Voglio vederti ballare

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Entro in camera di Felice, è mezzogiorno ma qui sembra notte per via delle tapparelle abbassate.

Felice giace riverso sul letto con il volto affondato sul cuscino, sembrerebbe morto se non fosse per il leggero movimento delle spalle a ritmo col respiro.

Sta così da più di una settimana, scende le scale solo per mangiare e a tavola tiene la testa bassa sul suo piatto, giocherella con il cibo e pilluca quanto basta per tenersi in vita, poi torna quasi correndo in camera sua.

Quando il pigiama che gli ha prestato Linda è a lavare ne indossa uno dei miei, la maglietta gli sta talmente grande che la indossa come camicia da notte, niente pantaloni, finirebberò per cadergli senza una cintura.

Non so come tirarlo su, in fondo non lo conosco bene, non ho idea di cosa gli piaccia fare nel tempo libero o anche solo cosa gli piaccia mangiare, se lo scoprissi potrei portarlo a fare compere per dei vestiti nuovi, poi andremo a cenare al ristorante e infine a fare un giro ovunque lui voglia. Anche a costo di prendere un aereo all'ultimo minuto.

Il mio sguardo cade sul telefono abbandonato sul comodino, se solo riuscissi a sbloccarlo potrei scoprire di più sul suo conto.

Lo prendo facendo attenzione a non far rumore, esco in punta di piedi dalla sua stanza ed entro nella mia. Mi stendo sul letto e striscio il dito sullo schermo, ecco che spunta un tastierino numerico. È un mammone, sarà sicuramente qualcosa legato a sua madre.

Sua madre sembra giovane, dalla foto profilo di lei e Felice dovrebbero essere passati una decina d'anni.

Mettiamo caso che lei avesse su per giù vent'anni in quella foto, facciamo ventitré, ora Felice ne ha diciannove e nella foto avrà avuto sei anni, ventitré più tredici fa trentasei. Dovrebbe essere nata nel 1987.

Sbagliato.

1986.

Sbagliato.

Ultimo tentativo, 1985.

È davvero un mammone. Mi ritrovo nella sua home, come sfondo c'è la foto di un suo vecchio compleanno, una torta bianca con otto candeline. Nella foto Felice ha i capelli a scodella e sorride mostrando i denti, alla sua sinistra la madre gli schiocca un bacio sulla guancia, alla sua destra un uomo gli accarezza i capelli mentre lo guarda con affetto. Dev'essere suo padre, non c'è malizia come nello sguardo del suo patrigno, solo amore.

Entro nella galleria.

C'è una cartella che si chiama famiglia. Al suo interno trovo una foto di quando aveva pochi mesi di vita, dorme tra due cuscini, accanto a lui mamma e papà lo guardano sorridenti, con una manina stringe il dito del padre che sembra commosso da quel piccolo gesto d'affetto.

Trascino. Appare Felice di circa tre anni che scorrazza su una piccola bicicletta con le rotelle mentre il padre gli resta accanto con fare protettivo. Trascino. Il primo giorno alle elementari, stringe la mamma con gli occhioni colmi di lacrime. Trascino. Gioca al parco con il papà. Trascino. Fa castelli di sabbia con la madre. Trascino. Un uomo ridotto all'osso giace su un lettino d'ospedale, ha le guance infossate e sarebbe irriconoscibile se non fosse per gli occhi, gradi occhi color miele. L'uomo allunga un braccio per stringere debolmente il figlio a sé. Lui sorride, un sorriso vero. Madre e figlio sorridono, un sorriso malinconico.

Trascino. Il primo giorno alle scuole medie solo la mamma.

Smetto di scorrere, mi sento come se avessi un buco nero nel petto intento ad assorbirmi dall'interno.

Non ho foto di famiglia, solo un immagine ritraente i miei genitori con un piccolo Bogatyr posto nel mezzo, sembriamo statue di gesso, nessuno sorride, cerchiamo di farla in fretta la foto. Stare tutti insieme nella stessa stanza è tutt'altro che piacevole.

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