Capitolo 1. 25 - The Amazons

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La musica ha sempre fatto parte della mia vita, fin dalla nascita, quando mia madre, cantante lirica, mi aveva abituata ad addormentarmi tra le sue braccia cantandomi lunghe e dolci canzoni. La sua voce di velluto mi aveva accompagnato da sempre nelle interminabili notti insonni. Ancora adesso, se ci penso, mi viene un sonno terribile.

Quel pomeriggio di fine estate era molto caldo in negozio. Indossavo la mia solita maglietta di cotone bianco, con la foto di Jesse Pinkman in primo piano e dei pantaloncini corti di stoffa leggera. Mi arrotolai i lunghi capelli con una matita fino a liberarmi il collo da quella matassa bollente e saltai giù dalla cassa per mettere un nuovo disco in filodiffusione e sistemare un po' la vetrina.
Adoravo stare lì.
Se qualcuno me lo avesse chiesto, avrei detto che sì, era proprio il mio regno: senza aria condizionata, ma tanta luce, e tanto colore, e la musica bella che ti accompagnava lungo gli scaffali, ma non ti invadeva come certi negozi del centro. Sorrisi mentre osservavo per l'ennesima volta il disco dei The Amazons.

I've been dying to light the fire

Deep down, I know it's all in flame

Sollevai gli occhi al soffitto, riascoltando mentalmente quella canzone.

"Ciao."

E poi arrivò lui.

"Posso dare un'occhiata?"

Mi voltai di scatto verso l'entrata, verso la sua voce. Il campanello al portone non aveva nessuna utilità, visto che mi piaceva tenere la porta del negozio sempre aperta. Anche d'inverno, ma soprattutto d'estate, quando là dentro c'erano almeno quaranta gradi. Per questo non mi ero accorta che era entrato.

"Certo. Se hai bisogno, sono qua." Sorrisi.

Alto, moro, occhi grandi, bocca di velluto. Bellissimo. Feci qualche passo verso di lui, facendo finta di spostare qua e là dei vecchi cd, un po' a caso a dire il vero. I nostri sguardi si incrociarono un paio di volte. Sorrisi imbarazzati. Ok. Era dannatamente bello.

Non era certo la prima volta che lo vedevo. Suonava la chitarra in un gruppo che avevo sentito spesso in giro. Aveva comprato delle corde, qualche accordatore elettronico, spie di varia metratura. Ero una ragazza dalla ottima memoria, specialmente quando si trattava di lui. A volte comprava qualche disco, qualche cd, ma in quei casi credo lo facesse per noia, o perché mettevamo una promozione su questo o quell'artista, tanto per alleggerirci il negozio di questi oggetti obsoleti.

David Bowie, The Queen, Led Zeppelin, Nina Simone, ma anche i Kings of Convenience, Kasabian, e Sean Paul. Ancora non mi ero proprio fatta un'idea precisa del suo genere. Mi ricordavo ogni cosa che aveva comprato, ero molto preparata al riguardo. Meno preparata a quello che sarebbe successo di lì a poco. Voleva fare bella impressione? Non saprei.

Aveva un profumo pazzesco, probabilmente già sentito altre mille volte ad altri mille colli, ma addosso a lui era diverso: si insinuava nella mia pelle, direttamente dalla sua pelle. La sua vicinanza mi stordiva, e non sapevo spiegarmi in altri modi la confusione che avevo in testa, inebriata del suo odore buono.

C'era un unico, piccolo ma insormontabile difetto. Doveva avere ventidue, ventitré anni al massimo, e io, che non ero proprio una ragazzina, nel mio piccolo metro e sessanta facevo del mio meglio per non sprofondare nel vecchiume dei miei coetanei.

"Posso vedere l'ukulele che è esposto in vetrina?" mi chiese gentilmente.

Mi schiarii la voce con un colpetto di tosse, scuotendo la testa, e lasciandomi scivolare addosso quel formicolio alla pancia, assieme a microgoccioline di sudore che percorrevano la mia schiena.

Mi avvicinai, spavalda, alzando un sopracciglio.

"Quello rosso a ventinove euro e novanta?" sorrisi, ironicamente.

"Sì, sai dirmi più o meno se è valido? Insomma, non vorrei comprare una specie di giocattolo per bambini!"

"Cos'è, stai cambiando gruppo?" gli porsi l'ukulele.

"Non proprio." Mi guardò dritto negli occhi. Profondamente, credo. Poi cominciò a studiare lo strumento, rigirandoselo fra le mani.

"Ti piace?" chiesi, per colmare il silenzio.

Lui mi fissò divertito, e cominciò ad accordare una ad una quelle quattro cordicelle di nailon, senza smettere di parlare.

"Sai, non possiamo giudicare un album dalla copertina, o un libro, o un ukulele rosso a ventinove euro e novanta che ha tutta l'aria di essere un giocattolo."

"Giusto."

"Quindi, probabilmente, dovrei... non so..."

"Suonarlo?"

"Conosci un altro modo?" gli accordi partirono, erano quelli giusti. "I was scared of dentists and the dark. I was scared of pretty girls and starting conversations..." feci due passi indietro lasciandolo continuare. Non saprei spiegare se fossi imbarazzata o semplicemente felice.

"Yeah, I got a lump in my throat 'cause you're gonna sing the words wrong." Concluse, e i suoi occhi si fissarono sui miei, studiando la mia reazione.

"Avrei detto, boh, che eri più il tipo da Eddie Vedder, o qualcosa del genere."

"Perché?"

Feci spallucce, voltandomi per chiudere la vetrina.

"Riptide? Veramente ho sentito questa canzone?" lo stuzzicai. Ma entrambi sapevamo che la sua voce era pazzesca. Lo sapevo io e doveva sicuramente saperlo lui. Non era per la sua età, c'era qualcosa in lui che andava oltre l'età. L'età non contava. Non contava, cazzo! Non era come gli altri cretini che vedi in giro tutti tatuati e con i capelli tagliati a pazzoidi. I suoi capelli ondeggiavano qua e la, in grosse masse di ricci ribelli, un po' come i miei.

"Ok."

"Ok?" gli feci eco.

"É un buon prodotto. Lo prendo." mi rese l'ukulele.

"Sono ventinove euro e novanta." Ripetei, mentre riponevo lo strumento nella sua scatola: "per te, solo per oggi, la sacca personalizzata in omaggio."

"Sono un cliente fortunato, allora."

"Grazie per aver scelto Grand..."

"Beviamo qualcosa insieme più tardi?"

Grandi Sogni. Era il nome del negozio in cui lavoravo.

Emilia Koll - Il velo sul visoDove le storie prendono vita. Scoprilo ora