Io e te. Una cosa sola

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Un tempo ero diverso da come sono ora, portavo le treccine e indossavo magliette di band emergenti che probabilmente ero l'unico a conoscere. Mi infiltravo nelle feste a tarda notte sgattaiolando fuori falla finestra della casa famiglia, imbrattavo i muri della scuola con la bomboletta spray, una volta ho lanciato un cestino contro la vetrina di un negozio di giocattoli e ho rubato il pupazzetto di un leone. L'ho chiamato Leon ed è diventato una specie di trofeo.

Insomma, ero una testa calda.

"Nadir devi mettere la testa apposto" mi dicevano, peccato che ritornavo sempre a ripetere le solite stronzate, a dare fuoco ai bidoni e a sfilare i portafogli dalle tasche dei passanti.

È così che io e Felice ci siamo conosciuti, lui faceva la seconda superiore, io avrei dovuto fare il quarto ma mi ero fatto bocciare un paio di volte ed ero finito nella sua classe.

Era così piccolo e minuto, sapevo che prendermela con lui sarebbe stato facile, bastava alzare un pó la voce e lui sarebbe diventato il mio schiavetto. In fondo finiva sempre così.

A ricreazione tutti lasciarono la classe ma lui no, se ne stava solo al suo banco a leggere.

"Che leggi?" Presi il libro e lessi il titolo ad alta voce "piccole donne. Roba da checche" Lo lanciai riuscendo a centrare il cestino della spazzatura, mentre io esultavo per il mio tiro perfetto lui non faceva una piega, si alzò e dopo aver ripreso il libro lasciò la classe.

"Che coglione, ha lasciato qui tutta la sua roba" pensai prima di rivoltare il suo zaino, in mezzo a tutti quei libri eccolo qui il portafoglio, cadde sul pavimento facendo quel magnifico suono di monetine che si scontrano tra loro.

Una volta aperto l'eccitazione scomparve, erano solo monetine da venti centesimi, controllai in ogni tasca ma di soldi contanti non c'era traccia, solo una foto di famiglia ritraente lui, sua madre e suo padre mentre passeggiano in spiaggia. La infilai in tasca e lasciai tutto il resto sul pavimento.

Quella sera, mentre condividevo la stanza con un altro ragazzo della casa famiglia, tirai fuori, senza farmi vedere, la fotografia dalla tasca e presi a guardarla. Chissà cosa si prova ad avere una famiglia, ad avere ricordi di una mamma e di un papà, del suono della loro voce e del calore dei loro corpi. Mi sentivo così patetico anche solo a pensare a queste cose, rimisi la fotografia in tasca e cercai di pensare ad altro. Di pensare a come tormentare quel ragazzino della mia classe.

Nella settimana seguente gli feci lo sgambetto, gli scrissi commenti omofobici con il pennarello indelebile sul banco, lo spinsi a terra durante l'ora di motoria, rovesciai il contenuto del suo zaino giù dalla finestra, gli spinsi via la sedia mentre si stava sedendo, spezzai tutte le sue matite, lo scagliai contro un muro e un giorno, mentre entrava in classe per l'ora di religione, gli lanciai il crocifisso in testa facendogli sanguinare la tempia.

"Gesù odia i froci". La classe scoppiò a ridere ma lui non fece un piega, si andò a sedere come sempre al suo posto, gli occhi spenti che fissavano il vuoto fuori dalla finestra e gli angoli della bocca perennemente rivolti verso il basso. Era così anche prima che inziassi a bullizzarlo, sembrava non gli importasse di nulla.

Un giorno mentre tornavo alla casa famiglia vidi in un'edicola un volume di Penthouse di almeno cinque anni fa, in copertina una donna bionda provocante e una scritta che prometteva foto più rivelatorie all'interno. Avevo avuto un idea.

Il giorno dopo a scuola non riuscivo a smettere di ridere, tutti in classe si stavano passando una pagina del giornale erotico, una staffetta che non lasciava fuori nessuno. Quando vidi Felice entrare strappai la pagina di mano ad un ragazzo "Felice devo farti vedere una cosa, sono sicuro che ti piacerà" gli cinsi le spalle con un braccio e gli piazzai la pagina di fronte agli occhi.

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⏰ Ultimo aggiornamento: Jul 25, 2023 ⏰

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