Piccardo - I

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Giovannetto si è intrufolato nel suo letto.

Ancora.

Piccardo, dopo anni, ci ha preso l'abitudine e, comunque, gli serve da buon esercizio per affinare la virtù della pazienza.

Un frate dev'essere paziente, mansueto, amichevole. Accettare e sopportare con pazienza e calma tutti gli imprevisti che il Signore Iddio invia sul suo sentiero. Perfetta letizia, la definisce lo zio Francesco. Affrontare le sfide più ardue e non venirne scalfiti, anzi, gioirne lieti, di ogni insulto, di ogni sputo, giacché Cristo ha sostenuto pene maggiori delle nostre offese e scaramucce.

Piccardo tenta di applicarla anche quando Giovannetto è tirato in ballo.

Russa suo fratello, beh non proprio, ma il borboglio ci assomiglia. I riccioli biondicci gli mascherano gli occhi, ingarbugliati. Giovannetto sembra sorridere. Sorride costantemente, scattante, lesto, un malandrino, pronto al gioco, un folletto scalmanato che non conosce requie. Effettivamente andare assieme a lui a visitare lo zio Francesco a San Damiano costituirebbe una bella rogna, vispo e iperattivo com'è il suo fratellino. Disturberebbe la pace sovrana tra quelle mura.

Allo zio piacerebbe vederli? Vederli, ecco, magari non è il verbo ottimale. Non ci vede quasi più lo zio, accecato da un devastante glaucoma agli occhi contratto in Oriente. Al massimo sagome informi galleggeranno nella nebbia che ammanterà il suo sguardo, questo sì. O sarà come quando fissi troppo intesamente il sole e, passando all'ombra, granuli e particelle svolazzano, pulsanti, nel tuo campo visivo, e ti pare di stare scrutando il mondo attraverso una lente strana.

Potrebbe dargli consigli su come diventare un frate perbene! Uno santo, come lui.

Piccardo ha imparato che i santi sono quelle persone che compiono miracoli, prescelti dal Signore, e la santità è quel premio che pochi eletti riescono ad afferrare, ma a cui tutta la Chiesa anela e che, sempre nelle chiese fosche, dai pulpiti sporgenti, i predicatori instillano negli ignoranti, negli analfabeti, tramite le loro parole.

Sono come le pantere, i santi, dal fiato gradevole e soave, emananti una fragranza superlativa. Gli altri animali, sedotti dall'irresistibile profumo, cascano dritti dritti nelle fauci della pantera, che possiede un vello caleidoscopico, multicolore, a cerchiolini o a strisce, un arcobaleno di pelo. O come la balena, enorme, regina degli abissi. Dorme distesa a pancia in su, a filo sull'acqua, e il suo ventre si ricopre di muschi, erba, fiorisce di vita e vi nidificano gli uccelli. I marinai, stolti, la scambiano per un isolotto e ci attraccano il veliero. Ma, arenati, la balena avverte l'ingombro sulla pancia e si scrolla, rivoltandosi, inabissandosi a fondo, nei recessi del mare e ingurgitando i malcapitati come Giona.

Anche il suo fiato, simile a quello della pantera, adesca i pesciolini piccoli e incauti, la fauna marina che s'infiltra negli interstizi dei suoi denti, li ripulisce dalla sporcizia di schegge d'osso e tranci di carne umana e ne incontra la medesima sorte. La balena chiude le mascelle e li divora in un sol boccone.

I santi non trascinano irresponsabili avventati nei fondali tenebrosi e non sbranano in un carnaio, però conducono i puri, i responsabili e i devoti ai cancelli del paradiso.

In compenso la pantera è nemica del drago, in comunione con l'elefante. Queste due creature, capisaldi della natura cristiana, spaventano il demoniaco rettile, che, come sanno tutti, è messo del diavolo.

Zio Francesco è una pantera o un elefante? Difficile dirlo.

Ha dialogato con il nemico piuttosto che ucciderlo. Al-Malik Al-Kamik, sultano dell'esercito arabo, nipote del feroce Saladino, che in Terra Santa trucidò mille mila cristiani e conquistò il sepolcro di Cristo. Piccardo n'è meravigliato.

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