Parte 3

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Viola

«Grazie mamma. Come al solito il tuo pollo è il migliore!» enfatizzo il complimento leccandomi le labbra. All'altro capo del tavolo papà mi fa l'occhiolino di nascosto, mentre mamma sorride lusingata.

«Dovresti tornare a casa più spesso, Viola. Non ti fa bene mangiare sempre panini o le porcherie che vi comprate tu e Gaia.»

«Le porcherie di cui parli sono solo una riserva di zuccheri che ci aiuta durante il periodo degli esami. E poi non è vero che mangio sempre panini.»

In risposta ricevo la sua faccia più scettica «Qualsiasi cosa tu stia mangiando non è sufficiente. Sei così magra! Vero Paolo? è dimagrita.»

Siamo alle solite. Mi alzo da tavola e comincio a sparecchiare mentre loro discutono della mia alimentazione. Ogni volta che rientro a casa, quasi tutti i fine mese, mi assillano di domande sulla mia vita a Milano e mi riempiono di raccomandazioni. Oggi sono passata per parlargli del mio nuovo lavoro al Grove Club. Non so se ne saranno entusiasti come me. Già è un problema che faccia degli occasionali servizi fotografici, lavorare part time in un club per la Milano bene farà impazzire mio padre, soprattutto da quando ha chiuso il suo negozio per colpa dell'espansione dei centri commerciali che hanno sotterrato le piccole realtà di cassetta e reso il mercato dei paesini di provincia inutile e superfluo.

Quando, dopo il caffè, trovo finalmente il coraggio di tirare fuori l'argomento, mia madre si fa avanti chiedendomi un favore.

«In ospedale abbiamo bisogno di qualche volontario che dia una mano con i bambini del reparto oncologico. Ci serve una figura che aiuti questi bimbi a trovare un po' di serenità in un momento difficile.»

Apro la bocca per dirle che non ho molto tempo libero, ma papà mi previene venendomi in aiuto: «Non sobbarcarla di impegni, Barbara. È già molto stressata per via dell'università e la pizzeria. Così finiremmo per vederla una sola volta l'anno.» La sua voce è monotona, priva di emozioni, come se fosse abituato a non ricevere belle notizie o a adeguarsi a quelle brutte. I suoi occhi, però, sono di una tristezza infinita. Io lo so com'è fatto mio padre. Lo conosco. Si sente una nullità perché non può contribuire al mantenimento della famiglia, né aiutare la figlia che studia lontano da casa. So che non vorrebbe vedermi fare mille lavori e che non dorme la notte al pensiero di sapermi rientrare tardi dopo un turno in pizzeria. Quello che è capitato è ingiusto, vorrei aiutarlo in qualche modo, ma non so come, se non facendo il mio dovere di figlia e studentessa.

La faccia mortificata di mamma è tutto un programma: «Non voglio stressarla, sto solo proponendo. È libera di scegliere.»

«Veramente non so se riuscirò. Che orari sono previsti?»

Le si illuminano gli occhi «Vedrai, non ti impegneranno troppo tempo. È solo per due volte la settimana, al pomeriggio sei libera, no?»

In teoria non è più così. Al club lavorerò su turni, perciò alcune settimane farò la sera, ma altre volte mi toccherà il pomeriggio e ho dato disponibilità anche per il fine settimana in cui non saranno escluse le mattine.

Ai miei, però, non lo dico. Taccio l'intera questione del Grove con la promessa che lo farò al più presto. Se lo facessi adesso, mamma ritirerebbe la sua proposta del volontariato pensando di gravarmi di impegni. Per due volte alla settimana posso rientrarci dentro. E poi voglio che sia orgogliosa di me. Se basta così poco per renderla felice allora va benissimo.

Quando torno a casa, quella sera, trovo Gaia e Nicola accoccolati sul nostro divano del salotto intenti a seguire una delle loro serie preferite su Netflix.

IL SEGRETO DI BEADove le storie prendono vita. Scoprilo ora