1 // Rimettiti presto

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Credo di aver sbattuto la testa troppo forte quella sera.

Ricordo di essere andata ad una festa a casa di un compagno di classe. In breve tempo era passata da piccola celebrazione con pochi amici a un vero e proprio rave facendomi pentire di essere venuta.

Avevo già in mente di andarmene, ma non riuscivo a trovare i miei amici da nessuna parte.
Così ero uscita dalla casa per cercarli fuori, evitando gli sbaciucchiatori seriali nei corridoi e le fontane di vomito in giardino.

Io non li capivo, che senso aveva essere così avidi di alcol? Avevano quindici anni, come me, avevano diritto a vivere la loro gioventù, ma bere è vivere? Non ci sono altri modi?

Io preferisco rimanere lucida. Tutto ciò che mi intorpidisce i sensi è mio nemico, che siano alcol, droghe o semplici medicine per dormire senza fare incubi troppo vividi.

Certo, qualche volta può anche starci berne un goccio, mio fratello ne beve un po' ma non eccessivamente. Lui è un bravo ragazzo, conosce i suoi limiti.

Non trovando i miei amici, chiamai proprio lui in modo che venisse a prendermi. Ricordo di aver schiacciato il pulsantino della chiamata mentre stavo camminando per il marciapiede del vialetto.

Poi ci fu una luce seguita dal ronzio di un motore e da una voce che sbiascicava insulti e bestemmie.
Mi voltai a guardare nell'esatto istante in cui Gideon rispose alla chiamata.

La moto mi prese in pieno il fianco sinistro, mandandomi in mezzo alla piccola strada davanti alla casa festante.
Sbattei la testa, forte, e tutta la colonna vertebrale vibrò sentendo la potenza del colpo sull'asfalto.

Dopo di quello, tutto ciò che ricordo è il vuoto.

Mi risvegliai in ospedale due notti dopo l'incidente.
La testa mi pulsava come se qualcuno mi stesse schiacciando il cranio a ritmo regolare.
Nonostante questo, riuscivo lo stesso a distinguere il volto preoccupato dei miei genitori.

Notai che si stavano tenendo dolcemente per mano, un modo per trasmettersi coraggio e speranza. Aveva funzionato, io mi ero svegliata e loro erano al settimo cielo.

Mamma mi riempì di baci sulla fronte mentre mio padre andò a confortare una persona in lacrime che stava dall'altra parte del lettino: mio fratello.
Chissà che paura aveva provato nel sentire nella chiamata il botto dell'incidente invece che la mia voce annoiata a causa della festa.

Arrivò un dottore. Alto, slanciato e con un taglio di capelli scuri perfetto, iniziò a visitarmi.
Mi disse che ero stata molto fortunata per non aver riportato ferite gravi, ma che sarei dovuta stare a casa a riposo per almeno una settimana per via della forte botta in testa che avevo preso.

Poi mi guardò con i suoi occhi di ghiaccio e mi sorrise riferendomi che non avevo alcuna ferita interna, solo qualche livido.
Il suo tono di voce era calmo e gentile.

Quando ammisi che un giorno sarei voluta diventare come lui, mi disse che gli ricordavo sua figlia. Anche lei, immaginai, voleva diventare un medico, ma lei lo avrebbe fatto per seguire le orme del padre che ammirava, io per un sogno che era nato molto tempo fa.

Il dottore, per mandarmi a casa, doveva fare un ultimo prelievo del sangue, così iniziò a parlarmi per distrarmi dal pizzicore dell'ago.
Sembrava molto fiero dei suoi figli. La maggiore aveva circa un anno in più di me, mentre il più piccolo era al terzo anno di elementari. Entrambi, secondo quello che mi disse, erano molto dotati, proprio come lui, e aveva deciso di supportarli nei loro piccoli sogni, provando a mettere da parte qualcosa per garantire ad entrambi un meraviglioso e felice futuro.

Era un buon padre e un buon medico il dottor Slave, vorrei che ci fossero più persone come lui, specialmente in quell'ospedale dove le infermiere erano veramente cattive. Non avevano alcun tipo di delicatezza quelle più esperte, e anzi, restavano a chiacchierare tra di loro sparlando dei dottori e delle receptionist come se non sapessero fare il loro lavoro.

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