ᴘᴀʀᴏʟᴇ

135 42 93
                                    

Dall'incontro con Ofelia, Memo aveva visto pochissime volte il signor Sanles: con il passare del tempo, infatti, aveva smesso pian piano di scendere in garage. Una volta lo faceva tutti i giorni dopo il lavoro; aveva iniziato, poi, ad andare da lui una sera sì e una no, fino ad arrivare a un solo giorno a settimana.

E ogni volta che lo faceva il suo aspetto era sempre peggiore.

Memo lo aveva capito che Hernán non stava bene, ma sembrava come se non volesse accettarlo. Ogni volta che scendeva da lui, dimenticava tutto il tempo che lo aveva lasciato da solo e lo accoglieva sempre nel migliore dei modi.

Gli mancava parlare con lui la sera, gli mancava vederlo armeggiare con tutto ciò che aveva in quel suo piccolo covo... gli mancava così tanto che era come se si rifiutasse di notarne i cambiamenti. Il signor Sanles, infatti, non riusciva nemmeno più a scendere dalle scale come prima, aveva bisogno di appoggiarsi con tutto il peso al corrimano e ogni scalino gli costava una smorfia di dolore.

Quella sera, tra le altre cose, aveva una tuta che Memo gli aveva già visto altre volte addosso, ma gli andava larga, forse troppo. Sembrava quasi come se l'uomo che la indossava si fosse rimpicciolito.

Ci vollero un paio di minuti prima che Hernán riuscisse a sedersi sulla sedia di fronte alla sua creazione e, nonostante questa fosse felice di vederlo, era evidente che quella non fosse una visita di piacere. L'uomo appena arrivato si tolse gli occhiali e iniziò a parlare mentre ne ripuliva le lenti con poca attenzione con un lembo della propria maglia.

«Temo che non ci vedremo per un po' di tempo, Memo.» La voce era graffiata, roca, come se gli mancasse e non riuscisse a parlare bene, faceva fatica a pronunciare le parole senza biascicare. «I medici dicono che hanno bisogno di tenermi sotto controllo per evitare peggioramenti improvvisi.»

Memo sentì un sospiro lasciare le labbra di suo padre e, nonostante fosse consapevole di dover dire qualcosa, non ci riuscì. Hernán era malato? Da quanto? Di cosa? Non riusciva a capire, aveva mille domande da porre, ma non sapeva da quale cominciare.

«Evitare che peggiori la situazione... non so né come sia possibile che la situazione possa ulteriormente peggiorare, né come loro possano prevenirla nel peggiore dei casi.» Quella volta, dalla bocca dell'ombra dell'uomo che era una volta Hernán, uscì una risata amara, quasi rassegnata. Possibile che lui non nutrisse più speranza per se stesso? «Voglio essere sincero: non so se ci rivedremo di nuovo, Memo.»

La piccola scatoletta bianca sentì come una sensazione di vuoto, un vuoto strano, sembrava quasi come se pesasse. Può essere pesante il vuoto? Non lo sapeva, ma intanto così si sentì mentre gli occhi sbiaditi del signor Sanles si poggiavano su di lui.

Anche quello sguardo, una volta così pieno di emozioni, in quel momento sembrava spento. Vedeva, ma non provava: era stanco di provare, stanco di comunicare.

«Non sono qui per dirti addio, in cuor mio spero di riuscire a tornare.» Spinse di nuovo gli occhiali sul naso e passò la lingua sulle labbra per inumidirle. «Sono qui per chiederti un favore... un grande, enorme favore.»

Memo capì subito che non sapeva proprio come continuare, che stava cercando le parole giuste per esprimere al meglio quello che aveva bisogno di chiedergli.

«So che con Ofelia l'ultima volta non è andata bene.» Iniziò a muovere una gamba su e giù dal nervosismo, gesto che avrebbe messo ansia a chiunque, e di sicuro l'avrebbe trasmessa anche a Memo se quest'ultimo avesse potuto capire cosa significava essere in ansia. «Ma ho bisogno che tu ti prenda cura di lei.»

I suoi occhi erano fissi su di lui, si era immobilizzato nel momento stesso in cui aveva pronunciato quella frase; come se solo in quel momento si fosse reso conto dell'importanza delle parole che stava pronunciando e, soprattutto, di quello che potessero significare.

Memo - Cos'è il dolore?Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora