Capitolo 43. Lovefool - The Cardigans

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Love me love me
Say that you love me
Fool me fool me
Go on and fool me
Love me love me
Pretend that you love me
Leave me leave me
Just say that you need me

"Consegna per Grandi Sogni!"

"Ti apro sul retro!" Mentre rispondevo a Leo, urlando su citofono, abbassai il volume della radio, che stava trasmettendo la canzone dei Cardigans, perfetta per trasferire a parole l'espressione del mio corriere in quel momento.

"Emilia, nuovi arrivi per te." Si asciugò la fronte sudata con un gesto deciso della mano su tutta la faccia, mentre si portava i capelli castani dietro la fronte.

"Sì." Replicai soltanto, mentre gli lasciavo scaricare quattro colli sul pavimento annerito del magazzino, segnato e rigato da tante consegne in molti anni. Lanciai un'occhiata all'ingresso del negozio per controllare che non stessero entrando clienti.

"Dopocena mi fermo con alcuni amici al pub di Simone, c'è un gruppo che suona, se vuoi unirti..."

"Grazie." Mi limitai ad annuire, poi scossi la testa, concentrandomi sugli scatoloni, piegandomi con in mano il cutter per controllare la merce e spaccando i nastri adesivi, approfittando della sua presenza, lì con me, per eventuali ritiri di merce difettata.

"Ti vengo a prendere alle otto? Quando stacchi?"

"Lascia perdere, Leo."

"Cosa?"

Osservai le confezioni di ukulele ordinati da una scuola media, in vista del nuovo anno scolastico, con il progetto musicale in corso. Contai il numero degli articoli confrontandoli con i dati della bolla mentre gli rispondevo.

"Non credo che uscirò, stasera."

"Alex ed Emma verranno. Faccio per dirtelo. Li ho già chiamati." Mi costrinse a voltarmi verso di lui, piegato su un ginocchio, in una perfetta posa da dichiarazione di intenti. Macabri, pensai.

"Leo, non è un appuntamento." Precisai.

"Sapevo che ti avrei convinta."

"Leo, ripeti con me. Non è un appuntamento."

"Non è un appuntamento." Intrecciò le sue mani sul ginocchio, sorridendomi con quegli occhi buoni e sinceri, che sapevano di purezza e innocenza. Io invece mi sentivo cattiva, nella mia riluttanza.

"Se chiudo la cassa con almeno 800 euro, vengo."

"Ti compro io qualcosa. Quanto manca?"

"Mancano 750 euro."

"Ok, passo." Scosse la testa, alzandosi di scatto in piedi con il fiatone e guardandosi intorno in cerca dell'uscita.

Mi voltai di scatto, nascondendo una risatina.

Trascorsi metà della serata seduta e inchiodata sulla panca della veranda esterna del pub a firmare autografi, e a scattare selfie. I più non avevano idea di chi fossi, erano solo attratti da quelle due o tre persone che mi avevano riconosciuta grazie al velo e al Nastro d'Argento che avevo vinto a giugno. Non riuscivo ad alzarmi per schiodarmi da lì e fare due passi, non ero in grado di gestire questa cosa senza avere un bancone e una cassa davanti a me, come era a Grandi Sogni, o un agente che mi facesse da filtrante e barriera in occasioni del genere.

"Emma, ti prego, portami un altro americano!" la implorai, osservandola abbracciare i nostri amici e danzare qualche passo a tempo di musica.

"Arriva!" mi guardò, ammiccante, saltellando insieme a Leo e agli altri amici verso Simone che, impassibile come sempre, distribuiva cocktail squisiti come se fossero caramelle. Il gruppo era formato da ragazzi giovani, sui vent'anni, suonava cover di vario genere musicale, erano bravi, piacevoli all'ascolto. Ma non ne ero particolarmente entusiasmata, per me erano come un rumore confuso di sottofondo. Una scusa per me per sparare stronzate, senza essere capite del tutto.

Emilia Koll - Il velo sul visoDove le storie prendono vita. Scoprilo ora