C'È IL TUO PROFUMO, L'ODORE DI FUMO SU ME

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Fisso le mie scarpe, ma ti bacerei
Tu ti avvicini e lo fai
E come sempre fai quel che vuoi
E sa di buono lo sai
Il tuo profumo
L'odore di fumo che hai



Simone sbuffa sonoramente al suono della voce metallica che annuncia un ritardo di almeno quaranta minuti sulla tratta.

Non ha capito se è a causa di un guasto o di una coincidenza di un altro treno (che coincidenza non è proprio), ma – di fatto – è bloccato in quel vagone.

Odia i viaggi, quelli lunghi, perlomeno.

Preferisce prendere l'aereo, risolvere tutto in un'ora, massimo due, e lo avrebbe preso volentieri anche questa volta: da Roma a Milano, una sciocchezza.

Invece no, è stato costretto ad usufruire di un treno e nemmeno un Frecciarossa – sia mai – bensì uno dei pochi Intercity che ancora circolano e ci impiegano un'eternità ad arrivare a destinazione.

Per di più è di giorno, fa caldo, la pelle gli si è appiccicata al sedile e crede di essere sul punto di impazzire.

Sono fermi ad una stazione che non ha ben capito dove esattamente si trovi.

Cerca di scorgere il cartello col nome della città, però dalla posizione in cui si trova è pressoché impossibile.

Insomma, è da qualche parte nel centro dell'Italia.

Non ha ulteriori informazioni.

Guarda l'ora sul cellulare. Non sono neppure a metà percorso e sono fermi da venti minuti buoni o qualcosa di più. Sbuffa di nuovo.

«È libero qui?»

Simone è sovrappensiero, ragion per cui il quesito gli giunge alle orecchie con un lieve ritardo e rischia di non rendersene davvero conto.

Distratto, solleva lo sguardo. Col senno di poi, forse avrebbe dovuto farlo con più lentezza, con calma, giusto per assaporare il momento, quell'immagine che gli appare davanti che è quanto di più simile ad un sogno, almeno per lui.

Perché quei ricci castani e arruffati, gli occhi ridotti ad una fessura, le lunghe ciglia e il mezzo onnipresente sorriso di sfida...

Quelle cose le riconoscerebbe tra mille, sempre e per sempre.

«Manuel» soffoca.

Fatica a deglutire, mentre il ragazzo – Manuel, quel dannato nome è impresso nella mente e nel cuore – si siede di fronte a lui dopo aver buttato in malo modo lo zaino rosso troppo pieno nello scomparto apposito, in alto.

Da quanto tempo non lo vede?

Un anno.

Forse sono due.

Non lo sa, ha un po' perso la cognizione del tempo dall'ultima volta in cui è accaduto.

Se lo ricorda.

O più che altro ricorda Manuel che lo mandava a quel paese e che se ne andava sbattendo la porta.

Il motivo del litigio lo ha dimenticato, ma discutevano quasi in ogni momento, da fidanzati.

Le cose andavano meglio prima, quando passavano il tempo chiusi in camera da letto, a consumare scatole di preservativi e tubetti di lubrificante.

Andava bene, erano felici.

Poi non ha idea di cosa sia successo.

La vita, probabilmente.

O loro due troppo stupidi.

«Pare che hai visto un fantasma» Manuel ride, accasciandosi piano sul sedile. È completamente vestito di nero, dai jeans attillati, la t-shirt grigia, una camicia a scacchi nere e rossa lasciata sbottonata e gli anfibi ai piedi.

TATTOODove le storie prendono vita. Scoprilo ora