Angelo - III

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Risalendo verso casa all'imbrunire passa accanto alla stalla. Uno stanzone caldo e umido, permeato dell'odore pungente e aspro della paglia e dei muggiti dell'unica vacca che ospita.

Sono nati lì, lui e Francesco.

Un santo viene elevato alla gloria, all'ascesi, dopo il suo trapasso. Alcuni lo inneggiano anche in vita. Ma, all'inizio, nessuno lo direbbe santo. Lo si direbbe pazzo, l'hanno definito pazzo. Il suo pazzo fratello squinternato, che dissipa i guadagni sudati del padre, spreca il suo tempo a regalare le pezze migliori ai poveri, agli straccioni. Che si concia peggio di loro, lurido e sozzo, una vergogna per la loro rispettabile e onesta famiglia.

Nessuno l'aveva definito santo all'inizio Francesco. Pazzo. E adesso per tutti è santo e Pietro di Bernardone il padre cieco e avido, carceriere del figlio.

Come si distingue un pazzo da un santo? O un santo da suo fratello?

Forse perché circonfuso dal nimbo aureo non è partito. È nato come Francesco di Pietro di Bernardone dei Moriconi. Prima ancora come Giovanni.

Proprio in quella stalla.

Angelo si ferma, i ricordi che assiepano la sua mente. Scampoli di storie, resoconti successivi.

Il loro padre era via per affari, mercanteggiante nelle fiere di Champagne o in Provenza o in chissà quale angolo del mondo, e le doglie colsero Maman prima del suo rientro. La stalla era un secondo utero, un nido accogliente e caloroso, difeso dai primi infidi aliti autunnali di settembre. Il bambino che sarebbe diventato suo fratello era nato piccolo e gracile, un bambino di farina sia nell'incarnato che nella costituzione. Ma atteso, lungamente atteso, l'erede del ricco mercante.

Nemmeno si era ristabilita dal parto, Madonna Pica, che, mentre mangiava con gli occhi il suo primogenito, venuto alla luce in una stalla - parallelismo con Nostro Signore, favoleggiano i devoti - un pellegrino sconosciuto aveva bussato alla porta.

«Oggi in questa casa.» aveva declamato l'uomo nel paludamento schizzato e logoro del viandante, provvisto di bastone e bisaccia e conchiglia. «È nato un bambino che diverrà un gran uomo nel mondo. Andate.» aveva esortato servi e vicini accorsi. «Lo troverete giù nella stalla.»

Giù nella stalla, superato il fondaco delle stoffe sotto l'arco di case e stradine, avevano trovato il piccolo Giovanni cullato amorevolmente da Madonna Pica.

Il nome. Angelo prosegue, sale le scale ed entra in casa, sorridendo al pensiero. Un nome temporaneo, la prima di molte cose nella vita di suo fratello.

«Giovanni?» si diceva avesse esclamato sorpreso Pietro di Bernardone al ritorno da consorte e figliolo. «Per quale motivo l'hai battezzato Giovanni? Io non voglio un umile Giovanni Battista vestito di pelli, voglio...» L'aveva colto il barlume dell'ispirazione. «Voglio un bravo, elegante e amabile Francesco!»

Francesco. Il francese. Omaggio alla Francia che l'aveva arricchito con fortuna e amore. Pica, timida e docile, aveva inutilmente protestato.

«Ma è già registrato... è già scritto sui registri!»

E che importava? Papa poteva tutto, potente e infiltrato in ogni buco, in ogni spaccatura e crepa nelle pietre indorate di sole d'Assisi. Una somma per i poveri della città, grossa da stordire, qualche parolina buttata bene su agli uffici e ai chierici e il nome di Giovanni era stato cancellato dai registri.

Il figlio del mercante aveva mutato nome in Francesco.

Quattro anni dopo, quando Angelo era entrato in scena urlante e scalpitante, paonazzo di vita e più biondo e fine del corvino e vivace fratellino maggiore - quasi che della prole di Pietro di Bernardone uno incarnasse il terroso e gaudente spirito italiano del padre e l'altro la delicata, aristocratica beltà francese della madre - il nome di uno zio era sembrato appropriato e dignitoso al secondogenito. Nessun misterioso viandante sbucato dal nulla a vaticinare un portentoso avvenire.

Il canto del sole e della lunaDove le storie prendono vita. Scoprilo ora