21. Silenzio tombale.

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Si sa che le parole
sono un'arma
ma i silenzi
sono pallottole.

Sabato.

Il vuoto, un puro silenzio mi avvolge mentre resto con il viso attaccato al poggiatesta della vettura con il sedile abbassato. Apro delicatamente gli occhi mentre la poca luce m'illumina innalzandosi da quel filo lontano, che tra le ombre delle case sale lentamente.

Allungo lo sguardo rendendomi conto solo ora di essermi addormentato nella macchina, un ginocchio sbatte contro il cambio ed inizia a bruciarmi mentre il dolore mi percorre tutto il corpo. Alzo la testa per cercare di capire dove mi trovi e... davanti a me avanza l'enormità di quello oceano, si scorgono le linee di colore cambiare a seconda della profondità; è un paesaggio che, per la prima volta, mi lascia senza parole. Dai finestrini leggermente socchiusi entra quella leggera brezza fresca che sembra inumidire la pelle per lasciare una sensazione di freschezza.

A distruggere quel momento è la vibrazione interminabile del mio telefono appena sotto il tablet elettronico; ci allungo il viso e riconosco, ormai imparato a memoria, quel numero: Jessica. Mi porto una mano alla fronte mentre cerco di riprendermi, alzarmi il mattino sembra diventare sempre più un'impresa impossibile.

Sospiro mentre nella testa mi risuona un nome, un discorso lasciato lì, in sospeso a causa della pioggia.

"È... il tuo nome sarebbe...?"

"Luca!"

Sbatto le palpebre e rivedo quel suo volto, quel bar, il drink posato sul bancone mentre sbadiglio ancora completamente assonnato. Il telefono lascia una semplice e silenziosa vibrazione mentre lo schermo si accende; allungo lo sguardo e ne leggo l'ora: dire che è tardi sarebbe come dire che oggi non è sabato. Sono praticamente le due di pomeriggio e... mia madre non ha mie notizie da quasi un intero giorno; spero solo che il suo istinto possessivo-ossessivo non l'abbia portata a far girare pattuglie per tutta la città solo per cercarmi.

"Lei..."

Le sue parole in sospeso, le immagini ritornano sfocate, la pioggia, la sua mano e, contemporaneamente, la sua voce sparire mangiata dal suono della pioggia quell'aria arrivata come un tornado.

Apro la portiera mentre il petricor (l'odore della pioggia) m'inebria le narici ed a stento riesco a respirare; è così fastidiosa l'umidità che ne rilascia. Scendo dalla vettura camminando su quel promontorio per scorgermi fino alla sua estremità, osservo quell'immensità così misteriosa e contorta che mi fa sentire a mio agio, la realtà è che l'oceano è la mia casa, il mio rifugio perché è così sconosciuto, così misterioso da ammaliarmi.

Mi guardo attorno facendo un giro su me stesso ed ecco che, ad interrompere il momento ci pensa, nuovamente, la vibrazione continua del mio telefonino. Mi allungo sul sedile per prendere il cellulare ed ecco ricomparire il numero di telefono di Jessica. Accetto la chiamata ma rimango nel mio silenzio tombale.

"Pronto?!" si affretta a ire on tono scocciato ed irritato.

"Dimmi tutto, cara!" Replico con voce aspra e adirata.

"Si può sapere dove sei finito?!" Proruppe con tono sgarbato e nervoso mentre alzo gli occhi al cielo, si crede di potermi fare prediche... non ho ancora ben capito chi è per farle....

"Da quando devo renderti conto di quel che faccio?" La sento stizzirsi, il silenzio si riempie di parole che mi vorrebbero colpire come fossero proiettili. L'orecchio vibra, scosto leggermente il telefono e leggo il nome "mamma". – Pensavo durasse meno del previsto, almeno oggi si è superata. – Penso tra me e me mentre sento chiudere la chiamata.

Kiss me once moreDove le storie prendono vita. Scoprilo ora