Capitolo 0

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Durante i suoi quarantasette anni di vita la signora Bernice aveva pianto solo due volte. Quando a dieci anni era caduta dalla grande quercia nella fattoria di suo nonno sulla quale si era arrampicata, uno spiacevole incidente che l'aveva resa zoppa per il resto della vita compromettendo l'uso della gamba sinistra, e adesso che il piccolo Benny si era risvegliato dal coma. Se nel primo caso si era trattato di un pianto di dolore, ora nemmeno alla stessa signora Bernice era chiaro che tipo di pianto fosse il suo. Sarebbe dovuto essere un pianto di gioia, ma le circostanze erano molto più complicate. Ormai stremata dalle lunghe ore di veglia notturna, si era appisolata accanto al letto del figlio accasciata su un traballante sgabello di ferro con il capo chino, la schiena appoggiata al muro, la gamba malandata stesa davanti a lei e le braccia conserte con le mani che stringevano lo scialle che aveva avvolto attorno alle spalle. Una posizione visibilmente scomoda, ma lei era ormai avvezza a questo genere di sofferenze fisiche e ci voleva ben altro per buttare giù il suo corpo esile. Dopo un arco di tempo indeterminato, immersa nell'oscurità e negli incubi che si presentavano puntuali ogni qualvolta chiudeva le palpebre, fu svegliata da una voce delicata e gentile
<<Mamma...>>
Era la voce di Benny. Gli incubi le avevano dato tregua e stava finalmente facendo uno di quei bei sogni.
<<Mamma...>>
Di nuovo la bellissima voce del suo bambino, quella stessa voce il cui solo ascolto le aveva dato la forza di superare quei momenti difficili che si erano ritrovati ad affrontare insieme. La signora Bernice dimostrava almeno dieci anni in più, ma questo era tipico di chi abitava a Godforsaken. Insieme a suo marito Gilbert, un amichevole e simpatico omaccione, aveva a lungo atteso la nascita di un figlio, che era arrivato quando ormai erano in età avanzata. La loro situazione economica non era delle migliori ed anche questo era tipico di chi abitava a Godforsaken. Tuttavia, grazie al lavoro come operaio di suo marito, riuscivano a far vivere Benny più o meno dignitosamente. Sfortunatamente, una mattina il signor Gilbert rimase coinvolto in un incidente sul lavoro a causa di una trave che gli tranciò una gamba. I soccorsi prestatigli non furono dei migliori, per cui morì più tardi in ospedale per l'ingente quantità di sangue perso. La signora Bernice che fino ad allora si era limitata alla vita da casalinga, facendo affidamento sul marito dal punto di vista economico, dovette rimboccarsi ancor di più le maniche. Il povero signor Gilbert non era ancora stato seppellito che lei aveva già iniziato tre lavori diversi come sarta cucendo per lo più di notte, contadina durante le prime ore del giorno e domestica per qualche signora anziana durante il resto della giornata. Inoltre, per arrotondare, ogni tanto vendeva le sue crostate fatte in casa, le quali riscuotevano molto successo. Durante l'arco della giornata si ritagliava dei frammenti di tempo per riposare e badare a Benny a cui, nonostante la giovane età, aveva insegnato a stare da solo a casa mentre lei era a lavoro. Era una vita sacrificata e la signora Bernice non sapeva per quanto ancora sarebbe dovuta andare avanti con quei ritmi. C'erano state diverse volte, quando si ritrovava a lavorare nei campi sotto il sole cocente o quando nel cuore della notte trovava difficoltoso continuare a cucire a causa della fatica nel tenere le palpebre aperte, in cui sarebbe voluta crollare. Ma le bastava un abbraccio o la risata di Benny per rimettersi in careggiata. Mentre si crogiolava nel suo sogno incorniciato dai ricordi che negli anni aveva costruito col figlio, si sentì dare uno spintone che le fece traballare tutto il corpo.
<<Mamma, perché non ti metti qui sul letto accanto a me a dormire?>>

Subito la signora Bernice spalancò gli occhi ed alzò la testa mentre con uno scatto goffo si rimise in equilibrio sullo sgabello cigolante. Le lacrime scesero per prime solcandole le guance rugose non appena vide quello che le si presentò davanti agli occhi. La voce rotta e rauca tipica del pianto le risalì dalla gola subito dopo. Benny era davanti a lei, seduto sul letto con aria confusa e sembrava sano come un pesce. Il colorito pallido e le occhiaie avevano lasciato posto alle guance paffute e rosee. La donna si lanciò sul figlio abbracciandolo come meglio potè a causa di tutti i fili a cui era attaccato. La signora Bernice era rimasta terrorizzata da come Benny avesse attraversato esattamente tutte le fasi. Una sera era tornata a casa dal lavoro e anziché trovare il bambino intento a giocare con i suoi trenini di legno, questo era coricato a letto sotto le coperte.
<<Tutto bene?>> aveva chiesto lei <<Non hai mangiato nulla di quello che ti ho lasciato per cena>> aveva aggiunto dandogli una carezza sulla testa.
<<Non ho fame mamma, ho sonno... voglio dormire>> le aveva risposto il figlio portandosi la coperta sopra agli occhi.
<<Ok allora, non voglio costringerti! Fai sogni d'oro>> aveva detto la donna con aria impensierita e gli aveva dato un bacio sulla fronte.
Quando però più tardi si era ritrovata nel cuore della notte col bambino in uno stato febbrile che non riusciva a controllare, l'aria impensierita si era trasformata in seria preoccupazione. La signora Bernice aveva Benny in braccio ed era seduta sul letto che condividevano insieme. Nonostante avesse provato tutti i rimedi che conosceva, la febbre non scendeva e anzi sembrava peggiorasse. Nell'angolo buio della sua vecchia casetta in legno, formata da una sola stanza e illuminata debolmente dalla calda luce fioca prodotta da una vecchia lampada ad olio che donava un aspetto sinistro alle ombre dei vari oggetti, la sua testa aveva cominciato a riempirsi di tutte le voci che aveva sentito. Non era una donna esattamente socievole, tuttavia era solita prestare molta attenzione a quello che dicevano le persone attorno a lei.
<<Il vecchio Arthur lavora giorno e notte per soddisfare gli ordini crescenti di nuove bare>> oppure <<Il giornale di oggi diceva che tra Godforsaken e Chimney Pot in tutto sono venti i bambini morti>> <<E tredici erano sul giornale di ieri. Dio benedica le anime di quelle povere creature>> poi ancora <<Ehi ma tu sai come sta Molly? L'ultima volta che l'ho vista i militari la stavano accompagnando all'ospedale di Chimney Pot col figlio maggiore che si era ammalato>> <<Non lo hai saputo? Suo figlio non ce l'ha fatta. Lei e suo marito sono impazziti dal dolore e si sono chiusi in casa terrorizzati che possa succedere lo stesso anche agli altri loro due figli>> <<Questa epidemia è tra le peggiori disgrazie che potessero abbattersi su di noi. Come se a Godforsaken non fossimo già in ginocchio>> e infine <<A te non sembra strano? I militari hanno sempre trattato noi di Godforsaken come rifiuti della società. Perché ora si preoccupano di controllare personalmente le condizioni di salute dei nostri figli e si offrono di accompagnare con i loro mezzi e a loro spese i genitori dei bambini malati a Chimney Pot?>>
Frammenti di discorsi raccolti mentre era a comprare il pane o a lavorare nei campi con altri braccianti e che da soli non avevano chissà quale significato, ma che insieme descrivevano un quadro terrificante. Ogni volta lei aveva provato a ignorare queste voci nella speranza che non la toccassero e anche quella notte si era sforzata di mandarle via dalla sua mente. Avendo messo da parte del denaro per le emergenze, poteva permettersi di non andare a lavoro per qualche giorno, per cui il mattino seguente era rimasta a casa per badare a Benny. Aveva tamponato la fronte del piccolo con uno straccio pregno di acqua fredda, l'aveva avvolto in altre coperte e si era assicurata che bevesse il suo brodo di verdure mentre, accarezzandogli e baciandogli la testa, lo aveva rassicurato nonostante il bambino fosse

Hollow Bay: ZeroDove le storie prendono vita. Scoprilo ora