MIGLIORI AMICI II

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«Ahia! Oh – oh, Manuel... Oh, i capelli, si sono – okay, aspetta. Oh, ti ho detto ahia! Ma te stai fermo?».

Manuel scoppia a ridere fragorosamente, il viso nascosto nell'incavo del collo di Simone.

Ha le lacrime agli occhi ed è tanto che non gli succede per le troppe risate, per la troppa contentezza.

Forse nemmeno dovrebbe scaturire in un gesto simile considerando che sono sdraiati su un letto ad una piazza e mezza, uno sopra l'altro, con le bocche che tentano di collidere, le braccia e le gambe di intrecciarsi, ma con scarsi risultati perché son finiti a tirarsi gomitate o colpi con le ginocchia e, di sicuro, ci rimedieranno dei lividi.

Sì, devono trovare l'esatta coordinazione, ci stanno lavorando.

Simone sbuffa e spinge il compagno con un palmo aperto sul suo petto. Ribalta le posizioni poiché non riesce più ad avere l'altro addosso e fa in modo che possa sistemarsi a cavalcioni sulle sue gambe distese, all'altezza delle cosce. Rimane per un attimo col busto sollevato, seduto, con i capelli scompigliati e il capo appena inclinato di lato, a fissare Manuel con sguardo sottile.

«Sei – assolutamente impacciato» commenta, ma non vi è acidità nella sua voce, anzi, utilizza un tono alquanto divertito «ma sei sempre stato così?».

Manuel si porta entrambe le mani a nascondere il viso e le troppe risate. Per rispondere, scopre soltanto un occhio: «Non che ricordi, vedi che er problema sei tu» lo prende in giro.

Simone corruccia le labbra in una smorfia e poi gli fa la linguaccia. Si china nella sua direzione, scosta l'ostacolo che gli impedisce di vedere il suo volto e blocca i suoi polsi ai due lati della sua testa; dopo si fionda sulle sue labbra, lo bacia avidamente e con attenzione, tenendo le palpebre strette e inspirando forte dal naso come se in quel modo potesse assimilare il suo odore e inebriarsi con esso.

«Pensavo...» biascica, spostandosi lentamente sul suo collo – e Manuel rimane immobile, lo lascia fare, si lascia maneggiare alla perfezione – «Pensavo che – a me piace questo... Limonare. Un sacco, mi piace un sacco, però mi sono un po' stufato di – di solo le mani».

Manuel spalanca gli occhi a quelle semplici frasi: non c'è nulla di esplicito, però è tutto comprensibile.

C'è soltanto una cosa che va oltre il loro limonare – per quanto squallido trovi quel termine – ed è la stessa che lo spaventa a morte.

«N-non...» balbetta «non dovevamo – andarci piano?».  

«Ci andiamo piano da mesi» bofonchia Simone, prendendo a succhiare piano una porzione di pelle proprio sotto la linea del mento.

«Sono – stufo di aspettare, che dobbiamo aspettare?».

Manuel si deve sforzare di distaccare l'altro ragazzo – perché quella sensazione sublime, quel formicolio che sente ovunque e quel calore che si propaga in ogni sua cellula è difficile da mandar via; oscilla appena col bacino in modo che Simone gli lasci i polsi e, non appena è libero, lo prende per le spalle e lo scosta così da potersi guardare in faccia.

«Non – non lo so» mormora «è solo che––».

Simone aggrotta le sopracciglia, perplesso. «Che cosa?» domanda.

Manuel esita, mordendosi piano il labbro inferiore e cerca di evitare il suo sguardo, mentre spera che il rossore che gli sta facendo ardere le gote sia poco visibile – ma l'intera stanza è illuminata soltanto da una abat-jour sul comodino lì accanto, quindi non dovrebbe essere difficile (almeno crede).

«So' in ansia, okay?» tenta di spiegare «Cioè, mica l'ho mai fatto. Metti che sbaglio qualcosa? O faccio qualche cazzata? Non è 'na cosa da niente, non so manco dove mette' le mani».

TATTOODove le storie prendono vita. Scoprilo ora