"Ci sono estati che ci porteremo addosso per sempre, estati che ricorderemo,
estati che sogneremo di vivere ancora"
- Dal film "L'estate addosso"Il telefono vibrò sul comodino ed un susseguirsi di messaggi fece brillare lo schermo. Era Eros.
"Buon viaggio Psyché, ci vediamo tra qualche giorno".
«Che scemo» pensai, sorridendo come un ebete difronte a quelle due frasi.
Il sole, ancora, non era sorto, ma sapevo che per me era tempo di alzarsi, chiudere la valigia e preparami per un, non tanto lungo, ma estenuante viaggio.
Con la mia famiglia, anche 10 metri potevano sembrare infiniti. Eravamo numerosi e rumorosi. Non c'era ristoratore ad Himeros che non abbia avuto qualche divertente disavventura con la mia famiglia. Potevamo girare il mondo, ma in qualche modo avremo sempre lasciato un segno indelebile del nostro passaggio.
Come quella volta, quando mamma, indispettita dalle poche attenzioni di papà, con gesto plateale si alzò. Il problema sta nel dopo. Il suo fu uno scatto talmente inaspettato e rapido che prese alla sprovvista il cameriere, che insieme a lei e alla nostra cena, si rovesciarono al suolo.
Inutile dirvi che non mettemmo più piede lì.
Insomma, provavamo ad omologarci a tutti quegli stampini medio borghesi, ma con scarsi risultati. In fondo, sarebbe stato uno spreco privarci di tutti queste esperienze tragicomiche.
Tutte le sere, infatti, riuniti nel cortile della nostra villetta delle vacanze, mettevamo in scena, le nostre migliori performance.
La "tranquillità" non era una parola che conoscevamo, insomma.
«Maison, manchi solo tu. Ti vuoi muovere?» papà cominciava ad agitarsi ogni qualvolta non rispettassimo le sue tabelle di marcia. Era un maniaco del controllo.
«Un attimo» rispose mio fratello da lontano, ancora indaffarato a specchiarsi.
«Rose, tuo figlio ha preso tutto da te. Incredibile. Come si può esser così ritardatari!» sbottò mio padre, già estenuato da quella breve attesa.
«Ah no, Maison è proprio uguale a te. Non osare dire il contrario» gli puntò il dito contro «È mai possibile che dovete perder tempo ad acconciarvi quei quattro capelli che avete in testa? Suvvia, una sistemata con la mano e siete pronti. Ma poi per chi si sta facendo bello? Per gli autovelox?»
«Mo siamo noi il problema? Cero, certo. Incommentabile questa situazione» si inclinò sul fianco destro e si massaggiò le tempie.
Io ed Anthony ci voltammo l'uno verso l'altro, consapevoli che avrebbero continuato così per un ora e mezza.
Maison era, tra noi fratelli, quello che non aveva il senso del tempo e per cui la puntualità era pura utopia. Nonostante sapesse, ad esempio, di avere un impegno alle 17:00, solo alle 16:50 potevi trovarlo difronte alle ante dell'armadio.
Anthony, invece, era il terzo di quattro figli. Sicuramente, rispetto a noi altri, era il più accondiscendente. Se pur controvoglia, ubbidiva a qualsiasi nostra richiesta. Era, proprio, buono d'animo.
La piccola di casa, Désirée, era la mia copia in miniatura, ma solo d'aspetto. Aveva, appena, 4 anni, eppure, riusciva a combinarne di tutti i colori e a rispondere a tono quando qualcuna la rimproverava.
«Finalmente ci degna della sua presenza, nostra signoria» scherzai, vedendolo aprire la portiera.
«Come sei spiritosa stamattina» mi tirò una ciocca di capelli.
Provai a ricambiare, ma Anthony mi fermò.
«Vorrei dormire, silenzio» disse pacatamente, incrociando le braccia al petto e socchiudendo gli occhi.
«Ecco, ha ragione. Fate proprio come lui» concordarono i miei.
Era quasi mezzogiorno quando arrivammo nella nostra villetta delle vacanze. Come sempre, il sole d'estate, riflettendosi sulle mura bianche, gli regalava una piacevole aureola angelica.
«Casa dolce casa» ispirai profondamente l'aria delicata, rilasciata dai verdi e rigogliosi alberi che circondavano la struttura.
«Siete arrivati» nonna Grace uscì dal portico, accompagnata da Tommy, il nostro cane.
Solitamente, lasciavamo partire i due insieme qualche giorno prima, così che fosse già tutto pronto al nostro arrivo.
Corsi verso Tommy, che di tutta risposta si sdraio sul prato per le coccole.
«Ti sono mancata, amore mio? Perché tu, tanto tanto tanto».
Quella palla di pelo bianca con le macchiette nere, si rialzò e cominciò a far le feste a tutti i presenti.
Approfittai del caos creatosi, per prendere la mia valigia e dirigermi all'interno.
«Queste maledette scale non mi erano mancate affatto» trascinai il pesante bagaglio fino al primo piano dove era ubicata la mia camera. Era l'ultima del corridoio sulla sinistra.
Spalancai la porta di legno bianca e con mia, non grande sorpresa, le cose erano esattamente lì dove le avevo lasciate l'anno precedente. Nonna era stata molto meticolosa nel pulire, sapeva quanto ci tenessi.
Nella mia testa, tutto occupava uno spazio e cambiare la superficie su cui giacevano, significava porre scompiglio al mio ordine.
Estrassi dalla borsa il mio pupazzo, quello che fin da neonata è sempre stato al mio fianco, e lo adagiai sul mio letto matrimoniale.
«Stai comodo Pooh?» gli accarezzai il naso, sdraiandomi accanto a lui «Tra qualche giorno arriva Eros e non so che fare. Al nostro primo incontro non sono riuscita a spiaccicare parola. Ti rendi conto Pooh? Io! Io che se potessi parlerei di cose insensate per ore pur di parlare. Spero che non sia lo stesso la prossima volta, sennò sarà alquanto imbarazzante»
Sbuffai e mi alzai, dirigendomi verso il balcone. Mi concessi qualche minuto per assaporarmi la veduta, prima di sfilare dai miei pantaloncini il telefono.
"Sono arrivata, fa un caldo disumano qui. Portati un cappellino per proteggerti la testa. Non vorrai mica diventare più stupido di così?". Inviai il messaggio e lo fissai, quasi in attesa della scritta "sta scrivendo".
«Boo» un boato improvviso mi fece irizzare i peli. Ripresa dallo spavento, realizzai che gli artefici di quel stupido scherzo fossero Anthony e Desy.
«Ma io mo' vi ammazzo» cominciai ad inseguirli, prima per il corridoio, poi per le scale e poi il salone.
Arrivammo affannati in cucina. Ciò che ci separava era una lastra di legno, eravamo ognuno ai due estremi.
«È arrivata la vostra fine. Arrendetevi» li minacciai.
Desy non si scompose e mi fece una pernacchia.
«Na na naaa» canticchiò.
Se fossimo stati in un cartone animato, tuoni e saette si riflettevano sullo sfondo.
Meditavo sul piano che mi avrebbe fatto arrivare al podio quando i nostri genitori, mandarono in fumo il tutto, dandoci un schiaffo alla nuca.
«Smettila di fare la bambina e dammi una mano, dobbiamo mangiare. Voi due andate a lavarvi le mani!» ci riproverò mamma.
Annuii, come loro, anche perché si non poteva far altro o almeno per ora.
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The way I loved You
RomanceFin dagli albori della civiltà, l'amore si presentò agli uomini sotto dodici vesti diverse. E se è vero che ognuno di noi ha un anima gemella sparsa per il mondo, allora, Iris ed Eros saranno destinati a stare insieme?