MACCHINA (GIALLA)

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A Simone non piace prendere i mezzi pubblici, in particolar modo quelli di Roma - ha un pessimo rapporto con l'ATAC, tra ritardi, corse cancellate e autobus che vanno a fuoco - quindi li utilizza proprio se è costretto.

Ecco, quel giorno è costretto perché, in periferia della città insieme a Manuel, la loro moto ha deciso di abbandonarli, pertanto, data l'impossibilità di Dante, suo padre, di andarli a prendere, hanno dovuto optare per uno spostapoveri.

Perché il taxi costava decisamente troppo per entrambi e Manuel, comunque, non lascerebbe mai del denaro ad un tassista - il motivo lo sa solo lui.

L'autobus su cui salgono è abbastanza pieno, ma riescono a trovare due posti nei quali accomodarsi.
Manuel si appropria subito di quello dal lato finestrino e Simone vorrebbe lamentarsi, dire che sarebbe piaciuto a lui mettersi lì, però sa che tanto non ha il coraggio di obiettare e discutere e allora lascia perdere.

Si stringe nelle spalle, in quel posto che non ha abbastanza spazio per le sue gambe lunghe.

Pensa alla sua moto, fedele Vespa bianca che lo ha lasciato a piedi e lo reputa quasi un alto tradimento, anche se è colpa sua che ha ignorato la spia accesa da almeno un mese che indicava qualche anomalia al motore.

Che stupido, avrebbe potuto evitarlo, Manuel lo ha già rimproverato abbastanza per ció e glielo rinfaccerà per giorni e giorni - se non settimane o mesi.

«Macchina rossa!»

Viene distolto dai propri pensieri quando Manuel lo colpisce con un pugno chiuso sul braccio - e gli fa pure un po' male, a dire il vero.

Sgrana gli occhi e lo vede con un ampio sorriso sulle labbra.

«Ma che...?» borbotta, massaggiandosi la parte lesa.

«Non l'hai mai fatto 'sto gioco?»

«Quale?»

«Che se vedi 'na macchina di quel colore, dai un colpo sul braccio all'altra persona.»

Simone è un po' intontito, aggrotta le sopracciglia. «Sì, ma si fa con le macchine gial—» sta per replicare e la sua frase viene interrotta da un ulteriore colpo e un secondo: «Macchina rossa!»

«Ahia!» è costretto a lamentarsi.

Però Manuel ride e riprende a guardare fuori dal finestrino, a scrutare il traffico al meglio che può.
Simone sospira. Da quella posizione nemmeno riesce bene a vedere fuori e gli risulta impossibile ricambiare con la stessa moneta.

«Si fa con le macchine gialle 'sto gioco,» puntualizza «se no è troppo facile.»

Manuel lo ascolta distrattamente, fisso sulle auto fuori dal finestrino. «Lo puoi decide' te il colore, mica ce sta 'na regola» ribatte.

«Certo che c'è una regola, è perché le macchine gialle sono p...»

«Macchina rossa, macchina rossa, macchina rossa!»

Ne vede tre di fila, ma essendo parzialmente girato i suoi colpi sono più fiacchi, non mirano al braccio e urtano lievi un briciolo la spalla e il petto di chi gli sta accanto.

In seguito, Manuel si gira. Preme la schiena sul sedile e il suo sguardo guizza da fuori al finestrino e Simone al suo fianco. «Macchina rossa!» dice ancora quando vede sfrecciare una Panda del suddetto colore e il suo palmo va a posarsi al centro esatto del petto dell'altro ragazzo.

Nel mezzo di quel gioco stupido e con regole sbagliate, Simone pensa di poter esplodere - sente che il proprio cuore sta per farlo in quel momento, per quel minuscolo e insignificante contatto, attraverso il tessuto spesso della felpa.

La cosa, poi, si accentua e peggiora quando Manuel ripete «Macchina rossa!» e poggia una mano sulla sua coscia.

Le sue guance avvampano, le orecchie pure e trattiene il respiro.

Non vuole fare la figura dell'idiota sottone, quindi cerca di riprendere un minimo di controllo su sé stesso: finge un colpo di tosse, sbatte le palpebre, stringe un pugno e picchietta sulla spalla di Manuel.

Quest'ultimo strabuzza gli occhi. «Quella macchina non è rossa, è blu!» si lamenta.

«Non hai detto che non ci sono regole?»

«Beh, se decide prima il colore, abbiamo scelto il rosso.»

«E a me piace di più il blu.»

«Non vale.»

«Sì che vale.»

«Sei un imbroglione del cazzo.»

«Ha parlato» Simone gli fa il verso.

Manuel accenna una flebile risata e scruta un'ultima volta fuori dal finestrino per cercare una macchina rossa - niente di fatto.
«Dobbiamo scendere alla prossima» annuncia.

«Di già?»

«Seh, ma ce conviene alzarce prima che poi fa la curva e cascamo a terra.»

Simone annuisce. Il pullman si è riempito parecchio durante il loro tragitto. Lui è il primo ad alzarsi, un po' traballante a causa dell'andatura del mezzo e le strade non bene asfaltate. Fatica a farsi largo tra le gente ammassata e ad un tratto, senza nemmeno rendersene davvero conto, si accorge di aver preso Manuel per mano per non perderlo.

È buffo come basti intrecciare le dita per sentirlo più vicino.

Che poi, se ci ragiona, nell'ultimo periodo Manuel ha usato le scuse più assurde e disparate per avere un qualsiasi contatto fisico che sembrasse casuale - il gioco della macchina rossa pare l'ultimo di una lunga serie.

E non capisce perché.

Cioè, forse un po' lo capisce, però non vuole farsi troppe illusioni.

Non ci va d'accordo con quelle e finisce sempre per schiantarsi contro lo spesso muro della realtà.

Ad ogni modo, riescono nell'impresa di abbandonare l'autobus troppo pieno.

L'aria fresca d'autunno è piacevole sulle guance.

La fermata alla quale approdano è deserta e dista almeno un chilometro e mezzo da villa Balestra, quella che è diventata casa di entrambi dopo l'inizio della relazione tra Dante e Anita, però è già tanto che arrivi un mezzo pubblico in quella zona, per cui non si lamenta.

Simone ha lasciato da poco la sua mano. Cerca di regolarizzare il respiro affannoso per quel contatto appena più intenso e allora abbassa il capo, prova a riprendersi e così facendo si distrae di nuovo.

Nelle orecchie gli giunge il ronzio di un motore. I suoi occhi sfarfallano.

«Macchina rossa!» sente e pensa che riceverà l'ennesimo colpo sul braccio che ancora gli fa male.
Invece, contro Manuel rischia di andarci a sbattere e poi si ritrova le sue labbra premute sulle proprie.

È un bacio lieve che non comprende alcuna lingua e crea uno sfioramento delicato, ma tanto basta per mandarlo in tilt.

La luce di un singolo lampione illumina le loro figure.

Quando Manuel si stacca, Simone riesce a scorgere i suoi occhi vispi e curiosi, il suo sorriso strafottente di chi sa cosa ha appena causato.

Lo vede fare due passi indietro e allargare le braccia. «Stai a perde' de brutto, Balè» lo prende in giro.

Ma in quel caso, a Simone non dispiace perdere, così come non gli è dispiaciuto prendere quell'autobus tale sera.

«Io...» fa per dire.

Pure stavolta, Manuel lo precede e interrompe: «Famo a chi arriva prima!»

Simone accenna una risata. «E che si vince?» domanda.

«Chi vince, lo sceglie.»

A quel punto, si ritrova ad annuire, dare corda al nuovo gioco di cui conosce le regole e al via inizia a correre con l'intento di vincere perché ora sa benissimo che premio riscattare.

***

[Note autore:
Ho assistito a questo gioco tra due ragazzi col pullman che facevano questa cosa e ci ho visto i Simuel...]

TATTOODove le storie prendono vita. Scoprilo ora