Capitolo 10 (Simon)

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Sto per uscire da casa sua, per insegnare un po' di sane buone maniere a quel coglione di Thomas, ma una presa mi circonda l'avambraccio.

Vuole fermarmi, ma la mia mente è condannata a un eterno tormento.

Mi volto e vedo che mi guarda con quegli occhi imploranti, come se sapesse cosa intendo fare.

La sua presa è come quella di Persefone che si aggrappa al mondo terreno, mentre viene trascinata negli Inferi da Ade. Un legame che cerca di non sprofondare nell'abisso dell'anima.

Ma io sono sia Ade che Persefone, sia il tiranno che il prigioniero.

La squadro con un'occhiata infastidita. Lei sembra piccola e vulnerabile, ma la sua forza è nella capacità che ha nel toccare la mia anima. Di raggiungere parti di me che pensavo fossero morte da tempo. Ma può davvero fermarmi? Può davvero impedire a questo vulcano di esplodere?

La rabbia che provo per Thomas è come uno tsunami che minaccia di inghiottire tutto. È una forza primordiale, una furia che mi scorre dentro, pronta a riversarsi su chiunque intercetti la mia via.

Mi chiedo se lei sappia davvero con chi sta avendo a che fare. Io non sono né un eroe né il cavaliere che la salverà. Sono più simile alla bestia che deve essere incatenata per non fare del male. Eppure, lei mi guarda con quegli occhi grandi e luminosi.

"Calmati" bisbiglia, come se pensasse che bastasse una parola per far svanire la mia furia.

Il mio sguardo diventa freddo, impenetrabile. "Calmati?" ripeto, come se fosse un'assurdità. "Sai quante persone si sono calmate mentre il mondo intorno a loro crollava? Pensano che basta restare fermi e tutto andrà bene. Ma non funziona così, Unicorno. Il mondo è un posto brutale. Devi lottare, oppure finisci schiacciato."

Mi guarda con un misto di confusione e determinazione. "Perché fai così?" chiede, la sua voce ferma, ma posso vedere che sta cercando di capire. "Ieri eri gentile, sembravi... diverso. E ora sei uno stronzo. Perché?"

La sua domanda mi colpisce come una lama. "Forse ieri ero solo di buon umore," rispondo con sarcasmo. "O forse mi diverto a confondere le persone. Mantiene le cose interessanti, no?"

La verità è che non so perché mi comporto così. A volte, con lei, la mia maschera cade. Poi però ritorna, come se fosse un riflesso automatico. Forse ho paura di quello che potrebbe succedere se le permettessi di vedere il vero me. Il me che combatte ogni giorno per non essere sommerso dai suoi tormenti. A dirla tutta, non ho una risposta chiara. Sono solo un enigma avvolto in un mistero, anche per me stesso.

"Comunque sono qui solo per darti il tuo stupido braccialetto" dico mentre lo cerco nelle tasche della mia tuta grigia.

Una volta preso allungo la mano verso la sua, ma poi la ritraggo. "Sei sicura che è tuo? Non mi sembra molto il tuo stile. Magari lo ha perso una delle mie bimbe"

Il suo sguardo cambia.

"Le tue bimbe?" domanda con un tono che suggerisce che non è contenta della risposta.

"Già, sai come funziona, no?" rispondo con un sorriso che non raggiunge i miei occhi. "Nelle ultime settimane me ne sono fatte circa trenta, una cosa da una botta e via. Nessuna poi ha l'onore di rifarlo con me."

una bugia, o forse una mezza verità. L'ho fatto solo con sette ragazze, ma mi serve per tenere a bada il ragazzino nella mia testa. È come un minotauro interiore, dopo un certo periodo ha bisogno di essere sfamato.

Però è meglio che mi veda come un tipo superficiale, interessato solo a ciò che è effimero, che come un libro di matematica pieno di problemi impossibili da risolvere.

IL CUSTODE DELLE STELLEDove le storie prendono vita. Scoprilo ora