Avete mai avuto la sensazione di vivere in un documentario? Quando le cose che vi accadono sono talmente fuori dal mondo che pensate 'Cavolo, pagherei per vedere un film del genere!'. La mia vita è sembrata così in molte occasioni. È proprio per questo che ho deciso di narrarvi la mia storia come se fossimo davvero al cinema, con l'unica differenza che un film di un paio d'ore non basterebbe per dirvi tutti i dettagli importanti.
Chi sta leggendo queste pagine molto probabilmente già conosce la mia storia e sa quale sarà la sua fine, ma in ogni caso ci tengo a raccontarla dall'inizio.
Mi chiamo Lucille Elizabeth Clarke e sono nata a Nottingham, Inghilterra, il primo marzo 1988. Sono la minore di tre fratelli e ho sempre amato l'arte in tutte le sue forme. Il mio rapporto con la musica è iniziato appena ho avuto l'età giusta per comprenderlo: a cinque anni ho scritto la mia prima canzoncina, a sette ho iniziato le lezioni di pianoforte e a dieci avevo già scritto una collezione di brevi canzoncine e filastrocche.
Anche se da queste nozioni può sembrare che il mio destino fosse già scritto da sempre, non ho mai voluto fare la musicista. Quando, alle scuole elementari, mi chiedevano che lavoro avrei voluto fare da grande, tiravo fuori tutte le professioni possibili: astronauta, pilota, stilista, attrice, libraia... ma mai cantante o showgirl. Perché, vi starete chiedendo: non ne ho idea, ma forse non avevo mai pensato di essere all'altezza di una carriera del genere. Mi ci sono voluti una gravidanza e un cuore spezzato per rendermi conto di essermi sbagliata per tutta la vita, ma questo è un aspetto della storia di cui vi parlerò più tardi.
Ricordo il giorno che cambiò tutto come se fosse ieri: era il lontano 2003, avevo quindici anni e stavo frequentando il secondo anno del liceo pubblico del quartiere. In una fredda giornata di fine ottobre mio fratello Phillip mi chiese di andare a trovarlo, quel pomeriggio, per assistere alle prove della sua band che si era formata da poco. Mi diede l'indirizzo di casa del suo amico e l'unica cosa che dissi in risposta fu "Posso portare Stacy?". La mia migliore amica, Stacy, aveva una cotta colossale per mio fratello da anni, e stavo facendo di tutto per farli mettere insieme.
Come stabilito, quel pomeriggio alle quattro in punto eravamo di fronte alla porta di un ragazzo che conoscevo a malapena per ascoltare le prove di chissà quale gruppo musicale.
"Almeno ci faremo due risate" commentò Stacy dietro di me mentre bussavo alla porta di casa. Ad aprirci fu Tom, uno dei più vecchi amici di mio fratello, che salutai con un abbraccio. Tom Marshall viveva con la madre in una piccola villetta a un paio di isolati da casa mia. Nonostante Phillip passasse la maggior parte del suo tempo libero lì, io ci ero stata solo un paio di volte per qualche cena con le famiglie di entrambi.
Attraversammo il salotto, arredato in stile anni '50, e scendemmo le scale a chiocciola per raggiungere il garage, da cui si sentivano delle voci.
Quando entrammo, tutti i presenti si voltarono verso di noi, sorridenti. I ragazzi erano intenti a sistemare gli strumenti: Phil era seduto di fronte alla sua amata batteria, che aveva spostato con molta cura dalla sua camera un paio di settimane prima; gli altri due ragazzi della band stavano chiacchierando mentre accordavano le chitarre dall'altra parte del cubicolo, mentre il basso di Tom giaceva in un angolo in attesa di essere suonato.
Il primo che ci raggiunse fu un ragazzino biondo che vedevo spesso insieme al gruppo di Phil a scuola, ma con cui non avevo mai parlato. Ci porse la mano con un sorriso smagliante e giurai di aver visto Stacy arrossire. "Lilly, Stacy, Benvenute! Io sono James e lui–" si girò, probabilmente aspettandosi di trovare l'amico dietro di sé, ma si accorse subito che l'altro non l'aveva seguito. L'amico era un ragazzo alto ma esile, i riccioli bruni che gli ricadevano sulla fronte coprivano gli occhi, chini sulla chitarra che non aveva smesso di maneggiare. "Lui è Alex" concluse la frase James e il moro, sentendosi interpellato, alzò la testa e ci fece un piccolo cenno di saluto.
Tom, che nel frattempo era tornato in casa, rientrò nel garage seguito da altri due ragazzi e una ragazza, gente che sapevo appartenere al loro gruppo di amici.
"Ragazze, loro sono–"
"È tutto molto dolce, ma possiamo cominciare?" Tom fu interrotto da Alex e tutti si misero in posizione senza fiatare. Dato che le mie aspettative non erano alte, non ci volle molto impegno per superarle: non saranno stati la band migliore del mondo, ma avevano ritmo e si vedeva che stavano bene insieme.
Dopo un paio d'ore i ragazzi dichiararono le prove terminate, la madre di Tom ci portò degli snack e restammo a chiacchierare fino a tardi.
"Allora... che nome avete dato alla band?" Chiese Andy, uno degli amici dei ragazzi.
"Non abbiamo idee in realtà" rise Phillip.
"Il nome non è tipo una cosa fondamentale per una band?" Intervenne Stacy, visibilmente in dubbio.
"Prima o poi ci verrà in mente qualcosa" pose fine al discorso Alex. Io lo guardai stranita: come faceva un ragazzo tanto freddo ad essere uno dei migliori amici di mio fratello, sempre solare e divertente?
A fine serata io e Phil ci incamminammo verso casa. Vivevamo in un quartiere piccolo, quindi non avevamo bisogno di farci accompagnare in giro dai nostri genitori o da nostra sorella maggiore.
"Come ti sembrano i miei amici?" mi chiese.
"Non male..." Risposi girandomi verso di lui. Il suo profilo era evidenziato dalla fioca luce dei lampioni, e il mio primo pensiero fu su come la mia migliore amica si sarebbe sciolta davanti a una visione del genere.
"Ma..." cercò di farmi parlare. Mi conosceva troppo bene. Mi presi un secondo per trovare le parole prima di continuare:
"Alex... Non lo capisco. Sei sicuro che non abbia, non so, qualche problema di comunicazione con gli altri esseri umani?" Phil rise incredulo.
"Lui è particolare, lo ammetto. Dopo un po' che lo conosci si apre e diventa il ragazzo migliore del mondo – Phil si guardava le scarpe, con le mani in tasca, quando si accorse che lo stavo ancora guardando e continuò il discorso – ma non innamorarti! Tende a fare questo effetto sulle ragazze..." non riuscii a trattenere una piccola risata. Avevo in mente qualche aggettivo per descrivere Alex, ma attraente? Quello no di certo.
"Sei sicuro che stiamo parlando della stessa persona?"
"Fidati quando ti dico che sa diventare irresistibile... – fece una piccola pausa drammatica – nel buio di una festa, dopo aver bevuto fin troppe birre" scherzò, ed entrambi ridemmo senza sosta.
"Capisco, capisco... Quindi lo sai per esperienza?"
Andammo avanti a parlare per tutto il viaggio di ritorno, per la maggior parte gli feci domande sul gruppo.
"Ci sei domani, stessa ora?" mi chiese mio fratello mentre raggiungevamo il portone di ingresso.
"Sei sicuro? Vuoi davvero portarti la tua sorellina a tutte le prove?" risposi prendendolo in giro, anche se dentro di me ero incredula. Fino a quel momento, avevo sempre pensato di essere un peso per mio fratello; Non che mi trattasse male o altro, ma non immaginavo che volesse davvero che passassi più tempo con lui e i suoi amici, che erano di due anni più grandi di me.
"Bastava dire di no..." disse con un finto tono sconsolato.
"Scherzavo! – lo rassicurai, – grazie, ci sarò".
Salendo in camera mia, quella sera, provai una strana sensazione nello stomaco. Allora non lo sapevo, ma il mio sesto senso aveva già capito che quelli sarebbero diventati i miei amici per la vita.

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A Certain Romance
Romance[IN FASE DI REVISIONE] "C'è chi si innamora ogni giorno, e c'è a chi non basta una vita per dimenticare un solo amore". Tre storie. Tre vite. Una sola ragazza. Lucille. Lilly. Lola. Dai sobborghi di Nottingham agli schermi di tutto il mondo, la vita...