prologo

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DEREK

Oggi sono passati esattamente 6 anni da quando sono qui, in questa grande struttura terrificante, l'orfanotrofio. Oggi, il 23 ottobre ho deciso di andarmene, di scappare poiché non ho ancora l'età per andarmene volontariamente, è stato il tribunale a decidere di portarmi qui, alla fine io non ho nessuno, sono il figlio di nessuno.

Mi sfrego le mani per scaldarmi, qui fa freddo, ma ormai ci ho fatto l'abitudine, mi metto sotto le coperte visto che è ora di andare a dormire e penso al mio piano di fuga più e più volte, andare in cucina, passare dalla porta del retro, arrampicarsi sul muretto e poi correre e lasciarmi alle spalle questo inferno.

Mi guardo intorno, tutti attorno a me si abbracciano, due persone in ogni letto per ripararsi dal freddo, nel mio letto invece ci sono solo io, è sempre stato cosi, nessuno osa avvicinarsi, hanno tutti paura di me, ho la reputazione del 'maledetto', fin dai primi giorni, quando hanno saputo della mia storia mi hanno incollato addosso questo soprannome, ogni persona che entra nella mia vita muore.Ho iniziato a crederci anche io, sono destinato ad essere abbandonato da tutti, nonostante io provi ad aggrapparmi ad una persona quella se ne va, come hanno fatto i miei genitori.

Il rumorio che c'era fino a qualche secondo fa si interrompe, il silenzio. La direttrice entra, l' unico suono sono i suoi tacchi, osserva tutti i bambini e ragazzi, si assicura che siano tutti a letto, si ferma, spegne la luce e se ne va.

Aspetto che tutti si addormentino e metto in pratica il mio piano, con un piccolo zaino rovinato sulle spalle vado in cucina, prendo dalle tasche le chiavi che ho rubato questa mattina alla cuoca ed esco. Corro, corro fin quando non ho più fiato, cammino per prendere fiato, il vento è violento, le strade illuminate dai lampioni, mi stringo dentro il giubbotto, le persone sono in casa al sicuro, davanti a me solo una strada vuota, nessuna persona, nessuna macchina in giro.Passo davanti ad una vetrata di un negozio, c'è una foto di una famiglia sorridente e spensierata, come se l'unica cosa che conta sia quello di stare insieme, abbracciati, un senso di malinconia mi invade. La voglio anche io, anche io vorrei ancora la mia famiglia,

vorrei avere anche io qualcuno.

Delle gocce iniziano a cadere, un tuono. Mi riparo sotto a un tettuccio, sta diluviando e io posso fare a meno di guardare la pioggia e pensare, pensare e pensare. Se sparissi in una serata come questa nessuno se ne accorgerebbe, troppo rumorosa per accorgersi di me. Giusto?

Mi torturo con questo pensiero fin quando non arrivo qui, guardo giù, metri che mi separano dall'asfalto,chiudo gli occhi, pronto a scomparire senza fare rumore. Pronto a farmi avvolgere dal buio, porgo un piede in avanti, nel vuoto e poi l al-


una melodia

Mi fermo.

Come stregato la seguo, tutto bagnato entro in un teatro dimenticato, abbandonato, le pareti sono piene di crepe, pronta a cadere, ad ogni passo sono sempre più vicino a questa melodia.

Il suono di un violino si fa più chiara.Mi siedo senza farmi vedere. Questo teatro è talmente distrutto che la graticcia, il soffitto sopra il palcoscenico ha dei buchi ed è da quei buchi che la Luna illumina il palcoscenico, in particolare la ragazza che vi è al centro. Non vedo il suo viso, è di schiena, l'unica cosa che vedo sono i suoi lunghi capelli biondi, ha il violino appoggiata alla spalla.

Un tuono,
Il brutto tempo fuori si fa sentire ma lei
continua a suonare.

Dopo tanto tempo immerso nell'oscurità
ho ritrovato la mia luce in mezzo alla tempesta.

STORMDove le storie prendono vita. Scoprilo ora