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“Che cosa vuoi, Jungkook?” biascicò Jimin in tono sofferente.

Il più piccolo osservò quelle ginocchia sporche di terra, sangue e sassolini. “Cosa ti è successo?”.

“Sono caduto, ma non mi sono fatto molto male. Il problema però è questo, vedi? La mia bici si è rotta”.

Jungkook si chinò e osservò in silenzio i meccanismi della bicicletta di Jimin. Se ne intendeva abbastanza, perché suo padre gli aveva insegnato lo stretto necessario per ripararle, perciò capì subito qual era il problema e si rimise in piedi con un sorriso che andava da un orecchio all'altro.

Finalmente avrebbe potuto fare qualcosa per rendere quel ragazzino felice e forse conquistarsi perfino la sua fiducia.

La prospettiva di fare un passo in più per essergli amico gli fece battere forte il cuore.
Forse il suo sogno si sarebbe realizzato.

“Posso aiutarti io, se vuoi. Sono capace di aggiustarla”.

“Davvero?”. L'altro spalancò gli occhi e la bocca per lo stupore e la gioia.

Jungkook annuì con foga e si dondolò sui talloni, fiero di essere riuscito a strappargli un sorriso.

“Se ti va la porto nella rimessa, dove mio papà tiene gli attrezzi. Dammi solo qualche minuto e te la faccio riavere, come nuova” disse, enfatizzando le ultime due parole.

Jimin sorrise di nuovo e annuì. “Grazie, Jungkook”.

Questi sorrise di rimando, poi afferrò il manubrio della bici di Jimin ed ebbe un déjà-vu.

Ricordò nitidamente la prima volta che si erano visti, fuori dal panificio dei Jung.
In realtà lui non voleva affatto rubargli la bici. Dato che la sua era davvero simile, aveva creduto di averla lasciata lì per sbaglio e l'aveva presa per riportarla a casa. Non pensava che fosse di un'altra persona, e la sorpresa che aveva provato non appena quel ragazzino era uscito dal panificio e lo aveva accusato di aver cercato di rubargliela era stata così grande da bloccarlo e impedirgli di trovare le parole per spiegargli che si era trattato di un malinteso.

Purtroppo quello spiacevole episodio li aveva portati a iniziare con il piede sbagliato la loro specie di amicizia, cosa che faceva soffrire molto Jungkook.

“Non volevo rubare la tua bici. È che la mia è davvero molto simile alla tua e credevo di averla lasciata lì per sbaglio, fuori dalla casa di Hoseok. Infatti non la trovavo da un po'... In realtà era qui nella rimessa, ma era nascosta e non riuscivo a trovarla”.

Jimin strabuzzò gli occhi. Non riusciva a credere di aver incolpato Jungkook ingiustamente e si diede del folle per averlo giudicato senza prima avere la certezza che egli volesse effettivamente rubare.

“E perché non l'hai detto prima, scemo?! Io ero ancora abbastanza arrabbiato con te proprio perché credevo che fossi un piccolo ladro!”.

Jungkook abbassò lo sguardo. Con la punta della scarpa spostò un po' di ghiaia e Jimin capì che era imbarazzato, perché in quei casi giochicchiava sempre con qualsiasi cosa gli capitasse a tiro.

“Non riuscivo a trovare il coraggio di dirtelo e avevo paura che tu comunque non mi avresti creduto. Scusa”.

“No, sono io che devo scusarmi!” esclamò Jimin, passandosi una mano nei capelli e sbuffando sonoramente.

Era arrabbiato con se stesso.

“Beh, se vuoi puoi farlo. Scusarti, intendo” disse Jungkook, per poi sorridere a denti stretti e incrociare per una frazione di secondo il suo sguardo.

“E come?”.

“Puoi provare a essere mio amico”. Poi si strinse nelle spalle e spostò la ghiaia con ancora più insistenza.

Jimin sbatté più volte le palpebre, mentre cercava invano di formulare pensieri sensati.
Non capiva perché, ma quella proposta era come se gli avesse mandato in cortocircuito il cervello.

Solo in quel momento si era reso pienamente conto di quanto desiderasse diventare amico di quel ragazzino con gli occhi grandi e i denti da coniglietto.

“Oh, per me va bene” mormorò, quando in realtà avrebbe voluto dire molto di più.

Quelle parole emozionarono a dismisura il piccolo Jungkook. Senza dire nulla, ma non riuscendo a smettere di sorridere, egli spinse la bici di Jimin per qualche metro.

Dopo averla appoggiata un attimo per terra, aprì la saracinesca della rimessa, che fungeva sia da garage che da cantina; poi vi portò dentro il mezzo a due ruote, che sistemò così che fosse pronto per essere aggiustato.

Jimin intanto lo osservava, stupito che quel bambino magro e timido avesse preso l'iniziativa di aggiustargli la bicicletta.

“Resta lì!” esclamò di punto in bianco Jungkook, come se fosse stato folgorato da un'idea geniale. Si tuffò verso la porta che dalla rimessa conduceva dentro casa e qualche minuto dopo tornò tenendo in mano una bottiglietta di vetro di tè freddo, del disinfettante, del cotone idrofilo e un pacchetto di cerotti.

Fece cenno a Jimin di seguirlo fino alla veranda. Lì si sedettero sulla panca dove fino a pochi minuti prima il decenne era stato stravaccato ad annoiarsi e a fingere di fare i compiti delle vacanze.

“Ho pensato che era meglio che prima ti curassi le ferite e poi che magari sarebbe stato bello offrirti qualcosa da bere. Così sono un ottimo padrone di casa, no?”. Nel suo sguardo era possibile leggere un po' di incertezza, perché non sapeva se il suo gesto fosse gradito al maggiore.

“Grazie, sei molto gentile” disse Jimin, per poi afferrare la bottiglietta di disinfettante, aprirla e iniziare a medicarsi le ferite sulle ginocchia e sui palmi delle mani.

Jungkook osservò attentamente ciò che faceva, pur essendo un po' dispiaciuto perché aveva sperato di poter essere lui a curare quelle ferite.

Jungkook non riusciva a comprendere il perché delle sensazioni che provava: voleva difendere Jimin, aiutarlo in ogni situazione e proteggerlo dai pericoli, nonostante fosse lui il più grande.

“Non vai a sistemare la bici?” gli domandò il corvino dopo qualche attimo di silenzio.

Jungkook sgranò gli occhi e si batté una mano sulla fronte, rimproverandosi per essersi incantato a osservare il suo amico. Dopodiché saltò giù dalla panca e svoltò l'angolo della casa, per poi entrare nella rimessa.

Jimin sorrise ripensando a ciò che era appena successo e finì di mettersi i cerotti sulle ferite.
Gli scaldarono il cuore: erano strisce adesive con sopra disegnati degli orsetti.

È ancora un bambino pensò con tenerezza.

Poi lanciò un'occhiata al tè freddo e notò che il suo nuovo amico si era dimenticato di portargli un apribottiglie. Senza quello strumento non poteva bere la bevanda, eppure quel dettaglio non gli procurò dispiacere, anzi: la sbadataggine del più piccolo lo fece sorridere.

È ancora un bambino pensò, per la seconda volta nel giro di pochi secondi.

Dentro di sé sapeva, però, che quel bambino si sarebbe presto fatto strada nel suo cuore. La sua timidezza e i suoi occhi grandi e luminosi bastavano per farlo sorridere.

Reach For The Stars || JikookDove le storie prendono vita. Scoprilo ora