Capitolo 15. Nobody Knows - The Lumineers

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"Buon Natale!"

"Pan Fatale!"

"Don Pascale!"

Il rumore dei calici che brindavano gli uni contro gli altri sovrastava il vociare ilare della tavolata. Il Natale in casa Koll si colorava di musica, di balli, di canti, e di caldi abbracci. Osservai quelle persone, unite da parentele più o meno strette, stringersi fra loro, dissipare vecchi rancori, rafforzare i vecchi affetti. In un'espressione: volersi bene.

Alcuni bambini presenti, di quattro o cinque anni, figli di qualche parente di Alex, si rincorrevano intorno alla tavola urlando a squarciagola, con il regalo più bello che avessero ricevuto in mano, e raggiungevano in una specie di loop la sala per poi tornare indietro, facendo tutto il giro del grande albero di Natale, che troneggiava al centro della stanza, e finendo per trascinare con loro anche qualche festone che trovavano penzolante dai rami. Papà e Teresa non si curavano più di tanto di riordinare subito tutti quegli oggetti a terra. Questa festa era soprattutto per loro, per i bambini. Era una festa vera, fatta di divertimento e di spensieratezza.

Mentre mi versavo dell'altro vino dalla bottiglia, posta strategicamente tra me e Alex, seduto accanto a me, un pensiero mi sfiorò con una punta dolorosa alla tempia. Nei miei ricordi offuscati del Natale dell'infanzia, vedevo le dita luccicanti, piene di anelli, di Nicla, tapparmi gli occhi, mentre, china su di me, mi parava il corpicino con l'altra mano aiutandomi a camminare e mi sussurrava una canzone di Natale.

Più mi sforzavo e meno riuscivo a ricordare quale fosse, quella canzone.

Di anno in anno perdevo un frammento di quel ricordo. Attraverso le sue dita, con urla gioiose e risate a squarciagola di bambina, intravedevo un Babbo Natale strano, minuto, con la lunga barba bianca del tutto staccata dalla faccia, la pelle leggermente olivastra e per nulla finnica, gli abiti rossi di pannolenci, venire verso di me lentamente con un grande pacco tra le mani. Papà.

Strinsi a me il tovagliolo, scacciando quel pensiero, dopo aver dato una lunga sorsata di vino, lasciandone solo poche gocce nell'elegante calice in cristallo, che decorava, con i suoi bordi dorati, e insieme agli altri suoi simili, tutta la tavolata.

"Andiamo a fumare?" mi pregò Alex, piegando la testa verso di me e fissando gli altri commensali mentre intonavano un altro brindisi. Eravamo circa a metà del lungo tavolo rettangolare nella sala da pranzo, posti esattamente a mezza strada tra i bambini urlanti e abili lanciatori di pici al sugo di cinghiale, e gli ospiti più anziani, alcuni dei quali, tra una risata e l'altra, finivano per perdere la dentiera, facendola volare sul tavolo. Chi se ne accorgeva in tempo, la toglieva immediatamente da lì, incastrandosela di nuovo in bocca, non prima di averla intinta nel bicchiere di vino più vicino e a portata di mano. Come quello di Alex in quel momento, che osservò sua nonna inzuppare la dentiera nel suo calice, credendo che fosse il suo. Il mio amico scosse impercettibilmente la testa, allontanando il più possibile il calice da sé e allungando la mano per cercarne un altro pulito.

"Grazie, nonna." Mormorò, piatto.

"Ale-cche-se, vieni qui a nonna. Quanto ti voglio bene, a nonna tua!" la donnina, piccola ma forte, avrà avuto novant'anni, lo strinse a sé, circondandogli il collo con il braccio rotondo e molliccio, facendolo quasi soffocare.

"Ti prego!" mi sussurrò, non appena riprese fiato.

"Ma se siamo andati dieci minuti fa!" gli dissi, facendo una risatina, e prendendogli la mano amichevolmente, intrecciandola alla mia sopra il tavolo.

Alex ritirò subito la mano, abbassandosela sulla gamba, e guardandomi significativamente:

"Ho veramente bisogno di prendere una boccata d'aria fresca, Emilia."

Emilia Koll - Il velo sul visoDove le storie prendono vita. Scoprilo ora