L'ABBRACCIO

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[Note autore:
Boh, ho visto i primi due ep della seconda stagione, secondo me mancava un pezzo di hurt comfort.
Roba veloce così tanto per.
Buona giornata.

Lilith.]

Quell'anno scolastico non è nemmeno iniziato e la vita di Manuel è già stravolta.

Nemmeno nella più fantasiosa delle ipotesi si sarebbe immaginato di finire così: senza una casa, con la madre che ha una relazione con il suo professore di filosofia e lui lì, nell'immensa villa Balestra a condividere la stanza con Simone.

Assurdo pensare che poi, comunque vadano e si evolvano le cose, quella sia la sua costante: Simone che c'è sempre, nel bene e nel male, Simone che c'è stato tutta l'estate nelle fughe ad Ostia nel fine settimana, con la moto rotta, la giacca strappata, il taglio di capelli sbagliato.

Simone, il suo sorriso, il suono della risata, Simone che ha iniziato ad allenarsi, ad andare in palestra, a mettere su muscoli e Manuel che si accorge di ogni minuscolo suo cambiamento – perché, alla fine, lo guarda troppo, volente o nolente, lo fissa, tanto da analizzare i suoi tratti e averli imparati a memoria.

Cazzo, Simone è sempre fisso nei suoi pensieri, così tanto da essere fastidioso.

Bellissimo.

Fastidioso.

Ma perché?

C'è anche in quel momento, mentre è sdraiato su quel letto ad una piazza che è un po' scomodo e piccolo – i piedi gli escono fuori dal materasso, ma non se la sente di lamentarsi col padrone di casa, è già tanto che abbia un tetto sopra alla testa.

Osserva il soffitto bianco, nota che ci sono delle minuscole e impercettibili crepe su di esso.

Soprattutto, però, nella quiete della notte, riesce perfettamente a sentire dei singhiozzi, lievi lamenti che provengono al suo compagno di stanza.

Gli rivolge uno sguardo che tenta di apparire distratto: lo scorge su di un fianco, vede la sua schiena ricurva e i capelli spettinati sulla nuca.

Si morde piano il labbro inferiore. Una parte di lui gli suggerisce di lasciarlo stare, che l'altro ha bisogno di tempo per elaborare ciò che è successo: un coglione della loro scuola lo ha aggredito in palestra e, Dio, se non fosse che è finito in ospedale prima, Manuel ce l'avrebbe mandato molto volentieri, con le proprie mani – perché possono toccargli e prendergli tutto, la casa, la moto, ma non Simone.

Mai Simone.

Prende un respiro profondo. «Simo?» lo richiama.

Non ottiene una risposta, non nell'immediato.

Lo spazio che separa i loro letti è minuscolo, inesistente quasi, per cui a Manuel è sufficiente allungare il braccio per raggiungere con la punta delle dita il suo fianco e pizzicarlo appena; percepisce la maglietta umida di sudore e i suoi lievi tremori.

Non può semplicemente lasciare perdere, andrebbe contro la sua natura.

Così si solleva con il busto, cerca di sporgersi quel che può per vedere il suo volto, cosa che è resa pressoché impossibile sia a causa delle loro posizioni, sia per la mancanza effettiva di luce nella camera.

«Oh, tutto okay?» domanda, sebbene la risposta sia piuttosto palese.

Certo che nulla è okay.

Anche stavolta il silenzio corrisponde con la replica, il che lo spinge a strisciare sul materasso e ad occupare con una gamba quello al di fianco.

«Guarda che se te continuo a sentì frignare, non m'addormento più» dice e accenna una risata per cercare di smorzare la tensione. Non funziona molto, dal momento che Simone emette un verso misto tra il divertito e l'isterico.

Quest'ultimo particolare porta Manuel in un modo terribilmente naturale a spingersi più in là, più sul letto dell'altro, ad esserci – in pratica – sopra; ci stanno sopra entrambi a stento, a dire il vero, ma non sembra avere importanza.

Simone non si volta, ha assunto una posizione fetale. Manuel gli si sdraia dietro, sempre su di un fianco. Non emette fiato, non proferisce parola.

Ma che fai?!, trilla la sua coscienza. È un rimprovero al quale non vuole dare ascolto.

In quei mesi passati, nella sua testa si è svolta – è ancora in corso – una guerriglia tra mente e cuore, tra desideri nascosti e innati e una paura infondata di sé stesso che non riesce a mandare via.

Per Manuel, Simone è importante.

Simone è tutto.

Farebbe qualsiasi cosa per saperlo al sicuro, per continuare a vederlo sorridere, ad essere fiero come lo è stato da quando ha fatto coming out a scuola e con tutti i loro amici.

Osservarlo in quello stato lo distrugge, soprattutto per non essere stato lì quando succedeva.

Non ha potuto proteggerlo abbastanza.

Non sei il suo angelo custode.

No, ma posso provarci.

E questo che cosa vuol dire?

La risposta ad una simile domanda lo terrorizza.

Non deve pensarci.

Non vuole pensarci.

«Vedi che mo' sistemiamo tutto, t'assicuro» prova a sussurrare «tanto noi alla fine 'o facciamo sempre.»

Noi è una parola forte.

Alza una mano che gli trema. Vorrebbe posarla sul suo braccio, sul suo fianco, toccarlo, fargli sentire che lui c'è, c'è sempre.

Tuttavia, esita. Si tira indietro.

Pensa che, forse, è stata una pessima idea persino andargli così vicino, forse sta sbagliando, deve lasciargli i suoi spazi, i suoi tempi.

Ma tempo e spazio sono vostri.

«Vuoi n'abbraccio?»

E allora sei stupido.

Un po' lo è sul serio, considerando che formula dei pensieri, ma le sue azioni sono l'esatto opposto.

Ad ogni modo, cerca di allungare il collo per vedere Simone che annuisce appena, mentre tira su col naso.

Manuel non esita nemmeno quando circonda il suo busto con un braccio e finisce ad appoggiare un palmo sulla sua pancia; percepisce il suo respiro affannoso al di sotto, i suoi tremori, la sua paura.

Hanno entrambi paura, seppur per motivi diversi.

Da tale posizione, Manuel si concede – per un minuscolo e unico attimo – di affondare il naso tra i capelli di Simone, sulla sua nuca, anche se sono un po' sudati e appiccicosi.

Ha un buon profumo.

E a te non dovrebbe piacere così tanto.

Strizza le palpebre. «Oh, non lo dì in giro che abbraccio le persone, c'ho 'na reputazione» commenta, sarcastico, per sviare le proprie emozioni.

È bravissimo a farlo.

Stavolta, Simone ride, con un briciolo in più d'entusiasmo. «Sarà il nostro segreto» biascica, tirando su col naso.

«Può esserlo tutte le volte che vuoi» sussurra Manuel.

Lascia quella frase in sospeso, intanto che la sua coscienza gli dà una piccola tregua, in un momento di calma racchiuso in un abbraccio.

Il primo, uno dei tanti.

Ogni volta che vorranno.

TATTOODove le storie prendono vita. Scoprilo ora