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A casa di Simone c'è un ovetto che non esce mai di lì. Lo tiene accanto al suo divano, pronto all'uso, qualora Eleonora piombi da lui, un po' com'è successo quel giorno. Così in quel momento sta sorseggiando del tè, seduto sul bordo del divano mentre con una mano cerca di cullarla.

Nel frattempo sta leggendo i documenti riguardanti il processo che di fatto non si è mai tenuto, talmente concentrato da non accorgersi del sonno profondo in cui la bambina è piombata.
Se ne rende conto solo quando lascia la sua postazione per liberarsi della tazza di tè ormai vuota e sorride, mormorando qualcosa sull'angelo che effettivamente Laura si ritrova come figlia.

Il silenzio che si è venuto a creare in casa gli permette di concentrarsi su ogni minimo particolare del caso Scotto, fino a giungere ad una conclusione che lo porta a telefonare a Giulio.

«Giulio, devi venire subito da me.» è la prima cosa che dice non appena il ragazzo risponde.

«Simone, non so se sei a conoscenza del fatto che ci sono alcune pratiche che l'essere umano mette in atto e delle quali ha bisogno, soprattutto a quest'ora... ad esempio, gli esseri umani normali pranzano

Simone alza gli occhi al cielo fermandosi poi sull'orologio di fronte a lui, sulla parete bianca del suo salone, nota che con molta probabilità, Giulio ha ragione. Ciò non significa che glielo comunicherà.

«Vabbè, allora quando sua maestà ha finito il pranzo può gentilmente trasportare il suo posteriore sul mio divano? È urgente.» piuttosto dice, seccato ma comunque scherzando.

Giulio infatti ride e «a te quel Ferro fa proprio male.» replica.

«Che c'entra quello, Giu'?»
«Lo so io che c'entra...»
«Oh!»
«Senti, prima mi fai tornare al pranzo, prima mi trasporto da te, mh?» Giulio compra con questo compromesso la sua pace, scimmiottandolo.
«Vabbè, non bussare, Eleonora dorme.»
«Seh, a dopo.»

Giulio giunge a casa di Simone un'ora più tardi, lo trova ancora vestito come al mattino. L'unica cosa che è cambiata è che non ha più né la giacca, né la cravatta e la camicia che indossa è decisamente troppo sbottonata. Proprio mentre osserva quel dettaglio si rende conto della temperatura dell'appartamento di Simone e «ma qua dentro ci saranno ottanta gradi, Simo'.» gli fa notare, rimuovendo vari strati di vestiti che ha addosso.

«È per lei.» Simone spiega, scrollando le spalle ed indicando l'ovetto contenente la bambina che dorme tranquilla.

«Ma tu hai mangiato?»
«Non è importante.»
«Sì, è importante, ma... almeno lei ha mangiato?»
«Certo, lei sì.»

Giulio sospira e scuote il capo, si va a sedere sul divano, avanti a lui una decina di fogli sparsi contenti i dettagli del caso a cui hanno lavorato per circa un mese.

«Questi dovrebbero stare in ufficio.» gli fa notare, indicando i fascicoli.

Simone lo raggiunge e sospira a sua volta. «Se il capo sono io, a chi dovrebbe creare problemi?» dice, sfacciatamente.

L'altro alza gli occhi al cielo, «se il procuratore scopre che hai a casa i fascicoli, io non c'entro eh. Alla mia carriera ci tengo.»

«Sì, vabbè, adesso stammi a sent–»
«Ti sento, sì.»

Simone parla del caso per la prima mezz'ora, forse anche quarantacinque minuti. Spiega a Giulio che crede che l'ufficio di Ferro abbia in qualche modo convinto i testimoni a non testimoniare e che ottenendo le prove di un'azione simile, la vittoria sarebbe loro. Il problema sorge dopo, quando Giulio si ritrova ad ascoltare l'amico (prima che collega) parlare male dell'avvocato Ferro.

(Law)suit and tieDove le storie prendono vita. Scoprilo ora