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Erano passati alcuni giorni da quella serata trascorsa in riva al mare, giorni in cui Jimin si era ambientato ed era arrivato a conoscere Polar Island come le proprie tasche. Era sempre in sella alla sua nuova bicicletta e quando la lasciava in cantina era solo perché doveva uscire con i suoi amici.

Gli stavano tutti sempre più simpatici. Lo facevano ridere con le loro battute e le loro buffe interazioni, le loro infantili prese in giro e i loro scherzi originali.
Ogni giorno passavano ore e ore insieme e si divertivano in tantissimi modi diversi: correvano in giro per l'isola, facevano bagni in mare, tiravano sassi in acqua, si tuffavano dal molo, andavano in cerca di granchi, pesci colorati e conchiglie, e osservavano le navi nel porto; giocavano a rincorrersi, a nascondino, a carte e con la sabbia, facevano scherzi ai pochi negozianti dell'isola e molto altro ancora.

La loro fantasia non aveva limiti e ogni giorno qualcuno di loro proponeva passatempi assolutamente nuovi ed eccitanti.

Gli adulti li guardavano con tenerezza e nostalgia, ricordando i tempi in cui anche loro si divertivano così.

Erano più o meno gli unici minorenni dell'isola e si sentivano i padroni del mondo.

Jimin era stato accolto nel gruppo come se fosse lì non da alcuni giorni ma da sempre, e tale gentilezza e cordialità non poté che fargli piacere. Non si era mai divertito così tanto come in quei giorni di giugno in cui tutto era nuovo e tutto era un'avventura.

Quei ragazzini con cui condivideva le giornate erano ormai diventati la sua seconda famiglia.

Ogni sera, quando tornava a casa sudato e sporco di terra, sabbia e sale, raccontava tutto a sua madre. I suoi occhi brillavano di gioia, mentre le sue guance erano rosse per l'emozione e il sole che le aveva schiaffeggiate. Aveva iniziato ad abbronzarsi e a non essere più pallido come quando era in città, chiuso nella sua cameretta davanti alla TV e ai videogiochi.

Sua madre era lieta di vederlo così felice e in salute e ogni giorno si complimentava con se stessa per avere avuto la brillante idea di trascorrere l'estate a Polar Island: quel posto era un angolo di Paradiso e assai probabilmente Jimin stava passando l'estate più bella della sua vita.

Anche lei nel frattempo si era ambientata e aveva stretto amicizia con alcune persone del paese, davvero cordiali e disponibili. Se a qualcuno mancava qualcosa gli altri facevano a gara per fornirgliela. Organizzavano anche loro serate in cui si riunivano, magari davanti a un falò, a chiacchierare e a scambiarsi consigli e opinioni.

Nonostante la maggior parte degli abitanti dell'isola si conoscesse da una vita, perché trascorreva lì tutte le estati, la signora Park fu accolta come se anche lei fosse sempre stata presente. Questo dettaglio non poté che rallegrarla e consolidare la sua convinzione di aver fatto la scelta giusta a prendere in affitto la casa della sua amica.

**************

Un pomeriggio, all'incirca una settimana dopo l'arrivo a Polar Island, Jimin stava girando in sella alla sua fedele bicicletta, quando un sasso in mezzo alla strada bloccò la ruota anteriore e gli fece fare un bel volo.

Il corvino atterrò malamente, appoggiando per terra le ginocchia e i palmi delle mani, e si lasciò sfuggire un lamento di dolore. Tuttavia si mise subito a sedere e controllò le proprie condizioni.
Le ginocchia erano sbucciate e sporche di terra e anche le mani non erano messe molto meglio.

Quelle sbucciature bruciavano tantissimo e fu con difficoltà che Jimin riuscì a trattenere le lacrime, alzarsi in piedi, mettere le mani sul manubrio della bici e sollevarla per ripartire.

Purtroppo un piccolo dettaglio attirò la sua attenzione e gli provocò un dolore emotivo che bruciava ancora di più di quello fisico.

“Dannazione! Questa proprio non ci voleva” esclamò, chinandosi e osservando meglio la propria bici.

Una parte si era rotta e lui non aveva la più pallida idea di come aggiustarla.

Gli venne da piangere. Senza la sua amica non sarebbe riuscito a sopravvivere e il pensiero di averla persa per sempre era insostenibile.

Con le lacrime agli occhi per il dolore e la frustrazione, Jimin provò a spingere la bici e proseguire. Sebbene sofferente, doveva resistere e tornare a casa, dove sua mamma gli avrebbe medicato le ferite e con un po' di fortuna sarebbe riuscita ad aggiustare la sua amica a due ruote.

Una persona, però, vide Jimin avanzare in quelle condizioni: Jungkook.

Era seduto al tavolo della veranda di casa sua e stava cercando di fare i compiti delle vacanze, senza però grandi risultati. Non riusciva a concentrarsi e difatti giochicchiava con la matita invece di scrivere i calcoli sul suo quaderno.
Voleva andare in spiaggia, fare un bagno e incontrare i suoi amici. Non ne poteva più di stare lì fermo a fare i compiti.

L'estate non era fatta per studiare e per questo lui odiava i suoi insegnanti per averli riempiti di esercizi e per aver loro impedito di godersi al massimo le vacanze.

Purtroppo non poteva alzarsi e andarsene, perché sua mamma usciva regolarmente di casa e controllava che lui stesse svolgendo il suo dovere. Solo in quei momenti Jungkook impugnava correttamente la matita e si metteva a scrivere sul suo quaderno, per dimostrarle che si stava impegnando. Per il resto del tempo aveva lo sguardo puntato su un punto indefinito all'orizzonte e si lasciava cullare dalla fantasia e dai ricordi.

In quel momento stava pensando ai suoi amici e più in particolare a Jimin.

Non erano propriamente amici loro due; si tolleravano e basta, quando erano in compagnia degli altri.

Non erano mai usciti solo loro due e non si conoscevano molto bene, questo perché Jungkook era molto timido e ci metteva del tempo prima di trovare il coraggio di iniziare una conversazione, ma anche perché Jimin era ancora piuttosto restio nei suoi confronti, dopo l'incidente della bici. Gli parlava ed era cortese con lui, ma non gli sorrideva molto. Di certo era quello con cui il dodicenne parlava di meno, tra di loro.

Jungkook ogni tanto si perdeva a osservarlo, mentre rideva per qualcosa che gli altri avevano detto, e sorrideva, catturato dal modo in cui Jimin riusciva a ridere anche con gli occhi.

Eppure era anche piuttosto malinconico, perché avrebbe voluto che quel ragazzino ridesse per qualcosa che lui aveva detto.

Jungkook non riusciva a fare battute e a essere divertente come gli altri, nemmeno se si impegnava, quindi sapeva che aveva ben poche possibilità di far divertire Jimin.

Tuttavia non si sarebbe arreso facilmente e avrebbe continuato a sperare con tutto il cuore che un giorno o l'altro quel ragazzino potesse sorridergli e considerarlo un amico. Non sapeva perché, ma sentiva il bisogno di stargli vicino.

Quel pomeriggio di giugno, mentre Jungkook sedeva annoiato nella veranda di casa sua fingendo di fare i compiti, Jimin passò sulla strada di fronte spingendo la bici e mordendosi il labbro, come se stesse cercando in tutti i modi di non piangere.

Jungkook sgranò gli occhi e per qualche istante restò a osservarlo immobile, come se non riuscisse a realizzare di aver appena visto passare davanti ai suoi occhi la persona a cui da parecchi minuti stava pensando.

Poi tornò con i piedi per terra, posò la matita sul tavolo e saltò giù dalla panca su cui era seduto. Scese i pochi gradini che lo separavano dal livello del terreno e si mise a correre.

“Jimin! Ehi, aspetta!”.

Reach For The Stars || JikookDove le storie prendono vita. Scoprilo ora