Capitolo 22

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Il mutismo che avvolse Hester fu quanto di più pesante avesse mai sperimentato in vita sua. Qualcuno le aveva strappato le corde vocali, la lingua era un pezzo di stoffa inutile all'interno della sua bocca.

«Hester?» la voce del suo ex ragazzo le pungolò le orecchie. Ora sembrava lontana. La avvertì come si avverte ciò che non ha mai fatto parte della propria esistenza, un corpo estraneo.

«Noah» perfino il suo nome, quando lo pronunciò, ebbe un retrogusto sconosciuto. «Sono al lavoro» disse una mezza verità, tanto lui non avrebbe mai saputo che se ne stava andando. E non doveva saperlo, perché la verità era che non gli doveva più niente. Non aveva più diritto a sapere qualcosa della sua vita. Doveva starle lontano, e basta – anche se non lo avrebbe mai fatto, non davvero.

«Lo so, ma è importante» c'era qualcosa, nel tono di Noah, che non le tornava. Un senso di allarme che non doveva esserci, che era così fuori luogo su di lui.

La scatola che aveva trovato sul davanzale le balenò nel cervello. Era stato davvero James?

Non poteva essere.

Quel pensiero doveva essere generato dalla soggezione che aveva provato durante la seduta. Doveva essere stato il prodotto della sua ossessione.

No. Era stato Noah. Per forza. James non aveva modo di sapere dove abitasse, perché i suoi dettagli personali dovevano restare all'oscuro dei pazienti e lui non aveva fatto eccezione.

«Dove vuoi andare a parare?» la sua voce era sempre così insopportabilmente insicura, quando si trattava di parlare con Noah. Fatta di argilla friabile, di vetro sottile.

Dall'altra parte ci fu il silenzio per qualche secondo, come se lui stesse ancora decidendo se parlare o meno.

«Lo ammetto, ero vicino a casa tua, la sera in cui hai trovato la scatola. Ma non sono stato io a mettercela.»

Hester avvertì l'impulso bruciante di sbriciolare il telefono. Lo strinse nella sua mano, ascoltando il suono delle unghie che grattavano il bordo della cover. Aveva richiuso le falangi sull'oggetto, lasciandole strisciare sulla sua superficie.

«Senti, Volevo solo dirti questo. Non mi rifarò sentire, se è questo che vuoi. Ma volevo farti sapere che, chiunque abbia messo quella scatola in casa, io non c'entro niente.»

Le parole che Noah aveva appena pronunciato rimbombarono dentro di lei a lungo, prima che riuscisse a metabolizzarle.

«D'accordo» disse alla fine, con voce incolore. «Ciao», riattaccò senza neanche aspettare una vera risposta.

C'era qualcuno lì. L'ho visto entrare nell'edificio, ma non sono riuscito a capire chi fosse.

L'immagine che la sua mente stava producendo era così sinistra che si rifiutava anche di accettarla. Come in una fotografia appena stampata, i tratti di James presero forma nella sua testa. La sua sagoma che si muoveva nel buio, un cappuccio calato sui capelli neri, lui che entrava in casa sua – Dio solo sapeva come – e metteva quella scatola sul davanzale. Le sembrò di vederlo nella sua testa mentre, magari, la comprava in un negozio di antiquariato, scegliendola con attenzione, lasciando scivolare il gelo dei suoi occhi su ogni pezzo esposto. Lo immaginò cercare quello perfetto, quello che più lo rappresentava. E poi ancora, lui che percorreva il lungo corridoio del suo appartamento, o la sua camera mentre lei dormiva. Silenzioso, invisibile. Avrebbe potuto ucciderla, uccidere Matthew. Forse aveva provato l'impulso di farlo.

Chiuse gli occhi per un istante; sospirò, mentre un principio di emicrania le si diramava dal naso fino a tutta la fronte. Aveva la sensazione che il suo cervello stesse scoppiando.

Il lato crudeleDove le storie prendono vita. Scoprilo ora