KENTA

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Mi preparo per andare all'università con ancora quella musica in testa. Ricordo di aver pensato per un attimo che fosse un angelo quello che aveva vegliato su di me fino a quando non mi ero addormentato, è mi vergogno profondamente dei miei pensieri. Sperao con tutto il cuore che Shina non possa leggermi nel pensiero quando non è con me.

Passo a prendere Nami, che mi tratta con inaspettata gentilezza, e insieme ci avviamo verso l'istituto. Nel cortile troviamo Naoki, Ai, Makoto e gli altri due amici fotografi Kenta e Hiroki. Ci fermiamo tutti a parlare un po' prima di entrare.

–Ragazzi lo sapete che ha aperto un nuovo ristorante italiano alla fine della strada? Perché stasera non andiamo li è ci mangiamo una bella pizza?- propone Makoto richiamando l'attenzione di tutti alla parola pizza. –Si bell'idea!- concorda Hiroki. –Io ci sto!- aggiunge Kenta. –Ha aperto anche un ristorante di cucina tradizionale vicino casa mia- dice Naoki prendendo un volantino dallo zaino e mostrandolo a tutti. –Le hai scattate tu queste foto, Nao?- chiedo riconoscendo il suo tocco. –Si! È un locale davvero carino, dovremmo andarci, il proprietario ci farà sicuramente uno sconto!- dice Naoki riprendendo il volantino è osservando le foto che ha scattato. –Si, ho proprio voglia di sushi- afferma Nami aggrappata al mio braccio. - Io preferisco la pizza- si fa scappare Ai con voce annoiata. –Bene allora vuol dire che andremo da entrambi le parti!- suggerisce e tra risate e grida di approvazione ci lasciamo e ci avviamo tutti ai nostri corsi. Più di una volta durante le lezioni della mattina vedo delle grosse ombre scivolare lungo le pareti della grande aula. Sono l'unico che riesce a vederle ma mi chiedo se gli altri riescono ad avvertirne almeno la presenza. Tutto questo mi fa sentire solo, così stringo la mano di Nani e lei mi sorride rassicurante. I brutti presentimenti cominciano a farsi largo nella mia mente ma di Shina non c'è traccia.

Dopo le lezioni ci incontriamo tutti per pranzo. Chiacchieriamo allegramente e definiamo bene il programma delle uscite della settimana. In conclusione andremo prima al ristorante tradizionale e poi a quello italiano. Ai è quella più preoccupata per tutte queste uscite, perché la dieta è il suo chiodo fisso. Kenta e Makoto non mancano mai di prenderla in giro per questo.

Quando torniamo in classe un senso di vuoto che mi toglie il respiro mi attanaglia i polmoni. E' la stessa identica sensazione che ho avuto il giorno dell'incendio al teatro. Non è un buon segno. Di nuovo vedo le ombre zigzagare tra le sedie e i banchi dell'aula. Devo uscire fuori di qui, mi sento oppresso anche se l'aula dove stiamo facendo lezione è una delle più grandi dell'istituto. –Non mi sento molto bene, esco un attimo-. Dico a Nami e Nao. –Hai una faccia pallidissima, Hiro!- sussurra Nami per non farsi sentire dal professore. Dalla sua esperessione capisco che non devo essere un bello spettacolo. –Ce la fai ad arrivare in bagno? Vuoi che ti accompagni?- mi chiede Naoki sinceramente preoccupato, io scuoto la testa ed esco, riuscendo a stento a mantenermi sulla mie gambe. Una volta fuori prendo delle grosse boccate d'aria a mi appoggio al muro.

Respiro profondamente e piano piano la morsa che mi attanaglia i polmoni sembra allentarsi. In quel momento vedo le ombre sfrecciarmi d'avanti e istintivamente capisco che le devo seguire. Solo allora mi balena in mente l'idea che Shina è qui e forse sta per mettere in atto la sua punizione. Rabbrividisco al solo pensiero e accelero il passo. Con le gambe che tremano, adesso per la paura, seguo le ombre su per le scale, tenendomi quanto più saldamente possibile al corrimano come un vecchio al suo bastone. Arrivo in cima alle scale stremato. Respiro sempre più a fatica, ma devo fermare quel mostro prima che sia troppo tardi. La grande porta di ferro che porta sul tetto dell'edificio mi separa da lei, e per un solo secondo ho un esitazione. Ho paura, tanta, e di sicuro queste non sono emozioni che si addicono ad un eroe. Spero con tutto il cuore che Shina abbia letto i miei pensieri, così da capire cosa penso io di quell'appellativo. Se in un primo momento ero stato orgoglioso di poter essere definito in quel modo, adesso riconosco di non esserlo e di non volerlo essere.

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