TATUAGGIO

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Era un afoso pomeriggio di luglio ed Ito, la mia città natale, quel giorno era in gran fermento per i preparativi della festa del Tanabata, una tra le più importanti festività giapponesi, consiste nello scrivere su striscioline di carta colorata, chiamati tanzaku, i propri desideri e le proprie preghiere, per poi appenderli ai rami di bambù.

Per le strade c'era un gran via vai di persone, tutte indaffarate a comprare il necessario per il Tanabata, ed io vagavo alla ricerca di qualche carta particolare sulla quale avrei scritto il mio desiderio. Non ricordo esattamente quale fosse, ma aveva a che fare con la scuola.

Procedevo lentamente e continuavo ad entrare in ogni negozio lungo la strada fino a quando finalmente non trovai delle striscioline di carta di diversi colori pastello decorati con intarsi e cornici eleganti. Ne comprai tre, uno per me e gli altri due per i miei genitori, e con aria soddisfatta stavo per avviarmi verso casa quando qualcosa dalla parte opposta alla strada dove mi trovavo attirò la mia attenzione. Era un venditore ambulante di mele caramellate che con la sua voce possente richiamava l'attenzione dei passanti. Non ne avevo mai assaggiata una, e proprio in quel momento, mentre osservavo quale delizioso aspetto avessero il mio stomaco cominciò a brontolare, così decisi che ne avrei comprata una.

Mi portai ai bordi del marciapiede e attesi pazientemente che il semaforo diventasse verde e mi desse l'ok per attraversare, ma qualcuno senza preavviso, mi strattono e corse nel mezzo della strada, correndo a tutta velocità quasi incurante delle macchine e dei mezzi che transitavano ad una discreta velocità. Per poco non mi trascinò in strada con se. Di sicuro avrà fatto tardi a lavoro per correre in quel modo pensai, e proprio in quel momento il semaforo divenne rosso e il traffico si arrestò. La ragazza che stava ancora correndo, con la sciarpa svolazzante, era stata fortunata a non essere investita o almeno così credevo. Mentre anche noi altri passanti cominciavamo ad attraversare un furgoncino giallo, che non si era accorto del semaforo rosso, schizzò a folle velocità di fronte a me e gli altri passanti. Riuscimmo per un pelo ad indietreggiare ed evitare di essere investiti, al contrario della ragazza che non si accorse di nulla. Affannata e rossa in volto continuò a correre con lo sguardo fisso di fronte a lei, e il furgoncino non si fermò. La colpì in pieno. Per un attimo il tempo sembrò fermarsi, congelarsi come il sangue che scorreva nelle mie vene, e poi riprese velocissimo, dandomi una sensazione di vuoto.

La ragazza giaceva a terra sospesa tra vita e morte mentre noi passanti accorremmo in suo aiuto. Le presi la mano che diventava sempre più fredda e la guardai cercando di infondere un po' di coraggio in quegli occhi smarriti. Sangue rubino le colava dalla bocca e una grande pozza scura si era formata sotto la sua testa. In quel momento mi sentii così impotente, bloccato lì senza poter far niente. Se solo fossi un medico! Mi dissi sconsolato. –Ho paura...- sussurrò la ragazza mentre una lacrima le rigava la guancia, e io le strinsi ancora di più la mano. –Andrà tutto bene- le dissi con il tono più incoraggiante che potei, ma la voce mi si spezzò a metà frase. La sua mano diventava sempre più fredda e il suo sguardo sempre più vitreo.

Quando sentì le sirene dell'ambulanza che era arrivata fui come ridestato da un lungo sonno, e una scossa mi invase lungo tutto il corpo.

La ragazza era morta tenendomi ancora la mano, una grande folla si era formata intorno a noi e credo fossero arrivati anche dei giornalisti, creando un enorme caos e bloccando il traffico, ma io solo in quel momento me ne resi conto. Prima che portassero via il corpo della ragazza presi la sciarpa verde che aveva al collo e che era intrisa del suo sangue in un angolo. Mi dilegui nella folla lanciando un ultimo sguardo alla ragazza e pregando in silenzio per la sua anima. Quando tornai a casa mi diressi in bagno e lavai con le mie mani la sciarpa mentre continuavo a dirmi che se fossi stato un medico quella ragazza si sarebbe salvata. Il sangue scivolava via mentre un idea si faceva sempre più forte dentro la mia mente, il cuore mi martellava nel petto e una grande rabbia mi annebbiava i sensi. Quando la sciarpa fu di nuovo pulita la misi ad asciugare e presi la strisciolina di carta che tanto avevo ricercato per poter finalmente scrivere il mio desiderio. Con mano ferma e caratteri decisi scrissi ciò che mi auguravo di diventare in futuro e giurai a me stesso che avrei fatto di tutto pur di riuscirvi. "VOGLIO DIVENTARE UN MEDICO E SALVARE LA VITA DELLE PERSONE!".

Con cura attaccai il foglietto al bambù e rimasi lì ad osservarlo, quando un servizio in tv catturò la mia attenzione. La giornalista stava spiegando le dinamiche di un incidente avvenuto ad Ito e nel quale una giovane ragazza aveva perso la vita. -... il conducente del furgone che ha investito la vittima si è dileguato subito dopo l'incidente senza prestare soccorso...-. Queste furono le uniche parole che colpirono la mia attenzione e in quel momento un'immagine mi invase la mente. Prima dello schianto, quando avevo visto il furgone lanciato a tutta velocità, che per poco non aveva investito anche me, avevo notato un particolare, qualcosa che mi era rimasto impregnato saldamente nella mente, un braccio, precisamente un tatuaggio a forma di drago sul braccio del conducente. Ero sicuro di non essermi sbagliato era proprio un tatuaggio a forma di drago, il bastardo che aveva ucciso quella povera ragazza poteva essere individuato, bastava che andassi alla polizia a riferire ciò che sapevo. Così quella stessa sera dopo aver raccontato tutto ai miei genitori corsi alla stazione di polizia e rivelai tutti i particolari di cui avevo memoria, ogni cosa poteva aiutare le indagini, così raccontai per filo e per segno, anche più di una volta, quello che avevo visto. Non ho potuto salvarti la vita, ma almeno posso darti un minimo di giustizia contribuendo alle indagini per incastrare il tuo assassino! Dissi e il mio pensiero andò alla ragazza dalla sciarpa verde.

Dopo più di due mesi l'unica cosa che la polizia era riuscita a trovare era stato il furgoncino vuoto, ma del conducente nessuna traccia. Ero così arrabbiato, volevo farmi giustizia da solo, ma non sapevo in che modo, e così il rancore cominciò a crescere sempre di più dentro il mio cuore. Alla fine non ero riuscito in niente, né a salvarle la vita né a darle giustizia, l'unica cosa che mi restava da fare era adempiere alla scelta che avevo fatto, cioè di diventare medico, così da poter salvare la vita di qualcun altro.

Quando finalmente il flusso di pensieri si arrestò giacevo sul letto a fare i conti con quel poco di sanità mentale che mi era rimasta. Erano passati cinque anni da quella storia ma non mi ero mai reso conto di quanto l'odio per quell'uomo e quello che aveva fatto avevano scavato dentro di me ed erano rimasti lì in attesa fino a ieri notte, quando finalmente avevo ottenuto vendetta, giustizia. Strinsi forte i pugni e mi ritrovai qualcosa di soffice tra le dita annerite, mi misi a sedere sul letto e la vidi, la sciarpa verde. Shina comparve al mio fianco e cominciò ad osservarla con curiosità. Credo fosse stata proprio lei a portarla fin lì, tra le mie mani, per farmi ricordare ciò che credevo di aver dimenticato. –Quella sciarpa non rappresentava solo il tuo desiderio, quello che scrivesti quella sera sul tanzaku, quella sciarpa era il ricordo della vendetta, il simbolo della tua rabbia. Se l'hai tenuto con te non l'hai fatto solo per ricordarti di diventare un medico, ma anche di dare giustizia a quella ragazza. Non te ne eri reso conto, vero?- mi chiese con voce sicura. In quel momento vidi crollare tutte le mie certezze, tutto il mio mondo. Anche se non volevo ammetterlo con me stesso quello che aveva detto Shina era vero, come era anche vero che finalmente mi sentivo appagato, ero riuscito nel mio intento. –A quanto pare mi conosci davvero bene... sai meglio di me chi sono io...-. Dissi con un filo di voce e strinsi ancora più forte la sciarpa tra le mani. Shina annuì soddisfatta e poi scomparve, lasciandomi di nuovo ai mie pensieri.


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