𝐈'𝐦 𝐨𝐤

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Ines

Lo squillo persistente del mio cellulare penetra nelle mie orecchie provocando in me un istinto omicida.
Schiudo con fatica gli occhi e i raggi di sole che tralucano dalle persiane della finestra mi accecano.
Guardo il display e appena realizzo chi mi stia telefonando, balzo dal letto, afferro il cellulare e rispondo alla chiamata.

<<Mamma?!>>, esclamo.

<<Ines! Spero di non averti disturbato... Non stavi mica dormendo, vero?>>, dice preoccupata.

<<No, no, figurati...>>, mento <<Come stai?>>.
Comincio a camminare avanti e indietro per la stanza.

<<Tutto bene...Come vanno le cose da te? Come sono i ragazzi della band? Sono gentili?>>, chiede speranzosa.

Mi blocco di colpo.
L' entusiasmo che era nato in me a seguito della chiamata di mia madre, svanisce.
<<Eccome, mamma...Gentilissimi! Così gentili che il giorno in cui li ho conosciuti ho sorpreso il cantante del gruppo, Bill, a sparlare di me agli altri tre>>.

<<Non mi dire>>, bisbiglia.

<<Ha detto che sono una cantante mediocre e che a causa del pettegolezzo in cui sono coinvolta, disonorerò il nome del loro gruppo di idioti>>, esclamo.
<<Poi mi sembra di avere a che fare con quattro imbecilli...Bill è quello più insopportabile tra tutti! E' pettegolo, impacciato, e ieri, mentre stavamo condividendo idee per il featuring, non ha aperto bocca!>>, sbuffo <<Non lo posso vedere!>>.

Mia madre ridacchia.

<<Non c'è niente da ridere! Anzi, ci sarebbe da piangere! Io non canto insieme ad un addormentato del genere...>>.

<<Magari è solo questione di tempo...si, la prima impressione è stata quello che è stata, però non farti scoraggiare da quei quatto! Intesi?>>

<<Hai ragione mamma, dovessi anche scriverlo da sola il pezzo!>>.

<<Ines...>>.

<<Che c'è?>>.

<<Sono fiera di te>>.

Sorrido e tutt' a un tratto mi si inumidiscono gli occhi.

Kansas City, 1999

È notte fonda. Fa freddo, l'aria è gelida e il vento sferzante fa sbattere violentemente le ante della finestra causando un forte tonfo.
A farmi compagnia c'è la pioggia incessante che scandisce il tempo.
Mi raggomitolo sotto le coperte non riuscendo ad addormentarmi.
La stanza è completamente buia e questo mi spaventa, malgrado io dorma nella stessa camera del mio fratellone Blake.
Nonostante questo, il senso di solitudine che scaturisce in me è soffocante.

Devo andare in bagno, perciò infilo le pantofole e con molta cautela, senza fare alcun rumore, esco dalla mia cameretta e comincio ad attraversare il lungo corridoio.

Delle urla e degli strani rumori provengono dalla cucina. Lievi tremori mi percorrono mani e gambe. Mi affianco all'ingresso della stanza e faccio capolino affinché io possa vedere la terribile scena che sta accadendo davanti ai miei occhi.

Mio padre tira uno schiaffo a mia madre; quest'ultima tiene basso lo sguardo singhiozzando.
<<Oltre ad essere un'inutile e insignificante casalinga, adesso sei anche diventata una puttana, Ellen?! Approfitti della mia assenza per scopare con altri uomini?!>>.

Guardo impietrita mio padre. Non è la prima volta che umilia e picchia la mamma.
Mio fratello cerca sempre di nascondermelo, distraendomi; ma solo un sordo non riuscirebbe a sentire le grida che provengono da entrambi.
Detesto mio padre, lo odio. Non sa fare altro che prendersela senza motivo con tutti coloro che lo circondano.

<<Marc, ti prego...i bambini stanno dormendo. Fa' silenzio>>, gli occhi pieni di sofferenza.

Mio padre le afferra con violenza il viso guardandola con ribrezzo.
<<Ascoltami bene: tu non mi dici quello che io devo fare>>.
La scaraventa brutalmente sul pavimento, senza pietà.
<<Devi capire che, nessun'altro, oltre me, può mettere piede in questa casa>>.
Comincia a prenderla a calci e io, a piangere.

D'impulso mi catapulto su di lei e cerco di proteggerla.
<<Smettila, non vedi che le fai male?!>>, grido disperata in lacrime.

Senza darmi modo di reagire, mio padre mi sferra una sberla in faccia facendomi sbattere contro il muro e cadere per terra.
In un attimo avverto un dolore lancinante al naso e comincia a sanguinarmi.

<<Stai crescendo una mocciosa spiona, Rachel>>.
A lento passo inizia ad avvicinarsi verso di me e io, di rimando, indietreggio.
<<È maleducazione origliare, signorina. Che non si ripeta mai più>>, dice con un sorriso raccapricciante mentre mi scosta una ciocca di capelli dietro l'orecchio.
Dopodiché, come se nulla fosse successo, esce dalla stanza.

Mia madre si precipita immediatamente su di me, si inginocchia e, piangendo, mi abbraccia.
<<Mi dispiace, Ines. Mi dispiace tantissimo>>.

𝙏𝙃𝙀 𝙈𝙐𝙎𝙄𝘾 𝙏𝙃𝘼𝙏 𝘾𝙊𝙉𝙉𝙀𝘾𝙏𝙎 𝙊𝙐𝙍 𝙃𝙀𝘼𝙍𝙏𝙎 [Bɪʟʟ Kᴀᴜʟɪᴛᴢ]Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora