Capitolo 35. Salt and The Sea - The Lumineers

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Attraversai il lungo corridoio asettico della produzione per raggiungere il piccolo ufficio del signor Tomaso Alessi, il regista che aveva accettato di incontrarmi. Ignorai gli sguardi dei collaboratori davanti ai quali sfilavo, con lo sguardo dritto davanti a me e i passi sostenuti che rimbalzavano sulle pareti sotto i miei tacchi. Il velo azzurro si scuoteva dolcemente sulle mie spalle, e dietro di me, Nicla e il mio nuovo agente, Marco Galli, mi stavano accompagnando seguendo il ritmo dei miei passi. Noi tre sembravamo davvero degli esseri venuti da un altro mondo: io con una maschera sul viso azzurra fatta di pura seta, sotto la quale sentivo tremare ogni fibra del mio corpo, avvolto in una camicetta bianca sopra i jeans; mia madre, che mi superava in altezza di un paio di spanne, alta e fiera nel suo tailleur nero giacca e pantaloni, con un sorriso dall'aria lontana nel tempo e nello spazio, che non lasciava spiragli di interpretazione; e il signor Galli, un uomo di statura di poco superiore a quella di Nicla, occhiali scuri, capelli castani rasati e pettinati accuratamente all'indietro, abbigliamento che nell'insieme ricordava un po' quello dei cattivi di Matrix.

Qualche operatore si era alzato in piedi, davanti alla propria scrivania, con la cornetta del telefono bloccata a mezz'aria nella mano.

Ci stavano osservando.

Mi stavano osservando.

Ero quella che Alessi aveva chiamato, voleva conoscermi, leggere la mia musica con i suoi occhi e attraverso i miei. Vedermi in faccia. O comunque, vedere quello che poteva vedere, in carne e ossa. Conoscere la donna con la maschera, come ormai mi chiamavano, come si vociferava nel suo ambiente.

Non ero pronta a ciò che avrebbe voluto da me.

Ma ero pronta a qualunque domanda sul mio lavoro, sulla mia musica. Di questo non mi preoccupavo, era un terreno su cui riuscivo a camminare benissimo con le mie gambe. Tutto il resto, il mondo del cinema, delle produzioni dietro ad ogni singola pellicola, mi erano ignote, lontane, le percepivo solo come un sogno bellissimo che regalava agli spettatori due ore di magia; che regalava dei momenti di distacco dalla realtà, perché in effetti era così, le persone avevano bisogno di quel distacco.

L'arte, in generale, era l'essenza della vita, perché è la forma di finzione che può rappresentare al meglio la realtà, da cui si possono esorcizzare tutte le brutture della realtà, come diceva qualcuno, attraverso un meccanismo di rappresentazione fantastica e visionaria.

Finto non significava Falso, se si rendeva credibile.

Erano queste le prime parole che mi erano rimaste impresse del signor Alessi, la prima volta che ci eravamo incontrati. Tomaso Alessi, un uomo di mezza età, occhiali da vista rotondi con la montatura nera, una leggera calvizie, ma curato nell'aspetto. Una carriera che gli aveva fatto collezionare già diversi premi più che onorabili: tre David di Donatello, un BAFTA, due Leoni d'argento alla regia, due Golden Globe per il miglior regista e svariate candidature agli Oscar e al Nastro d'Argento per le sue ultime produzioni, tra cui migliore colonna sonora.

Non mi sentivo per nulla nervosa.

Tomaso Alessi era una persona semplice, all'apparenza, ma era abituato a vincere tutto. Aveva lo sguardo intelligente e penetrante che non si lasciava sfuggire ogni singolo gesto, anche delle mani, che facevo. Mi fissava le mani.

Non appena ci avevo fatto caso, seduta sulla poltrona davanti a lui, avevo smesso di fare qualsiasi movimento. Avevo smesso di gesticolare, e mi ero stretta le mani sulle gambe. Allora lui aveva alzato gli occhi sul mio velo, sul mio viso. E aveva stretto le palpebre, scrutandomi e togliendosi gli occhiali per pulirseli con una salvietta.

"Va bene, Emilia Koll. Puoi seguirmi nella sala prove."

"Che cosa?" sussurrai.

"Voglio che suoni questo pezzo." Inforcò di nuovo gli occhiali come se avesse appena detto una cosa ovvia, e sfilò uno dei brani a cui si era interessato dalla mia cartellina. Lo fece scivolare dal suo lato, verso di me, lungo la grande scrivania. Poi si alzò in piedi, girandoci intorno. Io rimasi impietrita, mi voltai verso mia madre, che non staccava gli occhi dal regista, senza cambiare la sua espressione magnetica.

Emilia Koll - Il velo sul visoDove le storie prendono vita. Scoprilo ora