Capitolo cinque

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L'indomani a scuola Gemma mi corse incontro.
«Ce l'ho fatta, siamo state invitate, è stato molto più facile del previsto», disse mostrandomi due biglietti rosa con le piume.
«Alla festa delle Merdashian?»
«Già! Non hanno opposto resistenza, non credo neanche che sappiano
esattamente chi siamo, quindi hanno detto di sì e ho chiesto a Harry di accompagnarci in macchina. Ci viene a prendere alle otto».
«Harry ci porta in macchina alla festa?».
Non potevo andare a una festa di cui non mi fregava niente, per conoscere uno di cui non mi fregava niente, solo per far contenta la mia amica e farmi accompagnare dal ragazzo che amavo. Era insensato.
«Già, non è carino? È in congedo per una settimana e si è offerto di portarci». «Si è offerto?»
«Proprio offerto no, ma sarà una serata
indimenticabile!».
Sì, "indimenticabile" era l'aggettivo giusto.
La verità è che avrei voluto davvero andare alla festa e divertirmi come tutti gli altri, ma sapevo già che mi sarei sentita fuori posto e a disagio e che non sarei riuscita a spiccicare parola con nessuno a causa della mia esagerata timidezza, mentre Gemma avrebbe fatto amicizia anche coi muri.
«Non so cosa mettermi», piagnucolai.
«Ci penso io».
«Non conosco nessuno», riprovai.
«Conosci me e Alex e conoscerai Dylan!».
«Ma tu non starai con me tutta la sera e se poi non gli piaccio?». Ero patetica. «Gli piacerai e io non ti mollerò un minuto».
«Lasciami a casa ti prego», tentai di nuovo.
«Scordatelo.» mi disse lei con autorità. «Sei un orso e hai bisogno di uscire e frequentare gente».
Aveva ragione da vendere, ma come tutte le cose che sai di dover cambiare, quando arriva il momento di affrontarle, avresti solo voglia di rimandare a domani.

Quando entrai in casa, la mamma era seduta in cucina e stava lavorando al computer, in compagnia di un gigantesco sacchetto di patatine. Nonostante la marea di cibo spazzatura che ingurgitava, aveva comunque un fisico magro e slanciato, ed io ero contenta di aver preso almeno questo da lei.
Finse di non vedermi.
«Che fai, lavori?», le chiesi distrattamente.
«Mmm», rispose senza alzare lo sguardo dallo schermo.
«Senti, stasera ci sarebbe una festa a casa di alcune mie compagne di classe...ti va bene se vado?»
«Perché me lo chiedi? Sei libera di fare quello che vuoi».
«Mamma, ti prego, fine delle ostilità, bandiera bianca, mi arrendo, hai vinto tu!».
Chiuse il laptop e si tolse gli occhiali, come faceva con i suoi studenti quando
doveva comunicare loro che non avevano passato l'esame.
«Pensi che mi diverta a punzecchiarti e a starti col fiato sul collo?»
«A volte sì».
«Invece proprio per niente, ma sei il mio pensiero fisso, sei la cosa più
importante della mia vita e non voglio che tu commetta gli stessi errori che ho fatto io».
«Mamma, ma noi siamo diverse e i tuoi erano altri tempi».
«È vero, ma il mondo è cambiato solo in peggio, ora è più dura di prima e io sono stanca di far quadrare i conti».
Avevo una voglia matta di dirle che avrebbe risparmiato almeno trecento sterline al mese se avesse smesso di saccheggiare i supermercati, ma me lo tenni per me.
«Va bene, mamma, dimmi cosa vorresti che facessi».
«Sinceramente Chloe, vorrei che l'anno prossimo tu studiassi ingegneria, legge o marketing.»
«Ma mamma, sono una schiappa in matematica...».
«Se ti applichi puoi riuscire in qualunque cosa tu decida di fare».
«Dài mamma, mi ci vedi a fare l'ingegnere, l'avvocato o il manager?»
«Senti, conosco una quantità di mezze cartucce che ce l'hanno fatta solo
perché hanno un cognome importante o buona memoria, e io ti voglio vedere realizzata, ricca e padrona delle tue scelte».
«Sì, ma questo è quello che vorresti tu. Ci sarebbe anche quello che vorrei io».
«È che non voglio che tu ti debba pentire per aver scelto una carriera precaria come quella di una cantante. E se succede qualcosa alle tue corde vocali, per esempio, che fai?»
«Mamma, se facessi l'avvocato e cadessi in bagno e perdessi la memoria? O se diventassi ingegnere e crollasse il ponte che ho progettato? Non sarebbe la stessa cosa? Se pensi alle fatalità non puoi far altro che chiuderti in casa!».
«Senti mamma...», dissi in un impeto di diplomazia, «...prometto di pensarci su e di comunicarti al più presto le mie sagge decisioni, sei d'accordo?».
Mi sembrò che un elefante seduto sopra la sua testa si fosse alzato, perché la vidi finalmente sollevata.
Si aprì in un sorriso e mi abbracciò.
«Così ti voglio, ragionevole e matura», mi disse accarezzandomi una guancia.
«Figurati, per così poco...».
Prese una manciata di patatine e se le mise in bocca.
«Allora, raccontami della festa».
«È una festa di due mie compagne di classe, una cosa in grande... pare». «Bene, sono contenta, vedrai che ti divertirai».
«Lo spero...».
«Qualche ragazzo in vista?», mi chiese speranzosa.
«Mmm sì, ce n'è uno carino dell'altra sezione, stasera me lo presentano». «Sono contenta tesoro, devi divertirti alla tua età, stai sempre chiusa a cantare e studiare, è un peccato che tu non esca più spesso».
«Tu invece? Con Paul? Tutto bene?»
«Stasera mi porta a cena in un ristorante, mi deve dire qualcosa, speriamo bene»,
disse stringendosi nelle spalle.
«Tipo che lascia la moglie per te?».
Ma che avevo? Ero posseduta?
«Fingerò di non aver colto il sarcasmo nella tua voce», rispose rabbuiandosi. Proprio adesso che le cose si stavano aggiustando, arrivavo io con la mia
boccaccia a rovinare tutto.
«No, nessun sarcasmo davvero, dico che sarebbe l'ora, insomma, dopo tre
anni, regolarizzare le cose». Ormai avevo imparato una nuova parola, tanto valeva usarla.
«Sì, ma è davvero difficile e frustrante... prometti di non metterti mai con un uomo sposato?»
«Prometto!».
Tanto, peggio di così.

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