8. Violenza e dialogo

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Problemi… la testa di un terreno medio ne è totalmente priva, in genere. Anche per i sempiterni dovrebbe essere così. Peccato che le cose non siano mai come dovrebbero essere, per qualcuno poi è particolarmente difficile…”
 
Era una  notte cupa e piovosa,  la pioggia picchiava forte contro le vetrate della camera di Raf e non la lasciava dormire. Allora scriveva nel suo diario, seduta sul suo letto con le gambe incrociate, mentre Cox le illuminava la visuale, così non doveva accendere la luce e svegliare la povera Urié, cosa che in genere succedeva sempre.
I motivi che la spingevano a sfogarsi erano tanti.
Innanzitutto c’era il problema n 1, uno splendido ragazzo dai capelli del colore della notte ed una stella rossa sull’occhio sinistro, certamente rubata al cielo, tanto era perfetta. Questo ragazzo si era rivelato un problema sin dalla prima volta che ne aveva incrociato il magnetico sguardo d’oro. Problema n 1, così lo chiamava. Si fermò per un momento, mordicchiando la penna, stringendosi nel brivido di gioia che le avrebbe provocato chiamarlo diversamente, poterlo chiamare... poterlo chiamare amore in pubblico, poterlo guardare negli occhi, potergli regalare un sorriso, poter andare in giro, parlare con lui e dargli la mano, senza beccarsi occhiatacce dagli altri angel e devil, e ramanzine dai professori.
Quanto le faceva male lasciarlo... male al cuore, quello stesso cuore che batteva furiosamente, quasi volesse uscire dal suo stesso petto, quando lo vedeva... Si mise le mani aperte incrociate sul petto. Poi, ad occhi chiusi, si accarezzò le labbra con l’indice, come a cercarvi il ricordo di quando vi si erano posate le sue... anche il solo ricordo le faceva male. Faceva male pensare che non avrebbe sentito mai più una sensazione del genere. Sospirò.
E poi? E poi c’era sua madre, ovviamente.  Dov’era, e come aveva fatto a parlarle? Da dopo quella notte non l’aveva più sentita, ma non è che non ci pensasse, anzi: non faceva praticamente altro che porsi domande al riguardo.
Infine quel libro, Minaccia e Salvezza, che le aveva dato Urié.                                                                    
Raf desiderava tanto  che finisse il resto dei suoi giorni sul comodino, impolverandosi senza venir aperto mai più, ma non era possibile. Prima o poi avrebbe dovuto trovare il coraggio di aprirlo, che lo volesse oppure no, con la certezza che ogni singola parola del Serafino profeta che ne era l’autore era stata scritta per lei.
Ma vorrei aggiungere che di certo, miei cari lettori, non v’è nulla a questo mondo. Né tantomeno a quello dei sempiterni.
 
-Accidenti! L’hai fatto apposta! Ti detesto!- urlò Miki quella mattina, contro Raphitya, indicando il povero Andrea. La diavoletta, infatti, lo aveva messo dinanzi ad una scelta difficile. Gli aveva fatto vedere Ginevra mentre parlava con un altro ragazzo(il quale le stava semplicemente chiedendo dei compiti) e per di più gli aveva mandato un finto messaggio minaccioso da parte del ragazzo, nel quale lo sfidava ad incontrarsi.
-Ma certo che l’ho fatto apposta! Adesso Andrea non sa se parlare con Ginevra oppure andare a vedersela con quel ragazzo, faccia a faccia… ma so già cosa sceglierà! – e qui esplose in una risata diabolica. Miki era furibonda.
-Ti aspetto in aula sfida!
- No. Ti aspetto io, dolcezza… JUMP FLY! - urlò la devil, e sparì. Era già lì, in aula sfida ad aspettarla.
-Detesto i poteri di quella smorfiosa... in un attimo può arrivare dove vuole... – bofonchiò sbuffando Miki, la quale al contrario della sua rivale doveva volare.
-Allora cos... ah!- Urlò Miki, entrando nell’aula, quando un’intensa luce bianca l’accecò. Quando i suoi occhi si adattarono a quella luce, riuscì a capire di cosa si trattava: la devil aveva trasformato l’aula sfida in un campo da calcio.
- E’ ora di metterti in gioco, mia cara.- Le intimò Raphitya, lanciandole un  pallone da calcio che lei prese al volo.
L’angioletta osservò com’era vestita la sua rivale: già pronta per una vera partita di calcio, con tanto di scarpette e polsini, e sempre con la sua inseparabile collana d’oro con due rubini rossi incastonati.
La ragazzi aveva le mani sui fianchi, il peso inclinato sul piede destro, gli occhi socchiusi in uno stato di rilassata attesa.
-Preparati. Non vorrai giocare così, spero!- Le disse, quasi gentile.
Miki fu pronta con uno schiocco delle dita. -Uno contro uno?
-Dico, vedi un terzo per caso? Ovvio che è uno contro uno!- Rispose Raphitya, con evidente sarcasmo.
-Sempre meglio chiedere. Non si sa mai, con voi Devil, cosa può succedere, cosa siete capaci di fare.- lo disse con un mezzo sorriso, a metà tra un ammiccamento e un’espressione divertita. Ma sul volto di Raphitya, per un momento, si dipinse un’ombra, e nei suoi occhi guizzò un lampo di dolore.
- E’ vero, - confermò - non sai mai cosa potresti aspettarti dai devil...- e qui il suo sguardo si perse nel vuoto buio di un ricordo nero, e sembrava che quelle parole le  avesse dette più rivolta a sé stessa che a Miki. Poi, senza guardare la angel, allungò un braccio ed indicò con il pollice la porta dietro di sé. -Quella è la mia porta, dove devi cercare di mandare la palla, e quella è la tua, dove io devo mandarla. Capito? – Chiese infine, indicando la porta dietro Miki.
Lei annuì. Allora, per un breve istante, i loro sguardi s’incrociarono. Lo sguardo di Raphytia era spento e perso nel vuoto, perso nei ricordi, un mondo inaccessibile, un posto misterioso che si trova nella mente di ciascuno di noi, che spesso anche noi stessi abbiamo paura di affrontare ed esplorare.
Dopodiché lei distolse lo sguardo, lo fissò oltre le spalle di Miki, ed entrambe arretrarono.
-Sei pronta?
- Sì.
- Via!- Urlò Raphytia, calciando il pallone con tutta la forza delle sue gambe. Il pallone volò sopra la testa di Miki, e poi Raphytia sparì. Miki si girò: era dietro di lei.
-Non vale! Non puoi usare il JUMP FLY!
-Chi me lo impedisce? Tu, forse?
Miki contorse il volto in una smorfia e disse, sibilando fra i denti:- No, infatti. Non sarò io ad impedirtelo... ma nemmeno tu puoi impedire a me di usare i miei poteri, allora! STICK FLY!
Una raffica di formine collose ed appiccicaticce si riversò sui piedi di Raphytia, la quale non riuscì più a muoversi.
-Ma questo è eccessivamente sleale!- esclamò.
-Oh, lo so benissimo - disse Miki, calciando il pallone lontano dalla devil, dove lei non poteva prenderlo - Ma se tu bari, perché io non devo farlo?
-Ma che cosa c’entra? Io sono una devil, sono giustificata! Tu sei una angel, non dovresti fare cose del genere!
-Forse hai ragione, mia cara... ma vedi, io tifo per la giustizia, e così come dici tu non sarebbe giusto per niente.
- E allora? Se tutti fanno le cose sbagliate, una persona che si reputa buona può fare lo stesso perché lo fanno tutti, giustificandosi col pretesto di farlo per giustizia?-
Miki si bloccò. -Sono discorsi da angel.
-Sì, forse.- ammise lei.
-Sono pensieri che dovrebbe avere una angel, non una devil.
-Sì, forse.- ammise lei ancora, ripetendo quelle parole come una lagna.
-Chi ti ha detto una cosa del genere?- chiese Miki, insospettendosi.
-Ma nessuno! Sono cose che penso io. – Sbuffò Raphytia.
-E perché ti metti a pensare a come vivono gli angel?
Raphytia, drittissima con i piedi incollati all’erbetta del campo da calcio e la braccia conserte, la fissò dritto negli occhi. -Tutti hanno dei segreti, Miki. – La chiamò per nome, e all’angel la cosa non sfuggì. Quando un devil o un angel si chiamavano per nome era segno di rispetto e di verità, in un muto accordo tra i due popoli in contrasto eterno. Miki allora schioccò le dita e i piedi di Raphytia si liberarono.
-Non barare nemmeno tu, però. Solo per questa volta terrene complete, entrambe. Facciamo una partita come se fossimo solo terrene.
-E se rifiutassi?
-Sarebbe per vigliaccheria, perché significherebbe che non sai vincere senza i tuoi poteri.  
-Non ti arrendi mai, vero? – le chiese, ammiccando. - D’accordo, terrene complete. La partita inizia adesso.-
Miki annuì, e si scambiarono un sorriso, un sorriso d’intesa.
Quella fu la partita più onesta che venne fatta tra una angel e una devil... mai più si vide una cosa del genere, segno dell’inizio di qualcosa di speciale.
 
-E quindi adesso hai diritto alla prima mossa su Andrea? Ma è fantastico!- Si congratulò Urié con Miki, quella sera.
-Già, proprio così. Una gran bella partita. Molto leale.
- Strano, in genere i devil barano sempre - commentò Urié, perplessa.
- In genere. Ma ti ricordo che le eccezioni esistono!- la rimbeccò Miki, pensando ancora a Raphytia, a quanto era stata strana a fissarla con quello sguardo ghiacciato e freddo, che sembrava perso in un antico e remoto dolore… Scrollò la testa, sperando di togliersi dalla testa quella ragazza strana. Adesso il suo problema era come sfruttare la prima mossa su Andrea. Ma Miki non aveva mai avuto un fidanzato, non aveva la minima idea di come funzionassero le cosa tra due fidanzati come nel caso di Andrea e Ginevra. Mentre era afflitta da questo pensiero, si lamentò ad alta voce.
-Tutte noi saremmo in difficoltà in una situazione come la tua, Miki. Nessuna di noi è mai stata fidanzata... ma credo che...-  
Era Dolce a parlare. Urié la guardò negli occhi. Le bastò uno sguardo per capire cosa stava per dire, e inorridì. “Non farlo!” supplicò mentalmente. “Non dire quello che stai pensando di dire!”.
Ma era troppo tardi.  Dolce, che non aveva inteso le occhiate di fuoco che le aveva lanciato Urié, continuò a parlare.
-... ma credo che l’unica che ti possa dare un consiglio sia Raf.  
Ecco, l’aveva detto. E lei, Raf, era là questa volta. Appena si sentì chiamata in causa sussultò. Urié seppellì il volto fra le mani. Possibile che Dolce dicesse sempre la cosa sbagliata? Non sempre, in effetti. Solo quando non pensava alle conseguenza delle sue parole. Accadeva spesso? Più di quanto non avrebbe dovuto, purtroppo.
Solo appena finì di pronunciare quelle parole si rese conto della loro gravità. Guardò Miki ed Urié con l’aria spaesata di chi chiede vergognosamente scusa, ma ormai la frittata era fatta. Nessuna delle angel avrebbe voluto affrontare un argomento tento delicato e quanto mai doloroso.
-Scusami, Raf...  io non volevo... io non intendevo...- cercò di riparare Dolce.
-Non fa niente, è vero, sono l’unica che può darti un consiglio, Miki. E’ inutile nasconderlo, mica è una vergogna, una cosa cattiva, amare. Lo ammetto, sono l’unica di voi che ha amato… - e qui abbassò lo sguardo timido, perché stava per rivelare qualcosa di inconfessabile -…e che continua ad amare tuttora.- Ci fu un lungo silenzio. Un silenzio confuso, strano, inaspettato.
-Oooh… ma allora non era stata Reina?- chiese Dolce, con tono sorpreso. Urié seppellì il volto fra le mani. Possibile che Dolce dicesse sempre le cose sbagliate al momento sbagliato? Possibilissimo. Secondo Urié, anche un bambino avrebbe capito la verità senza bisogno di tante spiegazioni.                   
Raf rispose, calma:-No. Comunque voi non lo direte ad anima viva, vero?
-Mai!
-Mai!
-Mai! Hai qualche dubbio?
Tutte e tre promisero solennemente. Povera Raf! Era logico parlare, alla fine. Era impossibile tenersi quel peso dentro per tanto tempo. Urié, Dolce e Miki l’abbracciarono forte.
-Noi non ti giudichiamo, Raf. Amare è del tutto naturale - Disse Miki.
–E poi, se quel devil ti vuole bene, significa che un po’ di sale in zucca ce l’ha, no?- Aggiunse Dolce. Ci fu una risata generale. Finalmente un po’ di allegria!
-Comunque - disse Raf, avvicinandosi alla finestra – è meglio che non ci siano equivoci tra due fidanzati. Andrea e Ginevra devono parlare, altrimenti non potranno mai chiarirsi.
 Miki annuì, bevendo ogni sua parola come se fossero oro colato.
-Secondo me, dovresti…
 
-Angelo! Quante volte te lo devo ripetere, prima che tu mi risponda? Allora, quella chi era?
-Ma quella chi, tesoro?  
-Non fingere di non saperne nulla! Quella ragazza con i capelli rossi che ti si è avvicinata prima! – Urlò Miki contro suo fratello. Erano entrambi terreni, e qualcuno che sembrava trovarsi nella loro identica situazione li osservava.
-Ma chi, Rosalie? Ma Mi… Millicent, tra noi non c’è niente! Mi ha solo chiesto dei compiti!
-Oh… mi spiace… ho inteso male, allora. Scusami!
-Ma certo, l’importante è che ora sia tutto chiaro!
E i due fratelli “ fidanzati” si abbracciarono. Ad Andrea, poco lontano, parve capire che quella era la scelta giusta.
-Devo parlare con Ginevra. Lei  mi spiegherà tutto…- mormorò tra sé e sé, e si girò per correre subito da lei, ma sbatté contro qualcuno. Era una ragazza. Lui cadde, e la ragazza lo aiutò a rialzarsi.
-Scusami! Sono desolata…
La ragazza era stranissima: aveva i capelli rossi come il fuoco, suddivisi in due parti uguali e perfettamente simmetriche, che ricordavano due corna.
-Raphytia!- sibilò Miki vedendola, in tono gelido. Da quanto era là? Era già arrivata per la sua mossa? Mentre Miki la osservava da lontano, anche Andrea faceva lo stesso, e non poteva fare a meno di notare che era furiosa. O, se non lo era, era un’ottima attrice.
-Scusa, oggi sono furiosa, perché il mio ragazzo… era con un’altra. Abbiamo parlato, ha detto che non era nessuno per lui… ma mi ha mentito! Mi ha mentito! Li ho visti con questi occhi mentre si abbracciavano! – Disse, sull’orlo delle lacrime, indicandosi gli occhi con gesto melodrammatico.                   -Ah, ma avrei dovuto prenderla a botte subito! – e così dicendo, agitò il pugno per aria, per fargli capire che non scherzava affatto. Poi si chinò verso di lui e gli mormorò, a denti stretti:-Non fidarti mai degli altri, ragazzo. Sono capaci di inganni crudeli che possono ferirti. Addio - e così dicendo se ne andò, con il volto fra le mani dalla disperazione. Aveva detto quella frase con un tono talmente serio… il tono di chi ha sofferto veramente. E, per gli istanti di quella frase, non stava recitando.
Andrea era tra due fuochi. Cosa avrebbe fatto? Avrebbe parlato con Ginevra, e avrebbe creduto ciecamente alle sue parole? Oppure sarebbe andato dal ragazzo per vedersela faccia a faccia?
 
-Da giorni è sospesa l’attività celebrale… - mormorò una figura ingobbita. Una donna, nel buio, sbuffò.
-Male, male.
-Male… male… male… male….- le fecero eco le altre voci, provenienti dalle profondità della grotta.
-Deve parlare! Dobbiamo sapere cosa sa! 
-Ma la figlia non deve sapere.
-No, infatti… ma forse è inevitabile, lei parlerà solo se potrà comunicare con la figlia.
-Riattivate l’attività celebrale della donna nel vetro!- Sbottò ancora la voce, più feroce.
-Come? Come? Come… come…?
-Cosa vuoi che ci importi? In qualsiasi modo!  
Allora una creatura ingobbita si chinò sulla teca di vetro, ed iniziò a mormorare parole misteriose in una lingua antica, parole terribili, il cui significato si perde nel buio della notte dei tempi.
 

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