Ivette

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Fuori il buio era pesto, la notte piena , la luna coperta dalle nuvole che annunciavano il temporale delle prime ore mattutine .
Le luci del giardino erano spente e non vedevo oltre al mio naso .
Abbassai la testa sentendo i piedi bagnati dall'erba umida a causa degli irrigatori notturni  . L'unica fioca luce era quella alle mie spalle , il camino ancora accesso , la legna ancora bruciava di un fuoco vivo, ma era piena notte e nessuno lo aveva accesso .
Gli unici rumori erano quelli dalla direzione incerta di grilli e gufi, tutto il resto dormiva , calato in un profondo silenzio .
Da quando avevano tentato di uccidermi dormire era diventato quasi impossibile , non riuscivo a permettere al corpo di concedersi quelle poche ore di vulnerabilità e ne stava risentendo la mia lucidità.
Nonostante tutto , in quel momento , non sentivo nessuna paura attanagliarmi le viscere , nessuna catena di piombo mi tratteneva le caviglie impedendomi i movimenti.
Le tenebre non mi spaventavano più ora il rumore nella notte ero io.
Come in una casa delle bambole tutte riposavano nelle loro camere e avrei dovuto farlo anche io , ma ero fuori posto e stavo andando nell'unica direzione che mi avrebbe portato nelle fauci del lupo .
Non ricordavo perché fossi scesa , mossi un passo e poi un altro e lentamente la luce del fuoco mi abbandonava e io non ero in grado di capire dove stessi andando .
Sentivo il cuore che mi batteva forte nel petto ma continuai fin quando ormai ,immersa nell'oscurità, vidi accendersi un'altra flebile luce . Era intrappolata , trapelava tra alcune assi scomposte e sentivo il bisogno di liberarla .
La seguì senza indugiare , arrivai davanti e ne spalancai la prigione , due ante della botola vecchio stampo che sorgeva dietro la dependance .
Percorsi le scale in pietra, osservavo la porta socchiusa in fondo alla gradinata .
Arricciai le dita dei piedi infreddolita , lo spazio era claustrofobico , aprendo le braccia sfioravo con le dita entrambe le pareti lasciandomi impolverata .
Varcai quel limite sottile tra la ragione e la follia , superando la vecchia porta in legno , senza maniglia , solo una serratura .

"Colpisci ancora " mi incoraggiava lui .
Abbassai lo sguardo e tra le mani tenevo una spranga in acciaio che aveva la circonferenza di un tubo idraulico ed era macchiata di sangue, come le mie mani , come il pavimento, come mia madre .
Mio padre rimise la sedia in piedi e si avvicinò a lei rabbioso, gli puntò il dito contro il viso, severo la intimò di smetterla di gridare.
Nessuno disobbediva a Lance Carlyle , era scritto tra le pagine della nostra bibbia e sulla carta stampata che portava il suo nome .
Lei rispose con qualche verso impedito dalla fascia che aveva legata sulle labbra . Indifferente a quella brutalità accennai un sorriso schermato da tutta quella bestialità . Lei stava immobile al patibolo e implorava pietà dagli occhi , ma ero il suo boia e non portavo maschere .
Ero io il mostro di quella storia  , sentivo l'elettricità che mi vibra nelle vene come l'acqua limpida da una fonte o una lunga e inevitabile colata di lava.
Aveva sangue sul viso , le gocciolava dal naso , dal sopracciglio spaccato e dal labbro tagliato .
L'occhio nero stonava sulla sua pelle olivastra , ma neanche di fronte un cerbiatto ferito avrei vacillato a sparare .
La raggiunsi in qualche passo di rincorsa e la colpì al braccio così che gridando smise di implorare .
"Potrei toglierti i soldi , ma troveresti un modo per farne di nuovi".
"Bisogna estirpare il problema alla radice " .
Se la collera, il rancore , la rabbia impulsiva , avessero potuto uccidere allora io sarei morta in quel preciso istante perché nei miei occhi non vi era alcuna ombra di pentimento .
bisbigliai vicino al suo volto mentre una lacrima si mischiava al sangue e cadeva gocciolante lungo il mento e poi a terra .
Lei era sola proprio adesso che le serviva protezione , ma lo era sempre stata .
Soli nasciamo e così moriremo .
Era tornata perché aveva paura, vigliacca, sudicia sanguisuga, opportunista schifosa , era testarda e le avrei resettato la testa a forza di bastonate se fosse stato necessario a farle capire che rintanarsi nella tana dell'orso era come vivere un ultimo giorno da pasto e non da vittima .
La colpì ancora una volta alla testa e la lasciò cadere in avanti stordita .
Le girai attorno afferrandole il mento con le mani e la costrinsi a guardarmi, le sue pupille tremanti, lo sguardo perso , aveva difficoltà a tenere gli occhi aperti .
Alzai lo sguardo nell' angolo dove mio padre se ne stava appollaiato a braccia conserte .
Non so se fu il mio sguardo o le mie azioni ma oltre allo sconcerto notai quasi un filo di preoccupazioni nei suoi lineamenti rigidi e la posizione imponente .
Io ero un'altra persona , la mia mente era spenta come se qualcosa si fosse impossessato di me e mi guardassi da fuori impotente .
Ero stata cancellata come ogni forma emotiva , sentivo un vuoto così accentuato che se fossi stata trafitta i quel momento sarei risultata solo un contenitore gelido e senza cuore .
Le mollai la testa di botto facendola ricadere , stava perdendo conoscenza . 
Afferrai il secchio d'acqua gelida e nel riflesso mi era impossibile distinguere dove finissero i miei capelli i cominciasse il suo sangue in quel disegno di crudeltà viva .
Glie lo versai addosso e la macchia di sangue si diluì sul pavimento .
"La ucciderai " disse cercando di sfuggire alla pozza ricordandomi che gli accordi non erano quelli di ucciderla , solo di spaventarla .
A me sembrava più che altro tramortita . Respirava a fatica inzuppata e infreddolita . Gettai via il secchio  liberandomi degli ultimi avanzi di sdegno con un grande sospiro . Chiunque al mio posto mi avrebbe fatto lo stesso se avesse saputo che razza di madre era stata .
Mi fermai una volta al suo fianco perché non avevo ancora abbandonato tutta la mia razionalità e riuscì a fermarmi . La calcai con tanta furia che la sedia si spezzò e lei cadde a terra sbattendo la testa .

Poison - double game Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora