Piccardo - II

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Tenendosi vicino Giovannetto Piccardo avanza nel ventre irrorato di stelle della notte, una cappa avvolgente Assisi. La luna è piena e butterata, un tondello lattiginoso drappeggiato di veli argentati, sfilacciata e vaporosa nuvolaglia.

Regnava la luna anche quel Natale di due anni fa, a Greggio, pastorale e rustico conglomerato di case e capanne sulle aspre montagne aretine, quando lo zio allestì la rappresentazione della Natività? Una trovata inventata con l'aiuto di Messer Giovanni Vellita, un facoltoso uomo pio e benvoluto della zona. Dicono che Gesù Bambino si sia palesato, una nuvoletta luminosa, un neonato così bello e pacioccone preso in braccio dallo zio. L'ha denominata, questa scenografia riproduzione dell'Avvento e l'anno scorso Assisi l'ha organizzata in piazza.

Come si chiama? Piccardo scandaglia la memoria. Ah sì!

Presepe.

«Dio dimora dovunque.» aveva detto loro lo zio. «Ogni cuore è una mangiatoia. Ogni casa la grotta di Betlemme.»

Gli ulivi s'ingobbiscono storti, stravaganti, un avvitarsi di tronchi secolari e curvature nel legno, le chiome scarruffate dalla brezza, argento a dirotto. Si deformano, occultati dalle tenebre, si trasformano in ingombri nerastri o in vegliardi rattrappiti, guardiani della vallata, custodi d'indicibili segreti. I lupi si nascondono negli uliveti? Vanno a caccia di fanciulli incauti con cui saziare le loro demoniache concupiscenze? E poi trascinano i loro resti prebilati all'inferno, cosicché ci banchettino i diavoli?

Possiede una doppia natura, il lupo, astuto e scaltro, sterminatore di greggi, flagello dei vivi, essere lascivo e subdolo come un demone. Ma lo zio ne ha ammansito uno. Ci ha parlato, lo zio Francesco, nella maniera in cui si parlerebbe a una persona. Terrorizzava Gubbio, questo lupo famelico e terribile, teneva in scacco i cittadini al punto che a stento ponevano il naso fuori di casa.

Lo zio ha appianato le divergenze, esorcizzato il demone - se davvero il lupo è una manifestazione oscura - e dove c'era dissapore ha piantato amicizia, concordia.

Un frate deve saper intavolare la pace. Piccardo se lo appunta.

Marciano nell'erba frinente di grilli, un trillo costante, saltando da rialzo a rialzo, terrapieno a terrapieno, Assisi e il travaglio della mamma alle loro spalle. Non molla mai la mano di suo fratello, Piccardo, spiccando i balzi insieme, in sincronia.

Un gufo bubola su un ramo, i suoi fari setaccianti nella cortina di tenebre. L'erba s'inchina ai loro passi, calpestata in un fruscio secco, uno spaccarsi di ramoscelli e pestare foglie mollicce. Lo stanno facendo per la mamma. E il nascituro. Piccardo se lo ricorda a iosa. Per la mamma e per il piccolo.

Sono eroi, cavalieri, affrontanti il drago nero e screziato d'astri, il suo fuoco una ventata d'aria fresca.

«Hai sentito?»

Giovannetto trasale, serrando la sua stretta, impallidito come un lenzuolo. Un rumore proviene dalla radura vicina, una piazza verdeggiante circoscritta negli ulivi. Una cantilena biascicata. Si scambiano un'occhiata disorientata. È un mostro? Un lupo? Oddio, le sue elucubrazioni hanno invocato la minaccia del lupo!

Piccardo si antepone al fratellino, spingendoselo dietro di sè, suo difensore e scudo. Un'arma, gli serve un'arma. Raccoglie un rametto striminzito. Labile spada, questo stuzzicadenti. Ah chi se ne importa! L'importante è proteggere Giovannetto.

«Stammi dietro.»

Si appropinqua lento, tendendo l'arma improvvisata. Qualsiasi mostro si tratti lui l'affronterà! Lo ammazzerà! Non si papperà mai Giovannetto!

«Sii tu lodato magnifico Signore! Salvatore e padre! Il tuo amore è infinito come l'universo! Sia lode a te!»

Lo zio Francesco. Piccardo si pietrifica spaesato.

Il canto del sole e della lunaDove le storie prendono vita. Scoprilo ora