Tommaso
Nella sala d'attesa di questo policlinico i minuti sembrano scandire un tempo invisibile. Ho l'impressione di essere qui da ore, mentre il tanfo del vecchio si mischia a quello prepotente del disinfettante e la luce impietosa dei neon evidenzia ogni piccolo difetto sulla pelle delle poche persone sedute con me.
Mi guardo intorno, sconsolato, nessuno sembra intenzionato a salvarmi da questa attesa, per cui mi alzo e raggiungo nuovamente la reception del reparto di oncologia.
Sono qui per avere delle informazioni puramente tecniche, non per essere visitato. Non devo mica fare la fila. Mi serve solo sapere un paio di nozioni sanitarie legate al caso che sto seguendo in ufficio. Non dovrei metterci più di dieci minuti. L'ho fatto presente all'infermiera all'ingresso, ma lei non ha capito e mi ha spedito qui ad attendere che qualcuno si degni di prestarmi attenzione.
L'infermiera di prima è cambiata, la donna corpulenta con gli occhiali spessi e i capelli stretti in un severo chignon è sparita, al suo posto c'è una giovane biondina con le ciglia finte e il camice aperto sul petto a mostrare il suo florido décolleté.
Quando solleva i suoi grandi occhi verdi decido di usare tutte le mie carte.
«Buonasera, signorina.» Le sorrido candidamente, mentre lei mi squadra per bene. So di essere un bel bocconcino da guardare, specie quando indosso i miei completi eleganti da ufficio.
«Sono l'infermiera Rebecca.» Mi corregge ricambiando il sorriso. «Mi dica, in cosa posso aiutarla.»
Appoggio i gomiti sul bancone della reception spingendomi in avanti per arrivarle più vicino. «Ecco, sono qui in attesa da un po'. Mi chiamo Tommaso Borromeo, sono un avvocato dello studio Borromeo.»
«Borromeo?» Trasalisce.
Mi ha riconosciuto?
«L'avvocato Borromeo, quello del caso Luxe?» Chiede emozionata.
Annuisco. In realtà è stato mio padre a occuparsi di quel caso ma, grazie a quella vittoria, il nostro studio è diventati uno dei più importanti del paese e francamente, non starò lì a dilungarmi in tecnicismi solo perché non sono tato io a metterci la faccia in tribunale.
Rebecca si alza in piedi e gira il banco per venire dalla mia parte. Mi prende una mano e la stringe con calore. «E' un piacere conoscerla.» Dice con la voce improvvisamente di miele. «Ho seguito il caso in televisione.»
Bingo! Sfodero il mio sorriso migliore e le allungo il mio biglietto da visita. Ringrazio la mia buona stella che non mi ha abbandonato e le spiego cosa mi serve.
Rebecca è ben felice di accontentarmi e nel giro di cinque minuti, meno di quanto avevo preventivato, ho in tasca ciò che cercavo, compreso il suo numero di telefono.
Sono pronto a lasciare finalmente l'ospedale, quando sento qualcuno che chiama il nome di Viola. Non è un nome molto comune, e mi sembra una coincidenza strana sentirlo così spesso, quando non ho mai conosciuto prima nessuno con questo nome.
Mi fermo nell'atrio e giro su me stesso. Dal fondo del corridoio un gruppo di donne in camice cammina verso l'area degenza. Le guardo a lungo. Le guardo troppo. Perché l'ho vista.
Lei è lì.
Sto per raggiungerla e chiederle come mai si trovi in ospedale. La sua tenuta suggerisce che lavori qui, tuttavia, escludo che sia una dottoressa, è troppo giovane. Forse sta facendo un tirocinio?
Rebecca, che è tornata dietro il banco della reception mi sta ancora occhieggiando, così torno indietro per estorcerle qualche altra informazione.
«Ehi!» Mormora con il sorriso accattivante di chi si aspetta qualcosa di più.
Devo darle una delusione. «Sai dirmi chi sono quelle donne laggiù?»
Lei si sporge per vedere dove sto indicando e annuisce. «E' la caposala con le ragazze che prestano volontariato. Perché?»
Ignoro la domanda e le regalo un altro dei miei sorrisi. «Sei stata gentilissima. Grazie Rebecca.» Le accarezzo la guancia con la punta delle dita, come ringraziamento per la sua disponibilità. È stata davvero carina ad aiutarmi, soprattutto perché sono un bastardo che ha giocato con la fiducia di una ragazza innocente. A mia discolpa, non ho mai detto di essere un bravo ragazzo. Di solito me ne frego degli altri e metto sempre al primo posto me stesso. Soprattutto nel lavoro.
E adesso sto lavorando.
Guardo nel folto del corridoio dove Viola e le altre ragazze in fila stanno entrando in una delle camere. Non le raggiungo come avevo pensato. Sono abbastanza sicuro che la mia presenza non le farebbe piacere. Anche se, devo ammettere che stuzzicarla un po' non mi dispiacerebbe. Vederla perdere un po' della sua sicurezza è tanto divertente quanto stimolante. Soprattutto perché io la rendo nervosa.
Sorrido al pensiero, ma poi scuoto la testa. Qualcuno direbbe che sono un vero bastardo, ma nessuno sa che non perderei mai tempo con qualcosa che non mi interessa. Viola mi piace. È la prima persona, dopo secoli, ad aver attirato la mia attenzione. È simpatica, divertente, arguta e brillante. Mi è bastato chiacchierarci un paio di volte per capirlo. Quando sono insieme a lei mi sento in pace, a posto con il mondo, come se non avessi alcun pensiero e lei potesse riempire tutte le lacune che ho dentro. Strano, vero? La conosco da pochissimo tempo, eppure ho l'impressione di conoscerla da sempre, pur non sapendo nulla di lei.
Quest'ultimo pensiero mi fa tornare con i piedi per terra, spingendomi a voltarmi verso l'ascensore. Sto ragionando come un ragazzino alla sua prima cotta. Devo ricordarmi che invece non lo sono e che ho delle priorità che mi aspettano in ufficio. È meglio andarmene. Qualsiasi cosa sia venuta a fare Viola è di estrema serietà e io la importunerei e basta.
In macchina ne approfitto per fare alcune chiamate urgenti. Per ultima chiamo mia madre che mi ricorda la cena di domani sera al Groove con la nonna. La rassicuro che sarò puntuale, ma già mi sto chiedendo se Viola sarà presente. Non conosco i suoi orari. L'ho vista coprire sia il turno della mattina che quello della sera, ma dubito che faccia doppi turni visto che presta anche volontariato all'ospedale. Sto riflettendo di chiamare Miss Baker per avere l'informazione, ma desisto. Fare il suo nome significherebbe metterla sotto una luce e, se ho capito il tipo, dubito che ne sarebbe contenta, anzi. Probabilmente mi staccherebbe la testa a morsi.
Scoppio a ridere da solo. Nell'abitacolo la mia risata rimbalza e si spegne come è nata.
Che sto facendo? Guardo le macchine che procedono lente nel traffico di Milano. Piccole goccioline di pioggia ricoprono la capotta rossa di quella che ho davanti. Sta piovendo. Non me ne ero accorto.
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IL SEGRETO DI BEA
RomanceViola non ricorda nulla del suo passato. Quando aveva otto anni un terribile incidente le ha fatto perdere la memoria e con essa anche ogni ricordo della sua famiglia d'origine. A distanza di quindici anni, Viola vive la sua vita a pieno ritmo, stud...