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Emilia

2 anni prima

Novembre era sicuramente il mese che preferivo più di tutti. L'autunno, la pioggia ed il tepore delle coperte mi facevano sentire in pace.

Era di sicuro la stagione in cui le persone mi stavano quasi simpatiche, perché non si accollavano e non erano costantemente di buon umore.

Quella uggiosa giornata di metà novembre mi stavo preparando per andare a scuola. Ero ancora al quarto anno di superiori e nonostante la grossa fatica che facevo nell'alzarmi presto la mattina, lo studio era uno dei miei punti di forza.

Passavo le intere giornate a studiare, ed avevo la media più alta di tutto l'istituto. Ogni professore aveva il mio nome sulla punta della lingua, così come gli altri studenti che si dividevano tra chi credeva che fossi raccomandata, e chi ammetteva senza storie che fossi semplicemente brava.

La verità era che la mia vita era vuota;non avevo una famiglia unita, ero figlia unica e non avevo amici, dato che mi facevo detestare da chiunque. Quindi riversavo tutta la mia rabbia sulle pagine dei libri. Ero in competizione con me stessa, e volevo essere la migliore su questo fronte.

Infilai un paio di jeans a lavaggio chiaro, da sopra una maglietta nera aderente e infine mi coprii con il mio North Face nero. Misi lo zaino in spalla e mi fermai davanti lo specchio ad osservare la mia figura.

Ero davvero inguardabile. Avevo delle occhiaie che neanche il correttore era stato in grado di camuffare, il mio fisico era esageratamente asciutto e ogni volta che mi guardavo allo specchio sentivo un senso innato di rigetto. Cercavo sempre di evitare gli specchi, ma quella mattina era stato più forte di me. Inoltre anche i miei capelli ultimamente stavano cominciando a darmi il tormento. Li avevo per natura di un nero corvino, ma avvertivo il bisogno di cambiarli.

-io vado- salutai mia madre ma prima che potessi mettere piede fuori casa mi bloccò.

-non vuoi fare colazione?- mi indicò la tavola piena di cibo che aveva preparato la nostra domestica Dori.

-non mi va- scossi la testa ma vidi lo sguardo di mia madre contrariata.

-andiamo mimì, non vuoi nemmeno un toast?- mi chiamò col mio nomignolo, che detestavo e provò a convoncermi a mangiare.

-mamma per favore, e non chiamarmi così- dissi esasperata ed incrociai le braccia al petto.

-va bene ti lascio in pace, buona giornata amore- mi posò un bacio sulla guancia e mi salutò prima che io potessi entrare nell'auto dell'autista.

C'erano tante cose che mi avevano portata ad avere uno sconsiderato odio prima verso di me, e poi verso gli altri; tra queste c'era mio padre.

Ero nata in una famiglia benestante. Mia madre, propietaria di un'azienda di famiglia che si occupava di progettazioni di edifici e mio padre, un notaio. Vivevamo in una delle ville di mio nonno, che si trovava nei quartieri alti di Barcellona.

Non avevo mai avuto la famiglia perfetta. I miei non andavano molto d'accordo e in casa regnava sempre l'astio che mi turbava in maniera logorante. Il tutto ebbe fine quando divorziarono. Avevo undici anni e fu per me un trauma.

Vidi mio padre andare via e la lontananza da me non sembrava affatto provarlo. Stavo solo qualche giorno a settimana da lui, giorni che man mano diminuirono.

Si dimenticava di venirmi a prendere quando toccava a lui tenermi e si giustificava dicendo che era troppo impegnato col lavoro. Prendevo i suoi gesti come un odio verso di me, mi colpevolizzavo dei suoi comportamenti e da quel momento in poi iniziai ad avere un rifiuto categorico del cibo.

Mirada | Fermín López MarinDove le storie prendono vita. Scoprilo ora