• || It's Just A Matter Of Waiting

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Cherry Pov's || Chapter 7

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«Cuore vuoto, gola nodo
Nemmeno i miei amici sanno di ogni sfogo
Li tengo lontani da 'sto mare d'odio»
~ Anna&Lazza; "3 di Cuori"

Non ho idea di cosa aspettarmi. Niente di buono, sicuramente. È pazzo, mi ha rapita. Per davvero. Lo ha fatto. Incredibile. Non riesco a crederci.

"Non pensi mai a ciò che può accaderti, finché non succede. A quel punto non sai più cosa fare, come gestire la situazione. Perché è diventata troppo pesante."

Non so dove mi trovo, non ho idea di come sia potuto avvenire. Non mi ricordo niente, solo di mio padre, della sua presenza. Solo di lui, davanti a me, il mio corpo intrappolato e quel cazzo di negozio.

Io, l'uomo che si definisce mio padre e i miei ricordi vividi che mi scorrono nella mente come un film molto vecchio ma sempre in voga.

Lui conosce il barista della mia prima serata in discoteca, colui che è stato a casa mia, la stessa persona che è riuscita senza fatica ad entrare nella mia comfort zone. Loro si conoscono. Hanno progettato tutto, ma perché? Per ottenere cosa?

Sebastian ha detto di conoscermi, io ho la strana sensazione che sia vero. Ma non ho alcuna prova certa, forse è stata solo una stupida allucinazione o solamente una prova che il mio cervello cerca di rifilarmi. Ma se veramente mi conosce, che rapporto ha con mio padre? Amici di vecchia data o semplici colleghi di lavoro?

Troppe domande affliggono la mia mente, in sovraccarico. Una massa esorbitante di pensieri mi alloggia indisturbata nella testa, rimbombando dall'interno, come se ci fosse in atto una festicciola con alcool e droghe. Sono stanca, mi sento stranamente debole. I muscoli molli, il corpo troppo pesante e il cervello su un'altro pianeta.

"Sebastian, c'era lui al mio risveglio. Non mio padre. Mi stava già osservando o è arrivato quando mi stavo per riprendere?" C'era una sedia nella stanza, forse era già lì. Mi stava guardando; una me immobile, gestibile e indifesa.

Non lo so. Cazzo, non lo so.

Ma è stato mio padre ad assumerlo, come scagnozzo, oppure ha solo acconsentito a qualcos'altro. Coinvolto in piano ben più intricato?
La colpa di chi è?

Almeno non sono più legata come un prosciutto, Sebastian mi ha permesso di alzarmi da quel letto d'inferno e mi ha chiesto se volessi fare un giro di quella che da lì a poco sarebbe diventato il mio nuovo "rifugio". "O come lo aveva chiamato lui...".

La paura liquida mi scorre trepidante nelle vene mentre attraverso, mano a mano con il mio rapitore, dei lunghi corridoi chiari che mi inglobano dentro ad uno strano mondo sovrannaturale: i muri sono, forse, panna oppure beige, con tutta questa luce non saprei dirlo con certezza. La parte della mia pelle in contatto con la sua brucia, incandescente, incredibilmente bollente, come se tutto il mio sangue si fosse concentrato in quell'unico punto. Il mio terapeuta sarebbe fiero di me e dei miei progressi nei confronti dei rapporti con gli esseri di genere maschile, forse in un'altra circostanza, ma sicuramente lo sarebbe... se solo lo potesse venire a saperlo e se io non fossi così confusa da ciò che mi sta capitando in poche ore. E' tutto surreale, mi sembra un sogno. Ma non lo è, lo so che non lo è. Ma sarebbe favoloso se lo fosse. Vivere l'incubo è peggio che averlo solamente nella propria testa, come un intruso, ogni notte che passa. In ogni momento in cui la mente cerca di riposare. È peggio, lo dico con astio. Perché fino a poco tempo fa avrei fatto di tutto pur di levarmi dalla testa quei sogni terribili. Mi sbagliavo.

Sospiro, cercando di non farmi sentire da lui, che è sempre un passo avanti a me. Mi trascina, mi intimorisce senza neanche parlare e, ciò che più mi spaventa è sapere che dietro ogni fatto che mi sta capitando ci deve essere un qualcosa di più. Qualcosa che ancora non so ma che presto mi piomberà davanti, come un meteorite mi colpirà in pieno. Schiacciandomi definitivamente sotto il suo peso.

Il corridoio finisce, due porte in legno chiaro appaiono davanti ai miei occhi. Niente di diverso infondo, ne abbiamo passate diverse, tutte uguali. Queste due, invece, hanno sopra una targhetta trasparente con sopra impressa una scritta, con un carattere decisamente lineare e corsivo. Ci fermiamo davanti alla prima sulla sinistra, c'è scritto: "Sebastian Monroe". Deve essere il suo studio, perché si è scomodato a portarmi fino a qui?

«Questa è la porta di casa mia. E' inutile da dire ma te lo esplico a parole: ti conviene seguire gli ordini.» Mi fissa, serio. Mi viene da piangere, scoppiare in un pianto liberatorio, quasi nevrotico. Sento l'ansia a fior di pelle, insieme ad un mix di rabbia e timore. Ma non me lo posso permettere, non cambierebbe sicuramente la mia situazione terribilmente piena di guai. Annuisco, in assenso. Non ha senso andare contro la sua volontà, per quanto mi dia fastidio l'atteggiamento sottomesso che devo obbligatoriamente assumere. Mi sembra di essere tornata bambina, sempre in difetto di forza e potere. Mi ero ripromessa di non esserlo mai più, l'unico mio obbiettivo era non provare nuovamente quella sensazione di inferiorità, ma in questa situazione mi sembra impossibile anche solo provarci. Potrebbero anche volermi uccidere, per quanto ne so. Chiunque altro ne sia dentro.

«Vieni.» Mi dice, non lasciandomi neanche per un secondo la mano. La sua stretta non è prepotente, come se il suo intento non fosse incutermi nervosismo, ma non è neanche così delicata da poterla definire dolce. Infondo cosa mi potevo aspettare, sono stata rapita. «Presto incontrerai anche mio fratello, è un tipo strano; ti basti sapere che non è cattivo come sembra. E' solo un po' misogino, ma non c'è l'ha con te, è sempre stato così, con tutte le donne. Il mio spassionato consiglio è di non contraddirlo troppo e magari se ti va bene potrebbe anche sforzarsi di essere delicato con te, all'inizio.» Mi parla, mentre apre la porta del suo appartamento. Le pareti sono bianche latte, con i mobili di un grigio chiaro bellissimo. I pavimenti in legno scuro sono nettamente in contrasto con tutto il resto della stanza, un parquet tenuto a dovere. Immagino vengano lucidati da cima a fondo ogni mese se non ogni settimana. Un enorme open-space mi ospita, cucina e salotto sono uniti nel complesso ma comunque divisi da un muretto a mezza altezza che separa l'ambiente divertimento da quello riservato al cibo. Piante, tante piante sparse in giro. Tutte vive e in buona salute. Non c'è assolutamente sfida tra queste e la natura morta che vive sul mio balconcino.

Mi sembra di essere nella casa di un riccone senza cuore. Un avaro malato di possesso. Lui è così? La sua casa ci si avvicina molto. Deve essere stata arredata da un arredatore professionista, forse alcuni mobili sono stati addirittura creati su misura. «Perché mi hai portata qui?» Chiedo. La domanda è logica. Non ho mai visto un delinquente portare la sua preda in casa sua. Tutto sommato è strano, non può essere così sicuro che io non sia in grado di fuggire.

«Preferivi la stanza scura?»

«Ovvio che no, ma abbiamo passato molte porte. Non ci credo che non esista una stanza dove poter infilare le povere vittime come me.» Mi lascio sfuggire la frase con estrema sincerità, pentendomi subito dopo. Lui sorride, spensierato. Mi trova sicuramente una sciocca, "ma cazzo, Cherry, lo sei".

«Non ti preoccupare, sei la prima, non abbiamo nessuna stanza che possa assomigliare ad una prigione. Ma in compenso ti abbiamo fatto preparare un piccolo appartamentino, niente di prezioso. Una camera da letto, bagno e cucina. Non ti emozionare troppo, ragazza Ciliegia.»

Il mio arrivo allora era programmato da tanto, se qui c'è una stanza creata apposta per me. "Chi cazzo sei Sebastian?" Se non altro, penso non abbiamo intenzione di farmi fuori nel breve periodo. Altrimenti che senso avrebbe l'esistenza di quella stanza? Certo è che potrebbe essere una bugia che mi ha rifilato per farmi stare buona.

«Dimmi la verità, perché io sono qui?»

«Tranquilla, ragazza Ciliegia, lo scoprirai prestissimo.»

THE DELIRIUM: I Can't Talk About YouDove le storie prendono vita. Scoprilo ora