R - Se muori tu, muoio anch'io

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Pubblicazione 17/06/2022

XXX

Un cuore normale batte a un ritmo regolare, cammina percorrendo una distanza lunga una vita. Il passo è sempre lo stesso, cambia la velocità. A volte va di fretta, a volte rallenta.

Quello di Leonard, a volte zoppicava, altre scalpitava e altre ancora galoppava come se qualcuno lo stesse rincorrendo.

Non stavolta. Il suo cuore si era fermato.

Aveva smesso di fare rumore. Aveva smesso di grattare il torace, di sfregarsi contro le pareti.

Si era fermato alle 23:54 del 31 maggio 2021.

La discrasia, la cattiva mescolanza tra sangue e veleno, me lo aveva portato via. Avevo svelato il mistero ma era troppo tardi.

A quel punto, lui era immobile e io tremante.

« Leonard. Leonard, svegliati sono Renesmee. » dissi scuotendolo.

« Se è uno scherzo non è divertente! » gli urlai contro. Lo rigirai sul fianco e gridai dallo spavento. Poi emisi un lamento basso e profondo, agonizzante, come se quella a morire fossi io, chiamandolo per nome: « Leonard! »

I suoi occhi erano immersi nel vuoto, sbarrati, rivolti all'indietro. Il suo respiro assente, rimasto a metà tra le labbra screpolate, il suo cuore bloccato, a metà tra veleno e sangue.

Non potevo farmi prendere dal panico. Avevo promesso a Sebastian che sarebbe rimasto vivo, ai Volturi che avrebbero avuto il loro Cacciatore e a me stessa che sarei riuscita a curare un mezzosangue avvelenato.

« Rianimazione cardiopolmonare: 30 compressioni al ritmo di 100 ogni minuto, alternate a due ventilazioni bocca-bocca. » lo ripetei a me stessa come un mantra, ad alta voce, sovrapponendo le mani al centro del torace martoriato.

Contai le compressioni come Hansel e Gretel avevano lesinato le briciole di pane per non perdersi nel bosco. Temendo di dimenticarne qualcuna dalla troppa fretta, mi appigliai al ticchettio dell'orologio per associare ogni compressione a un "tic". Quei tic erano l'unica via a mia disposizione per trovare la strada di casa, per riportarlo da me.

Non avrei avuto una casa dopo questo. Non avrei mai più fatto ritorno a Forks, né a Victoria, né tantomeno in Italia.

Se gettassi la spugna non avrei Jake a consolarmi. Se gettassi la spugna, appassirei "come una rosa rossa", lo ha detto Aro.

In quel momento, ogni mio gesto era di estrema importanza e ne era ancora più importante la sua corretta esecuzione. Non potevo commettere alcun tipo di errore, non stavolta.

Non potevo essere Renesmee, non stavolta. Dovevo essere Carlisle: replicare la sua sicurezza e le sue mani ferme, imitare la sua impassibilità e il suo autocontrollo.

Tic toc.

L'orologio da tasca di Leonard, posto sul suo capezzale, era lì per avvisarmi dello scorrere dei minuti, incitandomi a essere sempre più precisa e puntuale nei movimenti, in modo da rianimarne il legittimo proprietario.

Alle prime due insufflazioni, non appena posai le mie labbra sulle sue, mi resi conto del sapore del veleno: sapore d'inferno. L'inferno era freddo, ma era ghiaccio che bruciava la lingua e la gola, una sostanza corrosiva dal sapore metallico. Una sensazione così disgustosa che dovetti frenare il conato di vomito insorto dal contatto con quella sostanza. Era stato quello il sapore della sua vita fino ad ora.

Più insistevo, più il corpo di Leonard mi incoraggiava a lasciarlo andare in un posto migliore: un'angusta tomba oppure in un'anfora sottoforma di cenere. Non avevo mai visto un mezzosangue morto e, per quanto potessi essere affamata di curiosità scientifica, non era quello il cadavere su cui avrei voluto eseguire un'autopsia.

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