La colpa è solo tua

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Un ragazzo cammina ramengo per i vicoli di un borgo assolato con le mani in tasca e la testa china. Il poveretto ce l'ha con il mondo intero e per questo prende a calci tutto ciò che trova lungo il cammino lanciandolo lontano da sé. Così tra i tanti oggetti lasciati in terra ne colpisce uno assai strano: non la classica lattina o il solito pacchetto di sigarette accartocciato. Pertanto si china per vedere cosa ha calciato con forza e vede che si tratta di una lampada a olio tutta sporca e ammaccata. 

Qualcuno l'ha buttata via perché non funziona più si dice e, mentre lui continua a guardarla incuriosito, rigirandola tra le mani, un po' dello sporco che la affligge viene via. A quel punto la meraviglia in lui prende il sopravvento, la lampada sembra essere d'oro. Il ragazzo non ha dubbi in merito, altrimenti la lampada si sarebbe arrugginita, pensa e si frega le mani in quanto non riesce a credere di essere stato così fortunato.

Dopo essersi ripreso, il ragazzo si guarda intorno con fare circospetto per vedere se qualcuno abbia assistito al ritrovamento; per fortuna non c'è anima viva nei paraggi: solo un cane che rovista tra la spazzatura in cerca di qualcosa di buono da mangiare. Quindi cela la lampada "d'oro" sotto il giubbotto e fugge a gambe levate.

Raggiunto un luogo sicuro e appartato, il giovane tira fuori la lampada e la guarda meglio. Ricorda che da bambino gli hanno narrato la favola di un certo Aladino e di un genio che vive all'interno di una lampada molto simile a quella che ha trovato. Dunque prende la lampada di nuovo tra le mani, ma queste sono sudaticce per colpa del caldo e dell'emozione e lui, preso il fazzoletto dalla tasca dei pantaloni, con quel cencio improvvisato strofina la lampada: proprio come ricorda gli ha detto la narratrice facesse Aladino per far apparire il genio.

Anche se non ci crede, continua a sciorinare e, sciorina che ti sciorina, d'incanto dal beccuccio della lampada inizia a fuoruscire una nebbiolina di un azzurro pallido che, dopo essersi espansa per un po', prende a diradarsi e al suo posto appare un essere gigantesco e dalla pelle nera come la notte più buia. 

Il giovane rimane incredulo e si dice che quella cosa gigantesca deve essere per forza il famoso genio di cui si narra nella favola. Tuttavia non è sicuro che lo sia, ma se vuole averne conferma, deve chiederlo al diretto interessato. 

Intanto, l'essere gigantesco osserva il ragazzo con quei suoi grandi occhi blu e il fare severo. Poi, visto che il giovane non parla, con una voce roboante rompe il silenzio: «Salute a te, mio signore e padrone. Grazie per aver lucidato la mia dimora riportandola all'antico splendore. Non solo, con il tuo gesto posso infine respirare un po' d'aria pura. Erano eoni che non uscivo e quindi io, il genio della lampada, per ricompensarti esaudirò un tuo desiderio in un batter di ciglia.»

Il giovane ricorda che i desideri nella favola erano tre, ma deve accontentarsi e quindi pensa su un bel po' su cosa chiedere. Un'idea ce l'ha, a dire il vero, ma cerca le parole adatte per non sbagliare. Così quando è pronto annuncia impettito: «Genio! Quello che desidero da te è presto detto, voglio che tutto ciò che mi rende infelice non faccia più parte della mia vita! Null'altro, desidero.»

Il genio guarda il giovane con fare amorevole e poi, con voce possente: «Come desideri, padrone» e schioccate le dita «il tuo desiderio è stato esaudito.»

L'istante dopo il giovane svanisce nel nulla e di lui resta solo qualche granello di polvere, che per un po' vortica nell'aria per poi adagiarsi al suolo e diventare parte del tutto. 

La lampada a quel punto cade in terra e al Genio non resta che rientrare e sperare che il prossimo a trovare la sua dimora sia più avveduto. 

Pensieri disordinatiDove le storie prendono vita. Scoprilo ora