<<Ehi!>>
Con gli occhi spalancati e lo sguardo attonito, Leroy girò lentamente la testa per guardare alle sue spalle.
<<Non far chiudere l'ascensore!>> due occhi neri come la più buia delle notti guardavano dritto nei suoi grigi.
Con i suoi capelli rossi e le numerose lentiggini che gli ornavano il viso pallido, Leroy era un ragazzo che saltava subito agli occhi. Tuttavia, a causa del suo carattere apparentemente docile e apatico, la gente tendeva presto a dimenticarsi di lui. Da buon figlio di uno dei magistrati più famosi del territorio, frequentava il prestigioso collegio di St. Dominic, un'elegante struttura che si ergeva nel centro storico di Chimney Pot. Passeggiare per la zona antica della città rientrava sicuramente nella lista di cose da fare almeno una volta nella vita prima di morire. Un labirinto di bellissimi viali acciottolati che si snodavano tra edifici signorili famosi per i tetti spioventi rossi, le incantevoli persiane in legno e soprattutto le fioriere alle finestre. Queste ultime, traboccanti di fiori dai colori più disparati, andavano a contrastare la monotonia del grigio dato dalla pietra, elemento predominante nel quartiere che costituiva strade e caseggiato. Ma la vera esperienza memorabile la si viveva all'imbrunire, quando venivano messi in funzione i graziosi lampioni che cingevano ai lati i sentieri inondando l'intero quartiere con una luce calda e accogliente. A quel punto passeggiare era come varcare le porte per entrare nell'immaginazione di un qualche scrittore allucinato. Musicisti, ballerini, pittori, giocolieri, illusionisti, mimi, piccoli animali ben addestrati che si esibivano nei loro numeri, café dove discutevano intellettuali, signore che davano sfoggio dei loro vestiti strani ma costosi, il tutto sommerso dal profumo dei dolci proveniente dalle varie locande. Era tutto perfetto a Chimney Pot, ciò che poteva esserci di felice e spensierato lo si poteva di certo ritrovare lì. Peccato che a causa della nebbia sempre più fitta erano ormai anni che nessuno si faceva più un giro di sera per la città, a parte qualche tale spericolato e ubriaco. Prima che la situazione degenerasse, quando ancora la città sprizzava gioia da ogni angolo, era stato costruito il collegio di St. Dominic non molto distante dalla cattedrale e a distanza di anni era ancora frequentato da ragazzini dai sei ai diciassette anni provenienti da famiglie ricche e importanti. I membri del corpo sacerdotale si alternavano a quelli del corpo militare così da impartire, oltre ad un bagaglio culturale in campo letterario, scientifico e musicale, anche una preparazione atletica. Il tutto al fine di creare giovani uomini e donne prestanti sia mentalmente che fisicamente e permettere agli studenti dell'ultimo anno con i voti migliori di unirsi ai ranghi più alti del potente esercito. Certo c'erano altre scuole nella baia, si partiva dalle altre presenti a Chimney Pot considerate discrete fino ad arrivare a quelle a Godforsaken che si limitavano ad insegnarti a sopravvivere. Ma il collegio di St. Dominic era considerato l'eccellenza. Al fine di garantire un'educazione completa e impeccabile, a partire dai quattordici anni gli studenti vi si trasferivano definitivamente tornando a casa dalle loro famiglie solamente durante le festività. A discapito della sua fama, il regolamento non prevedeva l'utilizzo di un'uniforme bensì di una spilla a forma di colomba. Una spilla che definiva l'intera identità di un ragazzo e aveva un grado di attendibilità quasi maggiore di un certificato di nascita, poteva essere considerata al pari di un documento di riconoscimento. Ed i collegiali sapevano bene che non dovevano mai separarsene. Ma quella mattina di un dodici ottobre Leroy sembrò dimenticarsi di questo particolare. Era il giorno della conferenza, qualche settimana prima agli studenti dell'ultimo anno era stato consegnato un invito da parte dell'esercito aparteciparvi. L'occasione per cambiare le vite di molti. Era scritto proprio così sul biglietto. Da quel momento in poi l'intero collegio era entrato in uno stato di subbuglio, tra chi studiava senza sosta e chi si allenava più intensamente, ognuno dava il cento per cento di se stesso. E anche Leroy aveva voluto provarci, per l'ennesima volta, cercando di non sentirsi sempre sbagliato. Così era andato alla conferenza, sedendosi in un posto in disparte come era solito fare. Ma poi si era alzato ed era andato via dalla sala delle riunioni al secondo piano della palazzina principale. Immerso nel verde, il collegio si componeva di una piccola pineta, utilizzata nelle ore di svago e per alcune tipologie di allenamento, circondata da una cinta muraria di mattoni rossi con due cancelli di ferro, il principale più grande e rifinito e quello di servizio situato sul versante posteriore. Nel parco sorgevano tre edifici, uno dove si tenevano le lezioni, uno con la mensa e i dormitori e uno contenente la palestra. Infine era presente un quarto e ultimo edificio di quattro piani dove invece erano collocati gli uffici di amministrazione, la grande sala delle riunioni e un labirinto di ampi corridoi con soffitto a volta, parquet sul pavimento e alle pareti quadri che si alternavano a semi colonne di marmo. Leroy percorreva proprio questi corridoi quando commise il primo di una serie di sbagli, quel tipo di errori che fatti in un determinato momento e con una precisa sequenza cambiano di netto il corso della propria vita. Per la precisione, Leroy in preda alla rabbia aveva lanciato all'aria la sua spilla a forma di colomba avviandosi verso la fine del corridoio vuoto. Aveva premuto il pulsante per chiamare l'ascensore e quando le porte si erano aperte, vi era entrato attendendo che si richiudessero. Era stato allora che aveva avuto inizio. Come se quella voce rauca lo avesse svegliato da un perenne stato di offuscamento in cui dominavano noia e monotonia.
<<Ehi non far chiudere l'ascensore!>> questa volta il campo visivo di Leroy si allargò oltre quello sguardo scuro e profondo. Notò due ragazzi con abiti consunti che correvano imbracciando due grossi fucili e alle loro spalle un gruppo di quattro soldati.
<<Fermatevi all'istante! É un ordine!>> li urlava dietro uno dei quattro uomini.
Leroy rigirò la testa, la chinò e chiuse gli occhi. Ora che vedeva tutto nero riusciva a sentire le urla provenienti dalla sala delle riunioni e il suo ansito lento e profondo. Fece un respiro, poi il secondo e il terzo. Poi aprì gli occhi e con uno scatto bloccò le porte dall'ascensore tenendole aperte. Quello fu esattamente il secondo errore che il ragazzino commise nell'arco di quella giornata. I giovani entrarono e le porte si chiusero dietro di loro lasciando fuori i militari. La fastidiosa musica d'attesa dell'ascensore iniziò a suonare mentre i due ragazzi erano piegati in avanti con le mani appoggiate sulle ginocchia flesse cercando di riprendere il fiato.
<<Ma proprio i fucili più pesanti dovevamo prendere?>> disse il più basso dei due, quello con gli occhi neri e la voce rauca.
<<Non posso farci niente, il lavoro andava fatto bene>> gli rispose l'altro con una voce profonda che non sembrava per nulla provata dalla folle corsa appena fatta.
Poi il ragazzo più basso si rimise dritto e si voltò verso Leroy.
<<Grazie piccoletto, ti dobbiamo un favore!>> gli disse schiarendosi la voce.
Leroy non riuscì a dire nulla, intento com'era a osservarli. Pensò che dovevano essere strettamente imparentati perché si somigliavano molto. Erano entrambi altissimi e a tratti facevano più paura dei militari, o forse era lui ad essere troppo basso. Portavano i capelli lunghi, quello più alto li aveva raccolti in una specie di chignon mentre l'altro teneva i ciuffi davanti raccolti in un codino sulla nuca e i restanti capelli che li cadevano lungo il collo. Leroy esaminava quei due che si caricavano un fucile da battaglia sulla schiena con gli occhi sgranati, con un'espressione sul volto quasi di stupore e nemmeno lui avrebbe saputo