Parte 8

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Viola

Il brutto del volontariato è che non è proprio un lavoro, quindi, non hai un vero orario da rispettare e di conseguenza non puoi svincolarti a un'ora precisa solo perché altrimenti farai tardi con l'impegno successivo. Già, peccato che io non viva di volontariato, e che la mia giornata sia scandita anche da studio e lavoro.

Dopo essere uscita dall'ospedale, sono corsa qui in zona Brera, in pieno centro a Milano, nell'hotel Bvlgari dove Marco mi aspettava per uno shooting fotografico di due ore e mezza. Avrei voluto dire no, passare il lavoro a un'altra ma, alt, non posso permettermelo. Se voglio continuare a vivere in città e, soprattutto, far vedere ai miei che le mie argomentazioni sull'importanza dell'emancipazione di una giovane donna sono valide, devo stringere i denti e superare i momenti difficili. Anche se sono stanca. Anche se mi fa male la mascella a furia di sorridere e mi bruciano gli occhi per la tonnellata di mascara che mi ha messo la truccatrice. Resto stoicamente imperturbabili davanti all'obbiettivo.

Sorrido per l'ennesima volta. Scatto.

«Bravissima Viola! Ancora una.» Pier, il fotografo, mi guida negli ultimi scatti.

Mi giro verso l'obbiettivo.

Sorrido. Scatto.

«Guarda qui, adesso. Più diretta, non sorridere. Così. Perfetta!»

Eseguo automaticamente e, dopo altri dieci scatti, mi lascia libera.

Trattengo un sospiro di sollievo, mentre il pensiero corre agli zeri sul mio conto in banca. Non sono avida, né troppo attaccata ai soldi, la mia è pura necessità.

Questo lavoro mi serve, come pure quello al Groove.

Mentre arranco verso i camerini, Marco mi fa cenno di aspettarlo. Lo guardo avvicinarsi allo schermo per visionare e selezionare gli scatti migliori insieme al suo capo.

Non ho voglia di protrarre ancora questa giornata. E' stata già abbastanza piena. Fuori è buio, sono stanca e mi fanno male i piedi a causa dei tacchi alti che ho dovuto usare sul set. Che poi, non ho capito l'importanza delle scarpe, ho fatto solo primi piani. La campagna pubblicitaria era sulla nuova linea di ombretti di un brand di trucchi molto importante. Avrei potuto indossare le mie ciabatte di peluche e nessuno se ne sarebbe accorto.

Sto considerando l'idea di andarmene senza dare nell'occhio, tuttavia il pensiero di Marco mi blocca. Che amica sarei se continuassi a boicottarlo. È una settimana che non parliamo. Un po' per colpa dei vari impegni, un po' perché lo sto evitando. Tutta colpa di Nicola. Con le sue stupide considerazioni, mi ha messo in testa degli strani pensieri a cui non voglio dare peso, ma che, in un modo o nell'altro, ne stanno avendo comunque. Non posso ancora credere che mi abbia parlato in quel modo. È stato brutale ed esagerato e non me lo merito. Io e Marco non abbiamo preso nessun impegno. Se da una parte il nostro rapporto è puramente fisico, dall'altra la nostra amicizia prosegue tranquilla come è sempre stato. Come se vivessimo il rapporto su due binari diversi ma paralleli che procedono insieme.

Più ci rifletto, più me ne convinco. È solo che...qualcosa mi turba. È come una fastidiosa fitta che mi aggredisce ogni volta che penso a Marco.

Quando mi raggiunge, sorride. È il solito vecchio Marco. Eppure, sembra diverso.

«Ehi.»

«Ehi.» Incespico sull'ultima lettera e copro con un colpo di tosse.

Marco non sembra notare il mio imbarazzo. «Ti va di bere una cosa prima di andare?»

«Oh, no. Ho un pò di fretta in realtà...»

«Dai, solo mezz'oretta. Restiamo qui. Facciamo l'aperitivo al bar del Bvlgari.»

La mia titubanza lo spinge a prendermi per mano per condurmi nell'area comune dell'hotel. Il Bvlgari è un hotel di lusso, è come tutti gli hotel di un certo livello, gli ambienti sono curati nel minimo dettaglio. Il pavimento è uno specchio e le porte luccicano. Il bar è costituito da una sala ampia e ariosa, grazie a un terzo del soffitto costruito in vetro si ha l'impressione di trovarsi all'esterno. Le finestre, inoltre, affacciano sul giardino che con il suo verde richiamano l'arredamento dell'interno. L'effetto è da togliere il fiato, ma sono troppo tesa per rendermene davvero conto.

Non ci sono molti avventori, perciò ci accomodiamo su un tavolino al centro della sala. Ordiniamo due spritz. Io resto rigida sulla mia poltroncina, mentre Marco non smette di fissarmi.

«Che c'è?» Sbotto dopo che ci hanno portato l'ordinazione.

Marco beve un sorso del suo drink. Posa il bicchiere. Avvicina la sua poltroncina alla mia, trascinando i piedini in ottone sul pavimento lucido.

Mi guarda. «Non mi hai richiamato. È una settimana che non ci sentiamo.»

«Non è vero. Ho WhatsApp che lo prova. Ci siamo accordati per oggi. Ricordi?»

«Non è di lavoro che sto parlando.»

Tiro un sorso dalla cannuccia. Prendo tempo. «Sai che ho iniziato il nuovo lavoro e il volontariato. Sono impegnatissima. Praticamente non ho più tempo nemmeno di mangiare.» Indico i salatini sul tavolo e me ne ficco una manciata in bocca.

«E allora fermati.»

Mi irrigidisco all'istante. «Cosa?»

Marco mi prende una mano. «Stai lavorando troppo e devi ancora laurearti. Quanto pensi di poter tenere questo ritmo?»

Mi stizzisco. «Non preoccuparti di questo. Se lo sto facendo vuol dire che so di poterlo fare.»

Marco si accorge del mio irrigidimento e tenta di addolcire il tono. «Non ho detto che non ne sei capace. Ma...guardati! Sei stanca. Hai perso peso. Non hai più tempo per gli amici.»

«Oddio, Marco! Mi stai facendo la paternale? Lavoro al Groove da appena una settimana!»

Lui posa in malo modo il bicchiere sul tavolo. Il rumore forte che produce ha un effetto inquietante su di me.

«Appunto, se questo è il risultato dopo una settimana immagina cosa sarà dopo.»

«E quindi? Qual è il tuo suggerimento? Che lasci il lavoro meglio pagato che abbia mai avuto?»

Marco si adombra. Scuote la testa, ma ancora non distoglie lo sguardo. È straconvinto di quello che mi sta dicendo. «Se il problema sono i soldi posso chiedere a Pier di chiamarti a tutti gli shooting che facciamo. Diavolo, possiamo preparare un book con i tuoi lavori e mandarlo a tutti i fotografi che conosco. Sono sicuro che con il tuo viso non avrai problemi a trovare ingaggi più importanti.»

«E credi che lavorare a pieno ritmo nel mondo della moda non mi porterebbe via molto tempo?»

«Questo lo puoi decidere tu.»

«No, non funziona così. Non sarebbe un lavoro stabile, ma pieno di se e forse. Io ho bisogno di un'entrata fissa e sicura ogni mese. Lo capisci?»

«Lo so, Viola. Sto solo cercando di aiutarti.»

Mi blocco. Le sue parole invece di rabbonirmi, hanno l'effetto opposto. «Tu non mi vuoi aiutare. Tu stai solo pensando a te stesso. Perché non ti dedico più il tempo e le attenzioni di prima. Ti senti trascurato, Marco?», lo provoca con cattiveria. «Vuoi una sveltina proprio adesso? Avranno una stanza per noi in questo posto? Forza, vai a chiederne una.»

Si prende la testa tra le mani. «Viola...» Mormora sottovoce. L'audacia di prima ormai sepolta.

Mi alzo dalla poltrona, una strana risolutezza mi vibra nel petto. Di colpo non sono più stanca.

Lo lascio lì. Non mi volto nemmeno a salutarlo quando lo sento chiamare il mio nome.

È un codardo del cazzo! Non ha nemmeno avuto la decenza di dirmi perché vuole che gli dedichi più tempo. A questo punto non so se preferisco la schiettezza brutale di Nicola o il suo falso girarci intorno.


IL SEGRETO DI BEADove le storie prendono vita. Scoprilo ora