ᴇᴛᴇʀᴏᴄʀᴏᴍɪᴀ

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Erano passati cinque anni dall'alluvione casalingo causato da Memo, e da allora erano cambiate tante cose nella vita di Ofelia.

La bambina, sua e di Hernán, era nata e aveva anche già cominciato l'asilo. Si alzava ogni mattina con un sorrisino sulle labbra degno di nota e, dopo aver fatto colazione, salutava la mamma e si avviava in direzione dello scuolabus.

La guardava andare via, sventolando una mano in risposta a quella testa ricciolina che si intravedeva da dietro il vetro. Da quel momento in poi le giornate erano ritornate pressoché alla normalità: sistemava la casa con la musica a tutto volume, preparava la borsa a tracolla per andare in ufficio e, dopo aver lasciato una carezza alla foto di Hernán che teneva sulla cassettiera all'ingresso, usciva anche lei di casa.

Ofelia aveva deciso di trasferirsi, nonostante tutti i ricordi che aveva in quella casa in cui aveva vissuto con il marito. Pochi giorni dopo essere riuscita ad asciugare tutti i suoi averi, infatti, aveva capito che era arrivato il momento di andare via. Mettere un punto a tutto quel dolore e ricominciare non da zero, ma da se stessa e dall'esserino che iniziava a scalciare dentro la sua pancia.

Alla fine aveva mantenuto la parola data a Memo: si era presa ben cura di sua figlia e aveva scoperto in lei un nuovo motivo per sorridere.

Non aveva trovato, né cercato qualcuno che la facesse sentire amata come aveva fatto Hernán. Non ne aveva bisogno. Il suo equilibrio era in quella piccola casetta di campagna poco fuori Oaxaca de Juárez, in compagnia della sua piccola combinaguai e di un gatto pigro come pochi altri.

Aveva optato, però, di non lasciare la sua città. Lì era nata ed era cresciuta, era stata amata e aveva amato, aveva sofferto ed era stata felice.

Non ce la faceva ad abbandonare del tutto quel posto che tanto le aveva dato e altrettanto le aveva portato via.

Quella mattina, tuttavia, era diversa dalle altre. Aveva svegliato la bambina più tardi facendole saltare la scuola e lei, che non prendeva mai un permesso se non per malattia, aveva chiesto il favore di assentarsi dall'ufficio.

Era il sesto anniversario dalla morte di Hernán. Anche quell'anno la giornata era meravigliosa e, proprio per quel motivo, aveva preso al volo l'opportunità affittando una piccola barca a vela nella baia di Mazunte.

Avrebbero passato una bella giornata al mare, magari faceva ancora troppo freddo per provare a fare un tuffo, ma la scienza diceva che la salsedine faceva bene, soprattutto ai più piccoli.

Inoltre non aveva dimenticato.

Non aveva dimenticato gli ultimi desideri del suo amato e, per qualche ragione a lei ignota, quella mattina si era svegliata con la consapevolezza di essere pronta a fare quel passo. Così si trovavano lì, in mezzo al mare, a osservare il cielo e ad ascoltare il rumore del vento e delle onde.

«Mamma, cos'è quella?» La bambina dai capelli ricci e scuri indicava con curiosità la scatolina di cartone che la madre teneva stretta al petto già da qualche minuto. Sembrava fosse sempre sul punto di fare qualcosa, sporgendosi con le braccia oltre il parapetto della barca, ma senza mai davvero riuscirci.

I due pozzi di diverso colore di Ofelia si posarono sulla bimba di fronte a lei, ma non rispose. Prese però coraggio per fare una cosa che fece rimanere spiazzata la più piccola: quella scatola da scarpe, che aveva tenuto in mano fino a quel momento, fu buttata in mare.

La guardarono entrambe affondare; la bambina confusa e divertita dalle bollicine che arrivavano in superficie, la donna trattenendo a stento il sollievo che le aveva provocato quella scelta. Delle lacrime sfuggirono agli occhi di Ofelia, mentre guardava tutto ciò che rimaneva dell'uomo che amava andare verso il fondo dell'oceano.

Una delle manine della piccola si strinse attorno alla gonna color panna della madre, così da attirare la sua attenzione verso il basso, sul suo viso a palloncino e con il labbro inferiore sporto verso l'esterno. «Non piangere, mamma, non essere triste.»

«No, tesoro, non sono triste,» la attirò con delicatezza e affetto a sé in un abbraccio, «sono solo felice di essere riuscita a fare questa cosa per papà».

«Quale cosa, mamma?» Gli occhi della bambina cercarono i suoi: erano identiche sotto quel punto di vista, lei aveva ereditato l'eterocromia della mamma, ma unicamente quello. Per il resto era identica a suo padre.

«Un giorno ti racconterò tutto, Myrna, te lo prometto.» La bambina annuì felice per poi sulle gambe della mamma. Era proprio una bella giornata, una giornata da ricordare e da passare con le persone care. «Ora, però, godiamoci questo splendido sole, ti va?»

E, per la prima volta da anni, Ofelia cantò. Lo fece per la sua bambina nonostante fosse consapevole di stonare e sperò che, nonostante tutto, la lettera che aveva lasciato in quella scatola prima o poi sarrbbe riuscita ad arrivare a destinazione.

Sperò che, per quanto stonata potesse essere, quella canzone d'amore affidata al vento potesse raggiungere Hernán e Memo, ovunque si trovassero.

Memo - Cos'è il dolore?Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora