Il mese seguente, dopo aver portato a termine le faccende burocratiche per l'acquisto della nuova casa, la famiglia Park salì a bordo del battello che li avrebbe portati a Polar Island.
Un venticello frizzante pungeva i loro volti, accompagnato però da un certo tepore, causato dalla temperatura di piena estate.
Jimin osservava il mare, con i gomiti appoggiati alla balaustra del ponte della nave e i capelli scompigliati dalla brezza che sapeva di salsedine. I suoi occhi cercavano di contenere l'infinità delle piccole onde che aveva davanti a sé; la sua mente, invece, andava inevitabilmente al viaggio di cinque anni prima, a bordo di un battello molto simile a quello su cui si trovavano in quel momento.
Nel frattempo molte cose erano cambiate, eppure non tutte in meglio. In quel momento Jimin si accorse che si sentiva ancora più solo di allora.
I suoi genitori chiacchieravano e ricordavano anche loro l'esperienza di cinque anni prima. Jimin cercava di non ascoltare, difatti si era allontanato di qualche metro e si era messo a osservare il mare.
Il peso dei ricordi si faceva sempre più pesante, man mano che si avvicinavano all'isola. Jimin aveva creduto che magari rivederla gli avrebbe fatto spuntare un sorriso sulle labbra; invece non era così: il cuore gli batteva più forte del solito e un misto di ansia e paura lo stringeva, come in una morsa.
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“Ah, Jimin, perché non esci un po'? Cinque anni fa pensavi soltanto ai videogiochi e a stare davanti alla TV, mentre adesso non ti stacchi un attimo dai libri. È estate e ti meriti un po' di relax come tutti. Dai, esci e va' a farti una bella passeggiata nella natura”.
La signora Park aveva raggiunto il figlio nella sua cameretta. Il ragazzo teneva le persiane socchiuse e apprezzava la penombra, perché così non entrava il caldo.
“I sogni non si esaudiscono da soli, mamma. Per i sognatori non esiste né vacanza né relax” biascicò, girando la pagina e sottolineando qualcosa con il suo amato evidenziatore.
Sua madre sospirò, poi gli lanciò un'ultima occhiata carica di tristezza e si chiuse la porta alle spalle, per lasciarlo in pace.
Nel silenzio della sua cameretta Jimin si sentì improvvisamente molto solo. Mise il tappo al suo evidenziatore e si girò verso la finestra, tenendo le ginocchia premute contro il petto.
Vorrei tornare a quei momenti in cui tutto era così dannatamente semplice.
Voleva uscire. Voleva godersi l'estate, ma sapeva che se l'avesse fatto poi si sarebbe sentito in colpa per non aver studiato duramente come voleva.
Aveva paura di non riuscire a raggiungere i suoi obiettivi, quindi doveva dare sempre il massimo di sé e non permettersi momenti di ozio.
Eppure, sotto sotto, sapeva benissimo che quella era, in parte, anche una scusa: non voleva uscire per non rischiare di incontrare persone a cui si era affezionato cinque anni prima. Aveva paura di rivederli, aveva paura di scoprire le loro reazioni, aveva paura delle sue stesse reazioni.
E se, ritrovandoli, si fosse di nuovo legato a loro, così tanto da non riuscire più a lasciarli andare?
Un gabbiano volò nel cielo azzurro, dove non c'era nemmeno una nuvola.
Jimin lo osservò e si sentì invidioso: quell'animale era libero e poteva volare, mentre lui era rinchiuso in una gabbia, nonostante avesse soltanto diciassette anni.Sospirò e ammirò ancora per qualche istante il volo dell'uccello. Poi distese le gambe e si alzò dal letto.
Fanculo. Una passeggiata nella natura mi farà soltanto bene e mi aiuterà a tornare concentrato.
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Jimin passeggiò per più di un'ora, esplorando ogni angolo di Polar Island e rischiando quasi di commuoversi notando come ogni cosa fosse rimasta identica a come era cinque anni prima.
I boschi erano rigogliosi. Alcuni campi erano coltivati, mentre in altri l'erba alta oscillava per le carezze del vento. La scogliera era scoscesa e il mare cristallino.
La natura era rimasta la stessa e in mezzo a essa Jimin si sentì a casa. Le strade su cui un tempo pedalava erano immutate. Gli sembrò di vedere davanti a sé la sua versione dodicenne cadere e sbucciarsi le ginocchia e i palmi delle mani. Ricordava che Jungkook lo aveva soccorso e gli aveva riparato la bici.
Jimin scacciò quel nome dalla sua testa e continuò a prestare attenzione al paradiso che lo circondava.
Era ignaro del fatto che una persona, seduta su un ramo robusto nel boschetto che lui stava costeggiando, lo aveva visto e non riusciva a credere ai propri occhi.
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Nonostante si fosse ripromesso di restare lontano da Polar Beach, perché sapeva che lì avrebbe rischiato maggiormente di incontrare facce conosciute, Jimin non resistette e decise di recarcisi per vedere se anche il paese fosse rimasto uguale dopo tutti quegli anni.
Con immenso piacere vide che era così. Il porticciolo era identico, le case pure, la luce solare batteva allo stesso modo sui vetri delle finestre, i vasi di fiori erano sempre presenti sui davanzali degli edifici, i viottoli erano scoscesi, le vetrine dei rari negozi piene di prodotti tipici e le poche persone in strada chiacchieravano tra loro allegramente, come se non avessero alcun tipo di preoccupazione per la testa.
In quel posto si respirava aria di pace e di serenità e a Jimin vennero le lacrime agli occhi ripercorrendo quelle strade così familiari, sebbene per anni le avesse potute vedere solo in sogno.
Infine giunse di nuovo sul lungomare e osservò sorridendo le due spiagge, una alla sinistra e l'altra alla destra del porto, e il molo da cui lui e i suoi amici si tuffavano.
Un nodo alla gola minacciò di soffocarlo, ma egli fu abile e lo scacciò subito. Fece un respiro profondo e arrivò davanti al panificio dei Jung. Jimin si chiese se Hoseok lavorasse ancora lì e immaginò di sì, essendo il figlio del proprietario e, probabilmente, colui che un giorno avrebbe rilevato l'attività.
L'impulso di entrare e rivedere il suo vecchio amico era fortissimo. Voleva sapere se lo ricordava, voleva verificare con i suoi stessi occhi se tutto ciò che aveva vissuto cinque anni prima era davvero accaduto o se era stato soltanto frutto della sua fantasia. Voleva vederlo e disilludersi, semmai, se quel ragazzo non l'avesse riconosciuto. Voleva porre fine al vortice di pensieri, dubbi e preoccupazioni che da troppo tempo lo avvolgeva. Entrare in quel panificio poteva aiutarlo a sconfiggerlo.
D'altro canto, la paura era forte in lui e una voce gli continuava a ripetere: Jimin, ma che cazzo fai? Torna subito a casa e non rischiare.
Così il diciassettenne rimase a lungo in piedi fuori dal panificio dei Jung, senza sapersi decidere. Fortunatamente Hoseok, che in quel momento si trovava dietro al bancone, aveva scorto una figura familiare fuori dal panificio e aveva deciso di uscire, prendersi due minuti di pausa e vedere chi fosse.
Jimin rischiò quasi di avere un infarto quando la porta del negozio si aprì, accompagnata dal solito tintinnio della campanella posta sopra, e Hoseok gli si parò a pochi metri di distanza.
“J-Jimin?” balbettò il ragazzo, sgranando gli occhi e portandosi una mano davanti alla bocca per lo stupore.
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Reach For The Stars || Jikook
FanfictionDove Jimin e Jungkook si conoscono su un'isola durante le vacanze estive, quando ancora non possono definirsi né adulti né bambini. Ognuno dei due ha un sogno da realizzare; il tempo e le circostanze, però, non sempre giocheranno a loro favore. Dec...