2.05

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Ripresero a mangiare e a chiacchierare del più e del meno, ma soprattutto dell'estate di cinque anni prima.

A Jimin faceva uno strano effetto trovarsi lì, con quei quattro ragazzi che pensava non avrebbe mai più rivisto, e che fra l'altro credeva lo avessero dimenticato. Si sentiva così stupido e ingenuo ad aver permesso che le sue paure lo bloccassero e gli impedissero di riallacciare il legame con quei quattro che aveva voglia di tornare indietro e rimediare a quell'errore. Non potendo, promise a se stesso che da quel momento in poi avrebbe fatto il possibile per non allontanarsi da loro.

Fu una serata stupenda. Le lingue di fuoco divampavano nell'aria estiva e il lento sciabordio delle onde era la migliore delle colonne sonore. Per la prima volta da tanto tempo Jimin si sentì libero e rilassato, come se per una sera avesse lasciato a casa lo stress e le aspettative troppo alte.

Dopo aver finito di cenare e aver spento il falò, i quattro amici furono sul punto di separarsi, dopo però essersi promessi di rivedersi il giorno seguente, quando Jungkook si avvicinò leggermente a Jimin e gli domandò una cosa a voce bassa, così che gli altri non lo riuscissero a sentire.

“Posso parlarti un attimo, Jimin? Solo io e te”.

Il ragazzo annuì, mentre dentro di sé sentiva crescere l'agitazione al pensiero di cosa il suo vecchio amico potesse dirgli. Il suo cuore aveva ricominciato la sua solita corsa disperata e l'espressione dipinta sul viso di Jungkook non migliorò di certo la situazione.

“Noi restiamo qui ancora cinque minuti” disse, quando Hoseok, Namjoon e Seokjin si alzarono aspettandosi che gli altri due facessero lo stesso.

I tre, però, avevano intuito che Jimin e Jungkook dovevano risolvere alcune questioni personali. Quindi accettarono senza battere ciglio e si affrettarono a lasciarli soli, senza però dimenticarsi di augurare a entrambi la buonanotte.

Il sole era già calato da un pezzo e le onde marine bagnavano con dolcezza la sabbia, come intessendo insieme a essa una ricca conversazione d'amore. Le prime stelle si riuscivano a intravedere nel drappo di cielo blu scuro sopra i due adolescenti e non appena Jimin le notò, un sorriso si fece strada sul suo volto.

Teneva le ginocchia piegate contro il petto e le mani gli cingevano le caviglie. Jungkook, invece, aveva le gambe distese davanti a sé e le mani immerse nella sabbia.

La bolla di silenzio che si formò tra di loro, contrastata soltanto dalla colonna sonora della natura, diventò sempre più pesante al passare dei secondi, tanto che a un certo punto Jimin sentì il bisogno di porvi fine.

“Che cosa dovevi dirmi?” domandò tutto d'uno fiato, per poi lanciare una breve occhiata al ragazzo accanto a lui, che sorrideva e fissava l'orizzonte.

“Le stelle non sono cambiate. Gli anni passano, le persone cambiano, ma loro continuano a brillare nel cielo notturno. Non è meraviglioso?”.

Jimin non si aspettava quelle parole e per questo si chiese che cosa stesse esattamente frullando nella testa di quel ragazzo.
Dato che stava scegliendo con cura che cosa dire, Jungkook voltò il capo verso di lui, sorpreso dal suo silenzio. “Perché non mi hai più risposto, quando ti scrivevo?” gli domandò in un sussurro.

Jimin abbassò il capo. “Probabilmente avevo paura di non essere importante per te come credevo”.

Jungkook studiò il suo vecchio amico a fondo, cercando di capire il senso di quella affermazione. “Per me eri importante. Che cosa ti ha fatto credere il contrario?”.

Jimin abbassò lo sguardo e si sentì improvvisamente solo e miserabile, non appena si rese conto che l'altro aveva usato il verbo al passato: lui era importante. Ora non più.

Jungkook sorrise e si mise a giochicchiare con la sabbia e a scalciare un bastoncino di legno e alcune erbacce presenti in quel posto, che di rado veniva pulito.

“Ti piacevo, non è così? Avevi iniziato a provare dei sentimenti per me e ne eri spaventato, così hai preferito non rispondermi e non insistere per tornare a Polar Island le estati seguenti. Ci scommetterei un occhio della testa che non erano i tuoi genitori a voler andare da altre parti, bensì tu, Park Jimin”.

Il corvino deglutì e distolse lo sguardo da quei pozzi scuri che in quel momento contenevano un'infinita tristezza. Non riusciva a guardare quel ragazzo negli occhi: vi vedeva le stelle e i ricordi di cinque anni prima, quando erano ancora due ragazzini allegri e innocenti.

Jimin si pentiva profondamente di non aver continuato a restare in contatto con Jungkook: sarebbero potuti essere amici e scriversi di tanto in tanto, raccontarsi come andavano le loro giornate e sostenersi a vicenda nelle sfide della vita.
Invece aveva volontariamente tagliato i ponti con lui.

Dopo aver fatto un respiro profondo, si arrese e gli disse la verità. “Sì, avevo capito che mi piacevi e ne ero spaventato. Avevo paura di non poterti vedere più, tranne che in estate, ed ero praticamente certo che tu nei miei confronti non provassi lo stesso”.

“Sei stato un deficiente, Park Jimin” disse Jungkook scuotendo la testa.

Jimin lo guardò con tanto d'occhi, non aspettandosi che quel ragazzo arrivasse a definirlo un deficiente. “Non...”.

“Potevi chiedermi di vederci, potevi chiamarmi, potevi confessarmi i tuoi sentimenti, potevi fare qualsiasi cosa, e invece che cosa hai scelto di fare? Di non rispondermi! Di escludermi dalla tua cazzo di vita!”.

Il tono di voce di Jungkook si stava facendo sempre più concitato e il suo sguardo conteneva un misto di rabbia e tristezza, che però non rivolgeva al ragazzo accanto a lui, ma alla sabbia e al mare d'inchiostro.

“Saremmo potuti essere amici per tutto questo tempo e, chissà, magari tra di noi sarebbe davvero potuto nascere qualcosa. Tu non ci hai nemmeno provato, quindi suppongo che non lo sapremo mai.
Almeno ti rendi conto di ciò che hai combinato? Hai una minima idea di come mi sono sentito a quel tempo? Il mio migliore amico non rispondeva alle mie lettere e ai miei messaggi e io credevo di averlo offeso o chissà cosa. Ho provato a insistere, ma tu niente: silenzio totale”.

“Mi dispiace, Jungkook. Io...” cercò di dire il corvino, con la voce incrinata.

“Sei un codardo, Jimin, e sei anche uno stupido, perché hai rinunciato alla felicità prima ancora di averla assaporata”.

“Che cosa vuoi dire?”.

Jungkook sorrise mestamente e accarezzò la sabbia al suo fianco. “Anch'io avevo iniziato a provare qualcosa per te. Magari era amore, magari no, ma erano sentimenti, di questo ne sono più che sicuro. Suppongo che non lo sapremo mai. Grazie per aver fatto morire un qualcosa di meraviglioso che era appena nato nel mio cuore. Grazie davvero”.

La sua ironia tagliente provocò crepe nel cuore di Jimin, già provato da quelle parole così schiette. I suoi occhi si riempirono di lacrime e il bisogno di dire qualcosa per giustificarsi gli fece prudere la lingua. Tuttavia sapeva che in quella situazione non c'era proprio niente da dire.

Con la coda dell'occhio vide Jungkook alzarsi e allontanarsi.

Non fu in grado di seguirlo. Restò seduto sulla sabbia, con le gambe al petto e lo sguardo verso l'orizzonte, sentendosi solo e miserabile.  

Reach For The Stars || JikookDove le storie prendono vita. Scoprilo ora