorata proprio di quella voce. Raf era spaventata dal sentire quella voce tanto amata così rabbiosa e furiosa. Così si nascose dietro un muro, e rimase sconcertata a guardare la scena.
Voleva fermarlo, ma non lo fece. Voleva salutarlo, ma non lo fece. Voleva fare qualcosa, qualunque cosa, ma non lo fece. Non fece proprio niente, rimase solo a guardare. In silenzio.
Ang-li iniziò a borbottare. -Ma io non sapevo... non credevo... davvero io...
Il devil si spazientì. -Non sapevi! Sì, come no. Fallo credere a qualcun altro! Io so che tu sapevi! Lo so benissimo! - ringhiò, puntandogli il braccio contro, il tono accusatorio. Gli si avvicinò sempre di più. Il ragazzo tentò di sfuggirgli, ma lui lo inchiodò ugualmente al muro. L'angelo era terrorizzato, e desiderava solamente scavarsi un buco sottoterra e scomparire. Magari per una anno. Magari per una decina d'anni. L'unica cosa che sentiva era il respiro furioso del devil, e l'unica cosa che vedeva erano i suoi occhi socchiusi, che lo fissavano gelidi.
-Non farmi del male... - gemette, con una voce talmente debole da sembrare quella di un gattino terrorizzato.
- Farti del male? - Rise - Non voglio fartene. Voglio solo capire. Sai benissimo cosa provo per lei, per... Raf - la sua voce tremò e divenne debole, mentre pronunciava il suo nome. - Perché lo hai fatto? Come hai osato mandarle dei fiori?
Lui non rispose. Si limitò a tacere trattenendo il fiato, cosa che fece imbestialire Sulfus.
-Tu forse non capisci. - Fece un sospiro, la voce diventata ormai leggermente più calma. - Lei mi ha cambiato, è stata la mia salvezza, per te non può essere la stessa cosa. Lei mi ha salvato, ha salvato la mia patetica esistenza. Lei mi ha reso... diverso - e dicendo questo si allontanò da lui, lentamente, con gli occhi addolorati, e lucenti.
Ang-li tornò a respirare.
-Tu non capisci... non capisci...- Mormorò ancora, socchiudendo gli occhi. -Tu non puoi capire, nessuno può... ne-nessuno...- Balbettò. Ormai era tornato normale, senza più il Body Fly, e sembrava terribilmente fragile. Si coprì la bocca con una mano, accorgendosi che stava iniziando a singhiozzare. Iniziò a tremare. Non era possibile. Lui, Sulfus, il devil che non piangeva mai, sentiva le lacrime che gli salivano lente agli occhi lucidi, dolorose come schegge di ghiaccio. Si voltò e cominciò a correre. Correva per sentire il vento soffiargli contro il volto tutta la sua rabbia, correva per sentire l'aria rombargli nelle orecchie, correva per sentire il battito del suo cuore accelerare.
Correva per sentirsi libero. Ma non lo era. Nessuno lo era. Nessuno di loro poteva essere libero. Accelerò il passo.
Nessuno dei sempiterni era libero. Erano tutti prigionieri di un buio che gli era stato imposto con la forza. Male o bene. Bene o male. Male o bene. Bene o male. Era terribile.
Corse più velocemente.
Perché qualcosa di più grande doveva decidere del suo futuro, del suo destino? Perché? Mica lo aveva voluto lui di essere devil, del resto. Gli era stato imposto. Era nato così, e per anni non gli era dispiaciuto neppure. Lo aveva ritenuto normale, come respirare. Ma poi era arrivata lei... era piombata dal cielo, proprio come arrivano le cose più belle. E gli aveva mostrato che il male non era la sua unica alternativa.
Corse e corse e corse ancora, finché le gambe non gli fecero male.
L'aveva vista da lontano, con una risata divertita. Poi però, quando gli si era avvicinata, quando aveva visto i suoi occhi, aveva avuto l'improvvisa ed inquietante sensazione di aver già visto quegli occhi.
La rabbia lo opprimeva, il dolore si leggeva nei suoi occhi color del Sole d'inverno, la sofferenza correva assieme a lui come un'ombra. Ormai le sue gambe si stavano indebolendo, a furia di correre.
Quello sguardo... poi un'immagine. Gli stava per affiorare alla memoria, però un attimo dopo era scomparsa per sempre, affogando nei più profondi meandri della sua mente. L'unica cosa che aveva sentito era un brivido. E la cosa l'aveva sconvolto non poco.
Non ce la fece più a correre, quindi si fermò, ansimante.
Singhiozzo. L'agitazione non gli era passata. Le spalle gli tremavano, delle scosse lo investirono. Si appoggiò alla parete. Quando era stata l'ultima volta che aveva pianto? Ci pensò, si concentrò profondamente... Una fitta al petto, dolorosa. Chiuse gli occhi.
Gli sembrò di essere di nuovo lì, nel labirinto, con quel mostro che lo aveva afferrato per la testa e lo fissava, gli occhietti rossi iniettati di sangue che lo fissavano, ansiosi di scatenare la morte su di lui. Allora, lui aveva avuto paura. Veramente paura. Aveva chiuso gli occhi e aveva aspettato che il soffio della morte arrivasse, gelido ed implacabile, a togliergli la vita. Si era preparato al peggio, non aveva più la forza per opporsi. Non aveva più neppure la forza per avere paura.
E poi era arrivata lei.
Non aveva avuto paura del V.E.T.O. o delle regole, non aveva avuto paura di niente, lei. L'aveva strappato al soffio della morte che stava per impadronirsi delle sue membra, e lo aveva tratto in salvo. Tra le sue braccia, Sulfus aveva pianto calde lacrime. Lacrime sincere, lacrime di dolore, di paura, d'amore. Le prime che avesse mai pianto in vita sua da quando si era ferito ad un braccio, da piccolo. Ma il pianto per dolore fisico non si conta, vero?
Vero.

Era stato così strano, piangere. Era stato come liberarsi di tutto il dolore covato in quegli anni, alimentato con la rabbia.
La rabbia. Perché non poteva stare con Raf? Che cosa aveva fatto per non poterselo meritare? Non aveva anche lui il diritto di essere felice?
La rabbia... Un sentimento forte, devastante.
Il dolore... Un sentimento che fa male.
La sofferenza... Un sentimento che ti rende la vita impossibile.
A quel punto si voltò e ricominciò a correre, ma verso una direzione diversa. Verso la Golden School. C'era una cosa che doveva fare, e non poteva più rimandare.
Sapeva che poteva morire, lo sapeva benissimo. Ma non gli importava. Doveva provare.


Mentre Raf andava alla ricerca delle gemelle non faceva altro che pensare a Sulfus che piangeva. Quell'immagine non l'avrebbe abbandonata presto, probabilmente mai. Forse Ang-li non si era accorto che lui stava piangendo, ma lei sì. Quando lui si era messo a correre le era passato talmente vicino che lei avrebbe potuto toccarlo, prenderlo per un braccio e fermarlo. Ma non l'aveva fatto. Era rimasta nascosta, a guardarlo scomparire fra le strade, disperato.
Le cose così splendide che aveva detto su di lei... ancora adesso la commuovevano, e le facevano arrossire le guance.
Quella disperazione che aveva visto nei suoi occhi... La amava tantissimo, questo lo aveva capito, ormai, ma non poteva immaginare nemmeno lei fino a che punto potesse spingersi. Ma questo non avrebbe potuto prevederlo nessuno, in alcun modo, altrimenti le cose sarebbero andate parecchio diversamente.
Trovò quasi subito le gemelle. Non serviva un genio per capire che Gas aveva raccontato bugie all'una e all'altra per non farle riappacificare. Raf però riuscì a farle ragionare, anche se ci volle del tempo. Vide con gioia come facevano pace, abbracciandosi forte. Malauguratamente non riuscì a condividere la loro gioia. Un dolore cupo le divorava il petto e la opprimeva, e non riuscì a liberarsene.


Sulfus arrivò sino alla sua stanza, nell'incubatorio, asciugandosi le lacrime con il dorso della mano. Si chinò sul letto e prese il ciondolo da sotto il cuscino. Si fermò per un attimo a rimirare quel piccolo oggetto di lucente bellezza. Così piccolo, eppure così potente... era la sua ultima speranza.
Era venuto il momento. Si accorse che la mano gli tremava. Bene, che tremasse pure.
-Spero solo che funzioni.
Deglutì. Se lo mise al collo e sentì un bruciore investirlo. Anche il ciondolo stesso sapeva di dover essere usato. Infine il ragazzo prese un sospiro. Portò le mani a coppa sul petto, e incrociò le braccia sul ciondolo. Gli bruciava da morire, sembrava quasi che lo stesso avvisando del pericolo. Che bruciasse pure! Non lo avrebbe fermato di certo!
Prese un respiro molto lungo e urlò, contro il cielo:-Io chiedo di viaggiare nella terra sospesa!
Fasci di luce bianca lo avvolsero. E, a quel punto, Sulfus ne fu sicuro: non poteva tornare indietro.

Poco dopo stava precipitando. Non riusciva a fermarsi, non riusciva ad opporsi alla forza di gravità.
E non si oppose. Non ci provò neppure. Si lasciò cadere, nel buio.
Cadde. Si rialzò, dolorante. Ma che razza di posto era quello? Sembrava una grotta, gelida e scura. Con le braccia strette attorno al corpo, per scaldarsi, avanzò nella nebbia. Gli arrivò alle narici un forte odore salmastro. Salmastro? Ma come era possibile?
La nebbia era fitta, e non riusciva a vedere nulla. Poi le vide. Le sirene.
Avanzarono una ad una dalle tenebre, senza il soffio di un respiro, il fragore di un passo. Silenziose come, pensò Sulfus, ombre della notte. Erano tutte coperte da tuniche lunghe fino ai piedi. Alcune creature sibilarono. Iniziarono a camminargli attorno, sicure. Il devil si sentì perduto, e anche spaventato. Infine, una gli si avvicinò, chinando il cappuccio. Il ragazzo inorridì. La sua testa era completamente pelata, ma aveva una fiera pinna a tre pieghe, color rosso vermiglio, che terminava con una punta che le feriva precisamente a metà le sopracciglia.
Ma la cosa peggiore erano i suoi occhi. Erano vitrei, gelidi e bianchi come perle, ed emettevano una luce fortissima. Guardarli era come guardare in faccia al Sole. Due soli freddi incastonati in un bel volto di pietra. Eppure era piacevole guardarli, non bruciavano gli occhi.
La sirena era terrificante, ma al contempo sembrava bellissima.
Gli si avvicinò, la veste che frusciava a terra.
-Ti stavamo aspettando, giovane sempiterno - sibilò, fissandolo con i suoi occhi inespressivi.
Lui non sapeva cosa rispondere, così stette semplicemente zitto. Forse fu la cosa migliore.
-La sfera. Hai la sfera, vero? - chiese, la voce tagliente come un coltello che trapassava la pelle.
Lui si limitò ad annuire. Mise la mano in tasca, e ne trasse una sfera di vetro. Non appena l'ebbe tirata fuori, l'aria crepitò attorno ad essa. Le sirene emisero un sibilo all'unisono.
-Il potere... il potere... il potere... - queste erano le parole che sibilavano, come soffi di vento fra le fronde in autunno. La sirena allungò una mano verso di lui, ed aprì il palmo. Fra le dita, il ragazzo notò inorridito che c'erano delle pinne color rosso fuoco. Riluttante, poggiò la sfera sulla gelida mano della creatura, che vi richiuse sopra le dita come degli artigli.
Non aveva idea del danno che aveva appena commesso.
Le aveva appena consegnato il potere, un potere che le sirene avrebbero usato per portare morte e distruzione. Anche a lui stesso.
-Un patto è un patto - esordì un'altra sirena, dalla cresta blu scuro, avanzando verso di lui. -Vuoi davvero...
-Sì.
-Sei così sicuro?
-Sì. Voglio essere libero - si morse il labbro inferiore.
-Va bene, come vuoi. Avvicinati alla nostra acqua sacra. E non fare rumore. - Gli intimò la creatura, mentre le sue sorelle si ritiravano nuovamente nelle tenebre. -Inginocchiati.
Sulfus obbedì. La sirena gli accarezzò il volto con una gelida mano, e il devil ebbe conferma dei suoi sospetti. La pelle della sirena era gelida come il ghiaccio, e dura come il diamante. Ma, del resto, non erano creature normali. E poi non si sarebbe tirato indietro proprio adesso.
Poi, mentre la sirena lo fissò con un sorriso sadico stampato sulle labbra sottili come lame di coltello, si sentì parte di un gioco... un gioco pericoloso. Un gioco che non poteva in alcun modo controllare, e neppure comprendere.
Mai affermazione si rivelò più veritiera.

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