FLOP

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Le dita di Daniele pizzicano piano le corde della chitarra che tiene in grembo, seduto sul divano di finta pelle nera.

Di solito, gli sguardi addosso mentre suona non lo mettono in soggezione. Insomma, sarebbe stupido sognare di fare grandi concerti con una fobia del genere, eppure in quel momento lo è, in soggezione.

C'è Mattia che lo fissa con le sopracciglia aggrottate, Leo che, invece, tiene gli occhi puntati sulle mani che vengono sfregate ripetutamente le une contro le altre e lui finisce per sbagliare gli accordi, non prendere le note giuste e, quindi, combinare un casino.

«Non viene» conclude, esasperato, levandosi lo strumento di dosso e rischiando di farlo cadere sul pavimento.

Leo pare risvegliarsi da un sonno apparente perché il rumore prodotto lo percuote e sussulta appena, drizzandosi sullo sgabello sul quale si è accomodato. «Era carina» commenta, sollevando le spalle.

«Carina non basta.»

Mattia è in piedi: dondola di poco su sé stesso e osserva un punto vuoto sul pavimento.

Il fatto è che quella melodia piace davvero a tutti e tre e non dovrebbe essere così difficile tesserci un testo sopra – testo che, in parte, hanno già prodotto, solo che le due cose si ostinano a non combaciare.

«Magari non va con la chitarra» tenta. Ne scaturisce uno sbuffo clamoroso da parte di Daniele, che si affretta a fare cenno di no con la testa.

«Va sempre tutto con la chitarra» commenta.

«Se provassimo col piano?» suggerisce, invece, Mattia e già sta indicando col braccio teso la pianola che spicca in un angolo della sala dello studio di registrazione dove si sono rinchiusi quel pomeriggio.

Si avvicina con lentezza allo strumento, sedendosi di fronte ad esso e facendo cenno al duo di raggiungerlo.

Leo e Daniele si scambiano un rapido sguardo, veloce e fulmineo che di concreto non dice nulla, ma pare comunque metterli d'accordo e li porta ad obbedire, abbandonando le posizioni prese e appropinquandosi lenti al terzo ragazzo.

«Mi passi il testo?» chiede Mattia, mentre esamina i tasti della pianola, cercando il metodo migliore per dar musica alle idee che gli frullano in testa.

Leo si morde l'interno della guancia e deve retrocedere di qualche passo per recuperare i fogli stropicciati sui quali spiccano le frasi che ha scritto, insieme ad un ammasso di scarabocchi e macchie d'inchiostro impressi per nervosismo.

Glieli porge e Mattia li afferra senza voltarsi del tutto. All'unisono, estrae dalla tasca dei jeans blu che indossa un ulteriore foglio, celeste, che dispiega sul leggio insieme a quelli di Leo.

Quest'ultimo, di fronte a tale visione, arriccia il naso. «Quelli che sono?» chiede.

«Ho letto la tua parte,» dichiara Mattia «ho pensato di aggiungerci alcune frasi mie.»

Leo è in procinto di replicare in maniera poco gentile e Daniele lo capisce perché finge un colpo di tosse prima che l'altro possa proferire parola.

Tuttavia, ciò viene preceduto dallo stesso Mattia, che gira appena il capo nella direzione dapprima di Daniele e poi di Leo.

«Prova ad ascoltare» asserisce «dopo puoi anche dirmi che nessuno me lo ha chiesto e mandarmi a quel paese» aggiunge – tanto lo sa che colui che ancora lo guarda storto ha qualcosa da ridire e, probabilmente, lo vuole insultare.

Non aspetta un cenno d'assenso: torna dritto, sistema meglio i frammenti di carta che ha davanti e si schiarisce la voce.

Le prime note che suona, pigiando i tasti, sembrano confusionarie e messe a caso, ma ci vuole poco affinché prendano forma, riproducendo la stessa melodia arpeggiata con la chitarra e che, adesso, risulta più fluida e delicata.

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